Cerca
Close this search box.

I peggiori film horror del 2022

Il 2023 è ormai alle porte ed è inevitabilmente tempo di bilanci, soprattutto nel campo cinematografico per i film usciti in Italia nel 2022. L’horror è un genere particolare, che da questo punto di vista è capace con estrema facilità di regalare tanto grandi titoli da brivido, quanto prodotti decisamente discutibili, per non dire peggio.

 

In questa classifica si andranno ad elencare – dal migliore al peggiore – proprio questi ultimi, non concentrandosi troppo su prodotti affini al genere o troppo indipendenti, ma tenendo presente le ambizioni del progetto, il budget speso e la caratura di registi/attori che fondano le premesse per voler realizzare un film dell’orrore di un certo livello, ma finito solo per ottenere risultati diametralmente opposti.

 

Chi sarà il peggiore dell’anno?

 

10) OCCHIALI NERI (Dario Argento)

All’ultima posizione si parte subito con un titolo italiano, l’unico del Bel Paese. La posizione non è dovuta tanto alla qualità in sé della pellicola (davvero davvero scarsa), quanto un po’ per irrazionale patriottismo e perché, in fin dei conti, il termine “horror” si aggiungerebbe con qualche forzatura.

 

 

Occhiali Neri” è infatti un giallo a tinte orrorifiche che segna il ritorno sulla scena di Dario Argento, proprio quello che viene (o veniva) definito Maestro del Brivido, a 10 anni dal suo precedente lavoro con “Dracula 3D” del 2012. Uno dei registi italiani più conosciuti ed influenti nel mondo – che ha contribuito fortemente a rilanciare e mettere sotto una nuova luce il giallo e l’horror “all’italiana” – è ormai stanco nei suoi 82 anni e nella sua ultima opera la cosa si nota decisamente troppo. Il film narra della escort Diana che, a seguito di un incidente stradale, ha perso la vista e deve cercare di sfuggire ad un serial killer di prostitute.

 

 

Quello che dovrebbe essere un thriller-horror – tanto nelle tinte estetiche, quanto nel genere che abbraccerebbe lo slasher anche con aspetti paranormali (più o meno metaforici) – non solo non riesce mai ad incutere paura o tensione, ma sfocia spesso nel ridicolo e nella comicità involontaria (un’immagine in cui si tenta di sparare al serial killer rievoca un’esilarante sequenza di Fantozzi e Filini a caccia). La sceneggiatura denota l’assenza di passione, nemmeno un briciolo per cercare di salvare l’insalvabile, con dialoghi e circostanze assurdamente imbarazzanti. Sicuramente la recitazione non corre in aiuto della scrittura, regalando interpretazioni che incarnano il cliché che oscura gli attori italiani (assolutamente falso, pretenzioso e senza una logica di fondo, appunto un cliché) non rendendo mai credibili i personaggi in scena per colpa di mancate capacità espressive e soprattutto nell’incapacità del ridoppiaggio.

 

 

La fotografia presenta luci e saturazioni completamente sballateSi può tuttavia intravedere anche una buona regia, soprattutto nei movimenti di macchina, che potrebbe dare l’illusione di un debutto cinematografico per un giovane interessante ed intraprendente che ha semplicemente inciampato al suo primo lavoro. Poi la locandina del film presenta “Dario Argento” e pervade il rammarico e la tristezza. L’ennesimo passo falso.

 

9) GOODNIGHT MOMMY (Matt Sobel)

Il film è diretto da Matt Sobel – alla sua seconda regia cinematografica dopo “Take Me to the River” del 2015 – ed è il remake in lingua inglese dell’omonimo film austriaco del 2014 diretto da Veronika Franz e Severin Fiala (co-registe anche in “The Lodge” del 2019).


Questo horror psicologico distribuito in Italia da Prime Video, parte da delle premesse intriganti ed incoraggianti, con la storia dei piccoli gemelli Elias e Lucas che riaccolgono a casa – dopo tanto tempo – la madre Susan, celebrità austriaca sottoposta ad un intervento facciale. I figli però sono spaventati dalla madre, ancora con il volto fasciato, che presenta comportamenti molto diversi, tanto da far pensare ai due fratelli che in realtà quella non sia la loro vera madre.


