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I migliori film di Quentin Tarantino

Migliori film di Quentin Tarantino

Quentin Tarantino è sicuramente uno dei registi più celebri nell’ambito della contemporaneità; in grado di ottenere un successo incredibile grazie alle sue creazioni, comprensive dell’atteggiamento fortemente e costantemente citazionista tipico del post-moderno, Quentin Tarantino è apparso da sempre fuori dalle righe, sia nei suoi film che nelle dichiarazioni. Di recente, ad esempio, il regista di Le Iene si è fatto notare per le sue parole sui registi e sugli addetti ai lavori della Marvel, dando vita anche ad uno scontro con Samuel L. Jackson; ma quali sono i migliori film di Quentin Tarantino? Di seguito si riporta una lista dei titoli ordinati dal quinto al primo posto. 

5) C’era una volta… a Hollywood

Al quinto posto tra i migliori film di Quentin Tarantino non può che trovare spazio C’era una volta… a Hollywood, il prodotto cinematografico più personale e intimo del regista statunitense; attraverso un cast di grande valore, comprensivo dei nomi di Leonardo DiCaprio, Brad Pitt e Margot Robbie, Quentin Tarantino prosegue la sua tradizione di revisionismo storico all’interno di una pellicola che, però, vede la storia più ai margini di una narrazione che mette in primo piano il grande amore del regista per il cinema hollywoodiano. 

 

Il nucleo protagonista di C’era una volta… a Hollywood è lo spaghetti western, di cui si offre particolare trattazione non soltanto attraverso il lavoro meta-cinematografico del regista, ma anche per mezzo di stilemi tipici del genere: dal travestimento che rende Rick Dalton irriconoscibile fino alla costruzione dell’effetto generale di una pellicola sporca, passando attraverso i temi del fallimento, dell’atteggiamento capitalistico dell’industria e del sogno di conquistare una posizione nella Hollywood che conta. Alla fine del film, Quentin Tarantino cede alla lusinga di salvare Sharon Tate, massacrando – in tipico atteggiamento pulp che viene qui confinato soltanto ai minuti finali della pellicola – gli esponenti della famiglia Manson con preziosismi stilistici e visivi tipici del genere. Un lavoro incredibile, spesso additato negativamente per il suo essere prolisso, che permette di entrare e uscire dall’animo del regista in modo notevole. 

4) Bastardi senza gloria 

L’opera di revisionismo storico prosegue in Bastardi senza gloria, un film molto più compatto del precedente che vede Quentin Tarantino rapportarsi con la materia della seconda guerra mondiale; il cast è ancora una volta pregevole, date le presenze di Brad Pitt, Christoph Waltz (qui impegnato in un’interpretazione notevole di Hans Landa, valevole di un Oscar per essere stato il miglior attore non protagonista), Mèlanie Laurent, Michael Fassbender, Eli Roth, Diane Kruger e Sam Levine. Così come nel precedente film, Quentin Tarantino si serve della più pregevole delle licenze artistiche, rimodellando la storia e decidendo di uccidere Hitler all’interno di un teatro dell’orrore, definito perfettamente dalle fiamme che invadono la sala cinematografica in cui il dittatore viene ucciso a colpi di mitra. 

 

Gli elementi dell’espressionismo tedesco vengono perfettamente riadattati in un film che eccelle non soltanto per il suo costante artificio retorico (Shoshanna parla al pubblico in sala, ma contemporaneamente anche allo spettatore del film), che si concretizza in un grande investimento in termini di fotografia e riprese, ma anche per quello smodato utilizzo di violenza che definisce il prodotto cinematografico: a seguito di un prologo perfetto di più di 20 minuti, che costruisce in climax una tensione che viene accentuata nella sparatoria ai Dreyfus e nella fuga impazzita di Shoshanna, l’intero film è ricco di crudeltà, tra scalpi tagliati dalla banda di soldati ebrei americani e violenza espressa dal generale Hans Landa. Una rappresentazione ideale che, al termine del film, sa far svuotare di contenuto quell’estremo castello di carte costruito dal nazismo. 

3) Django Unchained

Sul gradino più basso del podio relativo ai film migliori di Quentin Tarantino trova spazio il preziosissimo Django Unchained, che vede Quentin Tarantino riconquistare la statuetta per la migliore sceneggiatura originale, a seguito di quanto già osservato per Pulp Fiction. Il prodotto cinematografico in questione vede una perfetta commistione di elementi che accomunano, ancora una volta, gli spaghetti western – di cui si riprendono le atmosfere rese dal Calvin J. Candie di Leonardo DiCaprio, oltre che il tema dominante dello schiavismo – e la mitologia nordica, che trova spazio nella seconda parte della pellicola: il monologo di DiCaprio, la cattura e la successiva fuga di Django e lo stesso nome di Broomhilda (per quanto deciso inizialmente da parte di Tarantino) richiamano elementi particolarmente visibili in L’anello del Nibelungo, da cui questo film attinge particolarmente. 

