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#Venezia80: la classifica di tutti i film dal peggiore al migliore

Festival di Venezia 2023: la classifica dei film

Il Festival di Venezia è giunto alla sua ottantesima edizione, portando numerosi titoli che hanno fatto discutere nel corso di tutta l’edizione: tra titoli amati, titoli odiati e titoli controversi, i lungometraggi pieni di contenuto non sono di certo mancati. Tuttavia quali di questi hanno saputo distinguersi al meglio durante le varie proiezioni?

I film del Festival di Venezia 2023 dal peggiore al migliore

In attesa delle premiazioni, la redazione di Quarta Parete ha deciso di realizzare una top di tutti i film in concorso che sono stati dati al festival. La top è basata sulle medie ottenute dai vari titoli. Oltre alla competizione, sono stati inseriti anche i film degli autori più attesi che sono stati selezionati fuori concorso, mentre è esclusa la sezione Orizzonti, fatta eccezione dei suoi due titoli più amati che meritavano assolutamente di ottenere una menzione. Ecco, di seguito, la classifica di tutti i film di Venezia 80 dal peggiore al migliore.

Venezia 80: la classifica di tutti i film

31) “Aggro Dr1ft” di Harmony Korine

Harmony Korine si serve dell’intelligenza artificiale per destrutturare il cinema e creare un nuovo linguaggio che si fonda con l’evoluzione videoludica, ma il risultato di questa ambizione è un pasticcio senza precedenti: non esiste trama, non esiste costrutto e non esiste narrazione. “Aggro Dr1ft” è una masturbazione mentale fine a sé stessa con una fotografia, realizzata interamente con il visore termico, che è un pugno in un occhio come poche se ne sono viste.

30) “L’Ordine Del Tempo” di Liliana Cavani

C’è differenza tra il rifarsi alle grandi opere del passato ed il realizzare un film vecchio, cosa che è sfuggita a Liliana Cavani: il suo “L’Ordine Del Tempo” è un semplice agglomerato di discorsi banali e generalisti, con personaggi che non hanno uno sviluppo, accompagnati da una regia che non presenta alcun guizzo.

29) “Holly” di Fien Troch

Un altro disastro che sembra partire con delle premesse interessanti, ma che finisce per contraddirsi più volte non sapendo dove deve andare a parare. “Holly” è un film che vorrebbe criticare l’eccessivo attaccamento a figure mistiche da parte delle persone che non sanno risolvere i loro problemi da soli, ma se già tale contesto sociale risulta superficiale, il film si dimentica di parlare proprio della stessa protagonista da cui prende il titolo.

28) “Memory” di Michel Franco

Michel Franco vuole rappresentare il superamento del trauma dello stupro ed allo stesso tempo mostrare i disagi creati dalla demenza, ma questi due temi delicati cozzano tra di loro, creando una pessima superficialità da entrambe le parti. Inoltre il finale di “Memory” non esiste e ci sono diversi momenti che non tornano con il realismo ricercato nella messinscena.

27) “The Palace” di Roman Polanski

Da Polanski ci si poteva aspettare tutto, ma non che facesse un cinepanettone. Il problema è che anche i film più beceri di Neri Parenti risultano superiori: “The Palace” è infatti un’accozzaglia di volgarità che si dilunga fino allo sfinimento, con sottotesti politici inesistenti e personaggi antipatici che non hanno una reale costruzione, attraverso una tecnica visiva che non sembra appartenere nemmeno allo stesso regista che pochi anni fa ha realizzato “L’Ufficiale E La Spia“.

26) “La Teoria Del Tutto” di Timm Kroger

Realizzare un omaggio alla fantascienza degli anni 50 mischiando quest’ultima con il cinema di David Lynch è un’idea splendida, ma serve a nulla se poi il film non parte mai, perché il ritmo impedisce all’opera di decollare per almeno un’ora e mezza. “La Teoria Del Tutto” non riesce ad essere salvata da un’ottima tecnica ed un finale interessante, risultando essere una forte occasione sprecata.