Il film di Matt Sobel alla fine sarebbe anche tecnicamente valido (non tanto per la fotografia, che tende troppo spesso ad oscurare gli interni, con lo spettatore che si ritrova inevitabilmente al buio e spaesato), con un buon dosaggio del sonoro e del montaggio, e con Naomi Watts protagonista che ricorda sempre di essere una grande attrice. Tutto il resto però rimane un problema, con un horror che rimane solo psicologico (il mostro è ricreato molto bene, come tutta la sequenza da incubo in questione, ma è un unicum) ma alla fine non è mai incisivo; un ghost-movie mancato che rimane appunto evanescente. Il mistero perde subito significato e presa sullo spettatore perché autosvelatosi, inciampando su una scrittura vuota, inconcludente ed a tratti involontariamente comica. La parte finale lascia decisamente a desiderare, con un plot-twist ompletamente telefonato – anche più volte inspiegabilmente tradito evidentemente per errore (rivolgersi al plurale quando si doveva parlare al singolare e viceversa) – ed una risoluzione finale che sostanzialmente non si lega con la visione appena registrata.


Un compitino sprecato.

 

8) HATCHING – LA FORMA DEL MALE (Hanna Bergholm)

Dopo qualche cortometraggio e qualche regia televisiva, l’opera prima della regista finlandese Hanna Bergholm costituisce, più che un pessimo prodotto cinematografico, una vera occasione persa.

 

 

Il dramma familiare e favola horror da monster-movie “Hatching – la forma del male” narra la storia della dodicenne Tinja, cresciuta a pane e sensi di colpa per via di una madre arpia, ossessionata da un successo che lei non ha e che vuole far avere ad una figlia che non l’ha chiesto. Le buone premesse sembrerebbero quelle di raccontare come il rimorso, il risentimento, il senso di colpa e la mancanza di vero amore e di affetto possano crescere fino ad arrivare al punto di non ritorno e prendere vita propria, con sembianze mostruose. Peccato che la rappresentazione, sebbene si possa notare un certo impegno realizzativo, rischia fortemente di vanificare il tutto. La fotografia – in generale la messa in scena – non sarebbero nemmeno da buttare, anzi, con un debutto dietro la macchina da presa che pone basi interessanti per il futuro (magari non sbagliando qualche controcampo di troppo e non aggiungendo qualche ripresa inutile “perché sì”).

 

 

Peccato che la scrittura del film sia abbastanza imbarazzante e appunto sprecata, senza contare un montaggio da Z-movie (nemmeno 90 minuti che sembrano 4 ore) dosaggio dei tempi drammatici e della tensione decisamente fuori tono, qualche rapida sequenza che si perde i pezzi per strada e altre più da long-take decisamente inutili e dal sapore di “esercizio di stile”.

 

La sceneggiatura di Ilja Rautsi – che scrittura personaggi odiosi (non in senso positivo del termine, da villain, ma nel senso di desiderare che la creatura inizi a fare una strage) non aiutati da un cast abbastanza imbalsamato – rimane continuamente sospesa tra una dimensione reale ed un’altra grottesca e surreale, facendo vincere un’eterna sospensione di incredulità che trascina spesso nella comicità involontaria un film horror drammatico che non fa né paura (si apprezza il non essere andato a nozze con il jump-scare) né tristezza (non si riesce a provare empatia verso nessuno, sebbene la creatura all’inizio ci provi…certo, un pollo spelacchiato, ma pur sempre di cuore).

L’uovo non si è schiuso ma si è rotto.

 

7) BLACK PHONE (Scott Derrickson)

Uno dei titoli più attesi dell’anno, soprattutto del panorama horror, capace di incassare oltre 150mln$ a fronte di un budget di 15, che vede in cabina di regia Scott Derrickson (“Sinister” del 2012 e “Doctor Strange” del 2016) e con protagonista Ethan Hawke. Questi ultimi 2 elementi sono infatti quelli che rendevano il film atteso e gli stessi che avvicinano la pellicola alla sufficienza, ma senza raggiungerla appieno.