 

Django Unchained diventa, così, un’opera di profondo rifacimento storico, oltre che un lavoro a tratti manierista in cui il regista dimostra di saper operare anche attraverso apparenti errori di ripresa, come gli scavalcamenti di campo di cui Quentin Tarantino sembra abusare nella scena in cui Shultz, Django e Candie si conoscono per la prima volta. Le rese attoriali diventano qui ancor più fondamentali: Waltz riesce a replicare il successo agli Oscar ottenuto con Bastardi Senza Gloria per mezzo di un’interpretazione diametralmente opposta, che dimostra il suo estremo valore in termini di versatilità, mentre i due protagonisti della pellicola si destreggiano in un’interpretazione mai banale.

2) The Hateful Eight 

Secondo posto tra i film migliori di sempre di Quentin Tarantino è occupato, non a caso, da The Hateful Eight. Film fortemente osteggiato da parte della critica americana, soprattutto per quel che concerne l’estrema forma di gratuita violenza qui rappresentata, The Hateful Eight ha ricevuto anche il boicottaggio da parte delle forze di polizia. Al di là delle mere questioni di cronaca, a cui si aggiunge senza dubbio l’Oscar ricevuto da Ennio Morricone per la miglior colonna sonora, il film di Quentin Tarantino porta all’estremo quei caratteri che sono propri del regista statunitense, che eccelle sia nelle sue costanti e reiterate citazioni, sia nella rappresentazione di situazioni portate al grottesco, in un insieme equilibrato anche dalla prospettiva di sfasamento temporale e dalla suddivisione in capitoli.

 

Qui Tarantino riprende sia la circolarità della storia già sperimentata in Pulp Fiction, sia la suddivisione in termini prospettici che ha alimentato la narrazione dei due volumi di Kill Bill. Per il resto, il film si compone di una doppia macro-area, di derivazione carpenteriana (il riferimento a La cosa è costante), costringendo i protagonisti all’interno di uno spazio chiuso – la carrozza prima, la taverna poi – in cui le vicende si moltiplicano, l’odio tra i protagonisti cresce e il desiderio di omicidio reciproco serpeggia; nelle situazioni rappresentate, invece, si può notare anche un riferimento a Il grande silenzio di Sergio Corbucci, con cui il film condivide la cornice innevata, l’ambiente claustrofobico e le musiche di Ennio Morricone. In definitiva, dunque, The Hateful Eight costituisce un anti-western, pur riprendendo quelle ambientazioni scenografiche e quelle situazioni tipiche del genere: è lo stesso Tarantino a chiarirlo, spiegando che il film – più che dai western classici – riprende molto da narrazioni seriali come Bonanza, Il virginiano e Ai confini dell’Arizona

1) Pulp Fiction

Se si parla di Quentin Tarantino, non si può non parlare di Pulp Fiction che, non a caso, conquista il meritatissimo primo posto nella classifica dei migliori film del regista statunitense. Il cast è dei più noti, comprensivo di nomi come John Travolta, Samuel L. Jackson, Uma Thurman, Bruce Willis, Maria de Medeiros, Harvey Keitel, ma è nelle situazioni rappresentate che Tarantino crea un prodotto immortale, capace di sopravvivere nell’ambito di una narrazione convenzionale che riguardi non soltanto gli ambienti cinematografici. Ne sono un esempio le due canzoni Misirlou e You Never Can Tell, presenti all’interno del film ed entrate a far parte dell’immaginario collettivo (soprattutto la prima, riscoperta dagli addetti ai lavori nel campo musicale), oltre che la celebre citazione di Ezechiele 25:17, completamente inventata, e il ballo di John Travolta e Uma Thurman all’interno del film. 

 

Quentin Tarantino gioca con lo spettatore, per mezzo di una narrazione eccentrica e ricca di elementi in macguffin che si succedono all’interno della pellicola: in un’idea di circolarità costante, che gli restituisce la statuetta agli Oscar per la migliore sceneggiatura e la Palma d’oro al Festival di Cannes, i capisaldi del film vengono ordinati volutamente alla rinfusa, in un prima-dopo che non segue alcun apparente ordine logico o di causalità. Un film straordinario, capace di superare ogni barriera temporale e artistica, issandosi a uno dei migliori prodotti della cinematografia contemporanea.