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Doctor Strange: quando la Marvel accoglie George Méliès

recensione Doctor Strange

Mancano tre giorni all’uscita di “Doctor Strange Nel Multiverso Della Follia” che vedrà il ritorno di Sam Raimi dietro la macchina da presa, così ci sembrava una buona idea riprendere la visione del primo film che ha permesso allo stregone più iconico dei fumetti l’ingresso nel Marvel Cinematic Universe: “Doctor Strange” diretto da Scott Derrickson ed uscito nel 2016.

 

La trama vede il Dottor Stephen Strange, noto chirurgo professionista, continuare a cercare pazienti con gravi sintomi per espandere di più la propria carriera, ma un grave incidente gli impedisce di utilizzare le mani in modo permanente. Lo stimato dottore è disperato, ma sente parlare di un posto di nome Kamar-Taj dove si praticano cure miracolose. Queste cure però si rivelano essere lo studio delle arti magiche che permettono di scoprire segreti incredibili sui vari mondi e di praticare incantesimi con cui è possibile fare cose che i normali esseri umani reputano impossibili. Stephen però dovrà stare molto attento a non farsi trascinare troppo dalle possibilità infinite della magia, a differenza di Kaecilius, ex allievo dell’Antico (stesso maestro di Strange), che vuole sconvolgere tutte le leggi dell’universo attirando delle minacce oscure con le quali Strange dovrà fronteggiarsi.

 

Scott Derrickson è un regista abituato a realizzare espedienti visivi che riflettano sulle reazioni e sullo straniamento dei personaggi di fronte ad eventi scioccanti che rischiano di mettere a dura prova la loro psiche, come per esempio in “Sinister“, dove la macchina da presa si focalizzava sul viso dell’attore Ethan Hawke mentre dettagli inquietanti erano sparsi in modo da far sentire lo spettatore smarrito e sorpreso di fronte ad una realtà soprannaturale inquietante che pervade nel subconscio. Questa penetrazione appena descritta era una base perfetta per sceglierlo come regista di un film in cui corpo e anima si fondono sia letteralmente che concettualmente, dato che vediamo spesso il corpo del Dottor Strange uscire dalla propria dimensione fisica per entrare in portali in cui non si distinguono più le illusioni da altre realtà che appaiono infinite sia per numero che per varietà visiva. Le particolarità visive di Derrickson non mancano attraverso inquadrature che esaltano il gioco degli sguardi e diversi dettagli sono catturati in campi inizialmente innocui che poi si rivelano di notevole impatto visivo e fondamentali per cogliere azioni che stanno per essere compiute.

 

Ma nell’apparato tecnico di Doctor Strange emerge una delle caratteristiche principali che possono rendere un’esperienza da blockbuster indimenticabile, ovvero il momento in cui la ricerca verso il pubblico si sposa con la ricerca dell’ingegno. Per spiegarsi meglio: la caratteristica cartacea principale di Doctor Strange è quella di realizzare magie che riescano a sorprendere con uno sfoggio di colori, nuovi mondi e creature che facciano sbizzarrire la matita dei creatori fumettistici in modo che i lettori ne rimangano catturati. Il Marvel Cinematic Universe, dietro le direttive volontarie di Kevin Feige, cerca in tutti i modi di trasformare l’editoriale fumettistico in un metodo narrativo e produttivo cinematografico, per questo la ricerca del campo visivo mostrata da Stan Lee e Steve Dikto nell’opera originale diventa automaticamente la ricerca della spettacolarizzazione, perché più spettacolo fai, più pubblico sorprendi. Ma maghi e stregoni sono già entrati nel recente immaginario collettivo delle persone al cinema con “Il Signore Degli Anelli” ed “Harry Potter“, per questo in che modo si può creare stupore attraverso un personaggio che può letteralmente fare qualsiasi cosa senza limiti?

 

Ed è qui che la ricerca della spettacolarizzazione ha bisogno della ricerca di idee visive che racchiudano la magia e la rappresentazione infinita dello spazio, così la spettacolarizzazione diventa una delicata e bizzarra sperimentazione che permette un uso della cgi straordinario: il corpo di Doctor Strange si fonde con l’ambiente circostante, la Terra si divide in varie parti mentre anche un vicolo normale si trasforma in un gioco di illusioni e l’universo intero mostra mondi mai visti che anch’esse allo stesso tempo si dividono in varie parti completamente diverse a seconda dei punti di vista. “2001: Odissea Nello Spazio” di Stanley Kubrick ed “Inception” di Christopher Nolan sono solo alcune delle principali fonti di ispirazione per creare qualcosa che trascende la logica umana e che immerga lo spettatore in un mondo parallelo talmente improbabile quanto reale, perché è difficile contare quante tavole fumettistiche e quanti disegni pittorici astratti siano stati presi in considerazione per preparare tanta creatività visiva, come ammesso dagli stessi realizzatori del film e come è evidente in moltissime inquadrature. Tra vari esempi che dimostrano ciò, il momento in cui il protagonista conosce per la prima volta la magia rimarrà probabilmente impresso tra le scene più iconiche del decennio cinematografico scorso.