 

Black Phone” infatti, nonostante non sia stato accolto in modo particolarmente negativo da pubblico e critica, rimane un tentativo pretenzioso, imitatore e mal realizzato. La storia è quella del tredicenne Finney, rapito e tenuto prigioniero da un sadico assassino mascherato, che nella sua nuova prigione inizia a percepire la presenza delle precedenti vittime del rapitore attraverso un misterioso telefono nero sul muro.

Il film è l’adattamento cinematografico dell’omonimo racconto del 2004 scritto da Joe Hill, figlio del noto autore dell’horror Stephen King (che tornerà ancora in questa classifica), dove i riferimenti ad IT padre decisamente non mancano. Sebbene sia un’idea di cinema decisamente migliore degli ultimi capitoli sul diabolico pagliaccio diretti da Andy Muschietti (non era impresa ardua fare meglio), sono infatti decisamente troppi i punti di incontro con l’opera del King (prima letteraria poi cinematografica), tra un palloncino di là ed un bambino con impermeabile giallo che pedala di qua. 

 

Ed è così che “l’omaggio” si tramuta in “scimmiottamento”, anche perché “Black Phone” non riesce a raccontare una storia senza perdersi in una sceneggiatura che fa acqua da tutte le parti, bagnando la carne (anche interessante) che era stata messa sul fuoco, creando solo molto fumo e lasciando il cibo crudo. Noioso e senza particolari scene da incubo o ricche di tensione, il film riesce tuttavia quasi a salvarsi grazie alla regia di Derrickson (che comunque il suo lavoro lo sa fare), ad una maschera dal potenziale iconico (ma appunto solo potenziale) ed una bella prova di Ethan Hawke che ce la mette tutta.

La vera paura è quella di un eventuale sequel.

 

6) DAY SHIFT – A CACCIA DI VAMPIRI (J.J. Perry)

Jamie Fox protagonista e cacciatore di vampiri insieme a Snoop Dogg, toni pulp ed ironici, sangue e sparatorie: le premesse sono ottimali per gustarsi un chiassoso action-horror di puro intrattenimento.

 

 

Peccato che il film distribuito su Netflix e diretto da J. J. Perry non vada oltre alla “semplice scazzottata” e di salvabile presenti solo alcune sequenze action, davvero scarse di numero e che non riescono comunque a fare il miracolo. Il regista, alla sua opera prima, ha passato la sua carriera come coordinatore degli stunt in film di grande successo (molti titoli scadenti ma comunque connotati dalle sequenze action, ma anche “John Wick” e “Djando Unchained”) e infatti la parte migliore di “Day Shift” sono proprio le scene action adrenaliniche e ricche di intrattenimento; peccato che queste siano letteralmente 3, ognuna delle quali di scarso minutaggio e da compitino fissate rispettivamente all’inizio, in mezzo e alla fine della visione, che rimane inevitabilmente deludente e non supera la noia nelle sue interminabili 2h di durata. Per il resto il film viene condito da qualche punta drammatica circa la situazione economico-sociale americana e gli scricchiolanti rapporti famigliari, spezzate queste (ma comunque già di per sé poco incisive) da continui dialoghi a dir poco imbarazzanti, spesso con la pretesa di voler far ridere quando invece fanno solo lacrimare per il disagio. Un film che poi si muove da presupposti di trama non solo banali, ma anche ridicolmente insensati, facendo finire il tutto a Tarallucci e Vino, con i vampiri sfruttati esclusivamente come elemento per rendere un minimo originale la storia.

 

Forse cosa ancora peggiore il film è costato 100mln$ per farcire la pellicola di una vagonata di effetti speciali da videogame e spesso di dubbia qualità, etichettati con il marchio plastificato dell’effettistica di certi prodotti cinematografici recenti a tema supereroistico e molti prodotti della stessa Netflix.

 

Come se non bastasse, il cast di lusso è completamente sprecato: Jamie Foxx è il classico eroe che prova ed essere antierore solo perché maleducato; Dave Franco particolarmente ridicolizzato; quasi ci si dimenticava della presenza di quel grande attore che è Peter Stormare (praticamente un cameo, inutile).

