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L’Uccello Dalle Piume Di Cristallo: il perfetto esordio di Dario Argento

Il maestro Dario Argento tornerà presto con la sua nuova opera intitolata “Occhiali Neri” che uscirà dal 24 Febbraio al cinema. Ci sembrava per questo giusto ricordare uno dei suoi film più celebri in assoluto, ovvero “L’Uccello Dalle Piume Di Cristallo”, il primissimo lungometraggio di una lunga e particolare carriera che per molto tempo ha influenzato e continua ad influenzare varie generazioni di cineasti. L’opera vede come protagonista lo scrittore americano Tony Musante il quale, preso da una crisi creativa, decide di passare il suo tempo in Italia. Tuttavia, durante la sua breve vacanza, Tony sarà testimone di un tentato omicidio di una donna da parte di un serial killer che da diverso tempo è creatore di brutali omicidi che stanno terrorizzando la città. Tony cercherà in tutti i modi di collaborare con la polizia, ma questa cosa al killer non farà piacere…

In quest’opera Dario Argento riesce a realizzare un vero e proprio ritratto dell’oppressione, del soffocamento causato da un senso di morte estremo che coglie lo spettatore ancora prima che una vittima venga trucidata. La scena dell’uccisione in un appartamento è un esempio di grande sperimentazione attraverso l’uso della prima persona grazie a dei movimenti di macchina molto delicati, capaci di fare avvertire la sensazione di solitudine innocente di una donna di cui routine verrà interrotta da un momento all’altro nel modo più stravolgente. Tuttavia, se la sorpresa della donna nel ritrovarsi improvvisamente in casa una figura misteriosa, degna delle paure dei bambini quando pensano all’uomo nero (caratteristica che tornerà spesso nel cinema di Argento), il soffocamento nello spettatore è quello di sapere dell’arrivo dell’assassino e di non poterlo fermare, elemento di ansia folle aiutato dallo splendido crescendo dell’inquietantissima colonna sonora di Ennio Morricone.

Questo senso di impotenza da parte dello spettatore che rimane tale non potendo intervenire, il quale omaggia il cinema di Alfred Hitchcock attraverso una nuova mano, è creato attraverso uno straordinario uso della metacinematografia rappresentato proprio dalla testimonianza del protagonista durante il momento dell’omicidio, poiché lui stesso si ritrova intrappolato in una condizione di totale perdita del controllo ed è costretto ad assistere alla vita della ragazza che lentamente si allontana dal corpo. Da qui non è un caso che il protagonista ritroverà la sua voglia di scrivere, rendendo il film una sorta di autobiografia dello stesso Dario Argento: è la morbosità, il senso del macabro, le storie umane di tutti i giorni in cui accadono fatti terrificanti a permettere alla mente umana perversa di essere stimolata nel modo più creativo possibile: la cosa tornerà anche successivamente nel film con il creatore del quadro incriminato, il quale è stato realizzato da un’artista che si lascia impressionare da fatti realmente accaduti e che uccide direttamente le sue creature per poi mangiarle. Da qui appunto il protagonista rimane così ossessionato, quasi affascinato dagli omicidi, tanto da voler intervenire nella riuscita del caso e di conseguenza rappresenta l’autore che tenta in tutti i modi di avere il controllo sulla cattiveria umana.

Quella stessa morbosità e perversione riecheggia tra le pareti oscure della città e fa capire come le cose assumono un’altra prospettiva se la mente cambia: il cambio di colore della bellissima fotografia di Vittorio Storaro quando il quadro viene visto non più dal protagonista, ma dall’assassino (creando una delle unioni tra stacco di montaggio e regia più belle che il cinema ricordi probabilmente) è probabilmente la scena simbolo di tutto ciò. E la fotografia di Storaro continua a catturare zone urbane buie dove la regia di Argento, creata attraverso dettagli improvvisamente evidenziati quasi come jumpscare o con piani sequenza che evidenziano totale smarrimento, crea un senso di profonda solitudine e paura di venire colpiti da un momento all’altro, fatta eccezione per le rare scene di giorno in cui il protagonista è da solo con la sua ragazza dove, non a caso, la stessa fotografia di Storaro sfrutta i raggi del sole per indicare brevi momenti di pace che Argento vuole concedere per ricordare allo spettatore un po’ di umanità che ancora consideriamo appagante e normale mentre la natura della nostra anima è circondata da cattiverie terrificanti.

Ma Dario Argento sfrutta la follia umana anche per raccontare qualcosa di politico (e qui vi consigliamo di superare direttamente l’immagine dopo aver saltato le righe una volta chiusa questa parentesi se non avete visto il film e volete recuperarlo senza sapere chi è l’assassino), poiché il terrore della città che uccide tutte queste vittime donna… non è altro che la vittima che Tony stesso salverà all’inizio del film, ovvero Monica che stava assalendo suo marito che si stava difendendo ma che poi la coprirà diventando suo complice per proteggerla. Al di là di uno dei colpi di scena più geniali che si potessero fare e che all’epoca sconvolse gli spettatori, al di là di una perversa ma dichiarata manifestazione d’amore da parte del marito complice, che di per sé basterebbero ad elevare un’opera già straordinaria di per sé, il grande tocco finale viene dato dalla spiegazione della natura di Monica: la ragazza è stata aggredita da un uomo ed il trauma sarà così forte che, una volta ricordato a causa di un quadro in cui si descrive una violenza, la trasformerà in carnefice a sua volta. In questo modo Dario Argento denuncia come la violenza genera solo altra violenza, rappresentando in modo originale la disperazione apparentemente vendicativa di vittime emarginate che si sentono così sole in questo mondo che non possono fare altro che adeguarsi ad esso seguendo l’esempio del male puro. Lo stesso marito di Monica, pur di non lasciarla finire male, si trasforma in assassino come lei pur di proteggerla, rivelando un’altra forma di disperazione pur di non rinunciare all’amore. Tutto ciò viene raccontato da un esperto psichiatra e, alternandosi con le inquadrature che vedono il protagonista finire il suo viaggio che poi chiuderanno il film, ci si rifà ancora una volta ad Hitchcock riprendendo quasi la stessa struttura narrativa del finale di “Psycho”.

“L’Uccello Dalle Piume Di Cristallo”, dopo circa 50 anni, è ancora un’opera straordinariamente fresca, attuale e moderna, capace di far capire come un giallo, se confezionato come si deve, potrà essere immortale, perché le grandi idee di registi che vogliono sfidare sé stessi per portare qualcosa di fresco e che vogliano solamente esprimere un concetto al massimo della loro volontà visiva e di scrittura possono davvero lasciare il segno. A distanza di tanto tempo, Dario Argento ha lasciato il segno con qualcosa che vi riempirà di cardiopalma fino alla fine della visione.

Andrea Barone