 

Ma se il film può dimostrarsi uno dei principali discendenti del cinema delle attrazioni creato da George Méliès, dove ogni momento magico era un pretesto per far sognare il pubblico con qualcosa che nel mondo reale non vedrebbe mai, ma risulterebbe tanto credibile da far beare gli occhi, l’obiettivo dell’opera non si pone come meraviglia solamente attraverso l’impostazione visiva. Proprio il concetto della percezione di nuove cose estranee alla nostra comprensione penetrano nelle convinzioni del protagonista, abituato prima a quadrare il mondo solo attraverso un modo di vedere tutto che rientri negli schemi da lui prefissati:

 

  • Tutto ciò che c’è nel mondo è materia.
  • La materia si può controllare attraverso le proprie capacità e conoscenze.
  • Più conoscenze si hanno, maggiore è la capacità dell’uomo di avere il controllo.
  • Più controllo c’è, più l’uomo rimane al centro del mondo e rimanendo al centro del mondo rimarrà invincibile.

 

Il mito del superuomo al centro di tutto è la base della percezione di Stephen Strange prima di conoscere la magia. E quando la magia viene finalmente conosciuta, facendo apparire il protagonista come un elemento piccolo nelle vastità del cosmo, l’obiettivo di Stephen Strange è arrivare come primo stregone per guarire le sue capacità cognitive. Attraverso la sua ricerca, la curiosità di poter espandere le abilità per manipolare e controllare il mondo crescono. Da qui è interessante il concetto di andare a controllare le leggi della natura, su cui spesso Stephen è in continua tentazione. C’è infatti il personaggio di Kaecilius che vuole ottenere più potere possibile affinché l’umanità possa ottenere la vita eterna ed affinché lui stesso potrà sentirsi finalmente intoccabile da tutti rispetto alla vita che lo ha distrutto (concetto puramente simbolico perché il villain non è approfondito quanto il protagonista ed i suoi comprimari). Questo contrasto con Stephen Strange è un continuo confronto dell’ego dell’essere umano… e perché tale contrasto c’è? Se Stephen infrange le regole della natura e Kaecilius infrange le regole della natura, dove avviene davvero il contrasto?

 

 

La differenza fondamentale che tramuta il cambiamento di Strange è che la manipolazione delle regole della natura per fare qualsiasi cosa avviene solo nel punto in cui Doctor Strange vuole salvare la Terra dal desiderio di immortalità di Kaecilius. Quello che ricerca Kaecilius è la consapevolezza interna di non apparire più vulnerabile alla vita, mentre lo stregone supremo vuole evitare che succeda una catastrofe, prendendo consapevolezza dei propri rischi e dell’ambiguità tra bene e male, ambiguità che non viene accolta bene da tutti (la reazione negativa di Kal Mordo è interessante proprio per questo). Non a caso Stephen Strange è disposto a soffrire in eterno pur di salvare gli altri: da qui non c’è più la ricerca del primato del mondo, non c’è più la ricerca del riuscire a prevedere ed a contrastare tutto il male che ti viene a distruggere, ma solo arrendevolezza alle circostanze e consapevolezza dell’imprevedibilità del cosmo per rendersi conto delle proprie vulnerabilità in modo da accettare il cambiamento del tempo che scorre. Niente più ego, niente più sé stessi al primo posto: solo umanità di fronte a ciò che è necessario per salvarla, perché non gira tutto attorno a noi e niente è preparato per noi. Tutti questi concetti sono spiegati spesso in maniera didascalica, ma il didascalismo, fuso con lo straniamento dell’espansione e creatività visiva di ogni sequenza, non pesa mai ed ha le giuste misure affinché la comprensione del dialogo sia uno spunto per riflettere e non un’imposizione.

 

Attraverso questa ricerca visiva che equilibra la ricerca di stupore e rispetto per il grande pubblico ed attraverso il concetto di uomo che si sposa perfettamente con le sequenze spettacolari a tal punto da incuriosire anche la ricerca dell’umano, “Doctor Strange ” è sia uno spettacolo per gli occhi che intrattiene benissimo e sia un interessante spunto di riflessione per apprezzare i personaggi e rispecchiarsi in essi. Grazie a tutti questi elementi, il primo capitolo sullo stregone supremo non solo pone già ottime speranze per il secondo capitolo a prescindere dalla presenza di Raimi, ma ha anche grandi potenzialità per essere ricordato in futuro come uno dei più audaci cinecomic mai realizzati e sicuramente uno dei migliori film del Marvel Cinematic Universe che sposa arte e produttività alla perfezione.

 

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