 

5) THE TWIN – L’ALTRO VOLTO DEL MALE (Taneli Mustonen)

Il film horror diretto dal regista finlandese Taneli Mustonen è estremamente confusionale, pur partendo da basi semplici (se non banali) viste e straviste, dando solo una sbirciata a qualcosa di parzialmente originale e quasi la presunzione di essere grande.

 

The Twin” narra di Rachel che, insieme al marito e al figlio Elliot, si trasferisce nella campagna finlandese per cercare di ricominciare da capo dopo la scomparsa dell’altro figlio gemello Nathan. Il lutto è veramente difficile da superare e l’atmosfera che si viene man mano a creare nella nuova abitazione sicuramente non aiuta. Nathan potrebbe non esserne andato per sempre.

 

Un soggetto estremamente basilare per un horror ghost-movie dove non succede praticamente nulla (inteso anche letteralmente), nel quale si dovrebbe affrontare sia l’elaborazione del lutto e sia la disgregazione del nucleo famigliare, ma si finisce di evitare entrambi a favore della caccia ad un fantomatico demone senza nemmeno troppa cognizione di causa. Una messa in scena insensatamente buia (in alcune sequenze non si vede nulla, e forse è un bene) e quasi pretenziosa nel voler catturare una bella fotografia – dalle tinte blu mortifere e qualche fiammata per ricreare chissà quale atmosfera – che rimane però abbandonata se non si lavora nemmeno sul sonoro, risultando incapace di creare tensione e senza nemmeno indovinare la regola base per un buon jump-scare (ce ne sono 2/3, gli unici momenti “horror” della pellicola, si punta sull’introspezione).

 

 

Si decide di omaggiare (per così dire) grandi classici del calibro di “Rosemary’s Baby” e altri prodotti anche più recenti di folk-horror, ma in modo completamente confusionario, non venendo aiutati da dei dialoghi insensati (quegli incessanti sospiri dopo un po’ stomacano e il personaggio del bambino è insopportabile), con quello che sarebbe dovuto essere un plot-twist shock (telefonato dal minuto -01:00, pure ribadito esplicitamente in corso d’opera) ed un finale tragicomico.

Chapeau.

 

4) MONSTROUS (Chris Sivertson)

Ci si avvicina al podio della classifica dei peggiori film horror del 2022 e ci si immerge nelle acque paludose dei film disponibili su Prime Video, con l’ultimo film diretto da Chris Sivertson quale thriller-horror (sovrannaturale) che vede come protagonista Christina Ricci.

 

Per sfuggire dal marito violento, Laura si trasferisce in California con suo figlio di 7 anni Cody. Dal lago vicino alla nuova abitazione però sembrerebbe emergere una nuova terrificante minaccia.

“Monstrous” è il gemello cattivo di “The Twin”, appunto l’altro volto del male, l’altra faccia della stessa medaglia, ma quella più “sporca”. Entrambi i film possono infatti venire accomunati sotto tanti punti di vista: anche nel film di Sivertson si tratta l’elaborazione del lutto e la disgregazione del nucleo famigliare, aggiungendo in questo caso anche qualche punta di bullismo, ma ovviamente senza affrontare seriamente il tutto e volendosi rifugiare dietro al plot-twist. Tuttavia, a differenza di quello del film di Mustonen in posizione precedente in classifica, qui il colpo di scena è inaspettato, ma non perché questo sia stato particolarmente ben costruito, ma perché estremamente forzato e con la sensazione che sia stato costruito appositamente in corso d’opera, senza alcun fondamento e senza chissà quale soluzione finale efficace.

 

Tecnicamente, “Monstrous” mantiene quella arroganza nel voler impostare una messa in scena a tinte intellettuali, ma regala solo un’atmosfera da Mulino Bianco (colonna sonora da “anni ’50 starter pack”), si cerca di omaggiare i classici (in particolare “Il mostro della laguna nera” di Jack Arnold del 1954) – i quali vengono semplicemente violati senza cognizione di causa – e si presenta un Mostro che sembra uscito da una buona cinematica di un videogame di una decina di anni fa (apparso anche di sfuggita una sola volta).
Un film dove il “no-sense” regna sovrano, l’orrore non viene visto nemmeno col binocolo, le interpretazioni sono fastidiose e i dialoghi fanno spesso provare tenerezza, ma giusto per la banalità di determinate affermazioni e per i confronti dialettici senza capo né coda.

Un guilty pleasure, ma senza il pleasure.

 

3) SMILE (Parker Finn)

Si sale così sul podio dei peggiori film horror del 2022 con un film che sostanzialmente incarna la struttura dell’horror che, soprattutto giunti ormai nel 2023, deve essere assolutamente abbandonata, perché a questo punto è solo nauseante: il film basato solo ed unicamente sui jumpscare.


Smile” è l’opera prima di Parker Finn ed è basato (anche giustamente) sul suo stesso cortometraggio di 2 anni prima intitolato “Laura Hasn’t Slept”, ma quello sarebbe dovuto però rimanere. La trama del film ruota infatti attorno alla psichiatra Rose, rimasta traumatizzata dopo aver assistito ad un incidente di una delle sue pazienti e tormentata da quel momento da un’entità oscura. Per sopravvivere alla sua nuova terrificante realtà, Rose dovrà anche affrontare il proprio passato.


“Smile” non è realizzato particolarmente peggio dei titoli che lo hanno preceduto nella classifica, anzi, per certi aspetti sembrerebbe nelle sue premesse anche abbastanza intrigante e non è tecnicamente realizzato male, almeno spaventa in diverse occasioni. Il gradino più basso del podio viene conquistato semplicemente per non andare oltre il brivido da 5a elementare: i 115 min sono interminabili, con solo una manciata che possono essere considerati avvincenti; la trama non ha nulla di originale, scopiazzando il “passaggio della maledizione” che ha visto predecessori sicuramente più illustri; interpretazioni decisamente dimenticabili; l’idea di aver creato sostanzialmente un nuovo “meme” dell’horror semplicemente spalmando un inquietante sorriso su chi capita a favor di camera-


Insomma “Smile” non sarebbe nemmeno tutto da buttare, un compitino che andrebbe perfetto per un’opera prima, soprattutto se si vuole portare sul grande schermo un proprio lavoro di cortometraggio. Peccato che il film vinca di antipatia rivolta appunto ad una struttura filmica che non dovrà più esistere: jumpscare su jumpscare e solo jumpscare, con addirittura il mostro che fa “bu”.

C’è poco da ridere.

2) FIRESTARTER (Keith Thomas)

Ancora una volta Stephen King (ormai solamente profanato cinematograficamente, ma a lui sembra andare bene così), ancora un remake, ancora un pessimo film horror.


La trama tanto elaborata di “Firestarter” ruoterebbe attorno alla coppia formata da Andy e Vicky, che cercano di proteggere la figlia Charlie da una misteriosa agenzia federale che vuole impossessarsi dei suoi poteri: come suggerito dal titolo, la piccola possiede la capacità di generare fuoco con la forza del pensiero.


Cercando – come si deve comunque sempre fare – di slegare in un adattamento il prodotto cinematografico da quello (in questo caso) letterario, si assiste comunque a qualcosa di leggermente imbarazzante: una produzione Blumhouse che dovrebbe essere un fantasy horror, ma non c’è traccia né del fantasy né tantomeno dell’horror. Qui basterebbe riportare tutti i difetti riscontrati nei titoli precedenti ed elevarli all’ennesima potenza. La tediosa regia di Keith Thomas (che aveva lasciato molti a desiderare con la sua opera prima “The Vigil” del 2019, sebbene abbia fatto intravedere qualche guizzo interessante e abbia regalato poi uno degli episodi migliori della prima stagione della serie tv ideata da Guillermo Del ToroCabinet of Curiosities”, ma che qui cade fragorosamente) inscena un film sugli X-Men mascherato da teen-movie, che prova senza volerlo davvero a mettere, con tanta fatica e confusione, giusto un po’ di carne sul fuoco, la quale finisce inevitabilmente per bruciarsi con la parte finale e si è costretti a buttare via tutto.

 

Lento, noioso e senza una linea narrativa salda; effetti speciali nel mezzo tra il videogame, i filtri social e i primi esperimenti nel cinema con la computer grafica (peccato che siamo nel 2022); ma, più che il sonoro fastidiosamente invadente per tutta la durata della pellicola (si cerca di creare tensione ed epicità sul nulla…poi leggi “musiche di John Carpenter” e niente, fa già male così), la scrittura tanto dei personaggi quanto dei dialoghi che a stento superano le elementari, a costituire il colpo di grazia definitivo è la recitazione del cast, su tutti quella della statua di sale di Zac Efron.


Impossibile fare peggio…o forse sì.

 

1) TEXAS CHAINSAW MASSACRE (David Blue Garcia)

Se “Firestarter” è con ogni probabilità il peggiore della classifica, è anche vero che non merita la medaglia d’oro. Questo premio antipatia viene invece assegnato ad un altro film che incarna sostanzialmente un’altra ideologia di concepire un film horror, che deve assolutamente trovare la parola “fine”: dopo l’horror retto esclusivamente sui jumpscare, occorre fermare in qualche modo il dissanguamento delle principali saghe

 


Giusto per fare un po’ di numeri: 10 film sul personaggio di Freddy Krueger; 11 sui Cenobiti di Clive Barker; altri 10 sul Jason di Venerdì 13; addirittura 13 sulla saga di Michael Myers e si potrebbe continuare ad oltranza, aggiungendo questo “Texas Chainsaw Massacre” diretto da David Blue Garcia che raggiunge il 9° capitolo della saga del Leatherface. Fra tutti questi sequel/prequel/remake/rebbot sicuramente figura qualche capitolo decisamente valido, ma in proporzione la bilancia pende pesantemente da una parte sola: i primi capitoli di queste saghe (la maggior parte comunque create ad hoc successivamente, senza l’idea di creare una vera saga preliminarmente) hanno conquistato il loro posto nella storia del cinema (non solo horror) per via della loro originalità, per il periodo storico in cui si trovarono e per le innovazioni tecniche e narrative. Continuare a cercare di fare soldi facili parassitando queste icone del cinema, arrivando ad oltre 10 film (è decisamente comprensibile il singolo remake del regista che è particolarmente legato a quel determinato personaggio e a quella determinata storia, magari con una sua originale versione), potrebbe essere considerato particolarmente svilente per il valore di quelle opere originali. Manca ormai l’originalità e il coraggio di lanciare nuove icone e nuove leggende (ci sono comunque casi isolati, come per Art il Clown) e “Texas Chainsaw Massacre” non è estraneo al discorso.


Anche vero che nel 2022 sono usciti gli ultimi capitoli di “Halloween Ends” e “Scream” (anch’essi colpevoli), ma si sceglie come testimonial il film di David Blue Garcia perché, al di là di discorsi moralistici, è veramente pessimo e gli altri due sono, a loro modo, decisamente riusciti.
Tutto è costruito ad arte e a tavolino per essere il “vero sequel diretto” del film originale: omaggi (anche esplicitamente visivi) e personaggi che ritornano ma con più di un occhio alla modernità, il tutto per cercare di tenere assieme i nostalgici e i “vergini” del film originale. Peccato che il film non solo tradisca i contenuti concettuali del capolavoro di Tobe Hooper (oltre ad una sospensione dell’incredulità perennemente alta e dialoghi senza il minimo senso, una sceneggiatura completamente vuota, dove non c’è traccia di critica né politica né sociale né economica, ma nemmeno la cattiveria che hanno reso grande il suo avo), ma risulta fastidioso anche nella sua messa in scena. I 30mln$ di budget sono decisamente troppi e si vede (soprattutto per un genere che trova la sua fortuna nel low budget per un motivo): la scenografia e l’ambientazione eccessivamente patinate sono incapaci di ricreare un’atmosfera da brivido, sporcate giusto dagli effetti speciali sovrabbondanti che potranno far divertire qualche amante dello splatter. Il film non riesce mai a creare tensione o a suscitare davvero qualche brivido, ma peggio si presta a situazioni involontariamente comiche con un climax di assurdità nel finale.


Quello diretto da David Blue Garcia è davvero un Massacro, il massacro del cinema, di questo cinema che continua a proporre capitoli su capitoli davvero inutili ed irrispettosi. La cosa peggiore è che la piaga non avrà fine e a anche questo “Texas Chainsaw Massacre” con tutta probabilità seguirà un ulteriore film sul Leatherface.


Quando è troppo è troppo.