25) “Dogman” di Luc Besson

Luc Besson vuole raccontare l’emarginazione creando la sua versione di “Joker” di Todd Phillips, ma il suo tentativo è decisamente meno riuscito a causa di personaggi con reazioni umane ridicole: ogni cosa appartenente a “Dogman” viene enfatizzata fino allo sfinimento e persino i cani, che dovrebbero essere la parte più divertente, risultano essere decisamente di troppo.

24) “Lubo” di Giorgio Diritti

Nonostante l’interessante caratterizzazione del protagonista Lubo, da cui il film prende il titolo, le cose sfuggono di mano a Giorgio Diritti, poiché sembra che quest’ultimo non sappia mai se raccontare una tragedia storica o le vicende personali della vita di un uomo. Nonostante l’autore voglia mischiare le due cose, il risultato finale risulta essere un pasticcio insipido anche difficile da digerire per le inspiegabili 3 ore di durata.

23) “Finalmente L’Alba” di Saverio Costanzo

Si potrebbe apprezzare il tentativo di rifarsi a Fellini per criticare la borghesia italiana che schiaccia i sogni e le speranze dei giovani, ma “Finalmente L’Alba” si limita ad essere un agglomerato di sensazioni didascaliche che non arrivano mai al punto, facendo sentire più il disagio dello spettatore piuttosto che quello della protagonista, a causa di tempi morti e di caratterizzazioni stereotipate.

22) “Enea” di Pietro Castellitto 

Che cosa vuol dire il nome Enea? Un riferimento alla scoperta di Roma, città che ancora oggi è rimasta un impero dittatoriale a causa dei padroni che controllano la gioventù? Domande interessanti che vengono spiattellate all’infinito a forza, ottenendo una versione pompata di “I Predatori“, ma con molta più incertezza narrativa ed esperimenti visivi fini a sé stessi, attraverso scene eccessive che distolgono solo l’attenzione dal già blando significato del film.

21) “La Bete” di Bertrand Bonello

La Bete” è un misto tra “Se Mi Lasci Ti Cancello“, “Her” ed “Equals“, con la differenza che non riesce ad avvicinarsi nemmeno minimamente alla qualità di questi ultimi. La denuncia all’alienazione della tecnologia è inutile se un soggetto semplice riassumibile in 20 minuti viene destrutturato in un film di oltre 2 ore attraverso giochini intellettuali che aumentano soltanto i vuoti narrativi che spesso non raccontano niente.

20) “Priscilla” di Sofia Coppola 

Sofia Coppola vuole distruggere il mito di Elvis attraverso gli occhi della moglie Priscilla. Il problema dell’ambiziosa operazione risiede nel fatto che il film non è altro che una sequenza di lamenti da parte di Elvis stesso, risultando un piatto mostro maschilista, mentre la protagonista si limita ad osservare senza avere un vero mordente nonostante le buone interpretazioni degli attori.

19) “Comandante” di Edoardo De Angelis

Con “Comandante” si inizia a parlare dei migliori film di Venezia80, perché Edoardo De Angelis ha realizzato un vero e proprio colossal italiano, senza rinunciare al suo stile individuale e mettendo al centro della narrazione le paure dei protagonisti attraverso un senso di claustrofobia notevole. La cosa ancora più riuscita riguarda la ricerca di umanità e di fratellanza racchiusa nei rapporti tra i soldati italiani ed i soldati belgi.

18) “The Caine Mutiny Court Martial” di William Friedkin

The Caine Mutiny Court Martial“, opera postuma del compianto William Friedkin, riesce a creare un ritratto dell’ipocrisia e dell’aggressività dell’America semplicemente attraverso dialoghi girati in una sola stanza nella maggior parte del tempo. Il teatro portato al cinema da Friedkin riesce a trascinare con un ottimo bilanciamento della tensione, del dramma e persino dei momenti comici inattesi ma funzionali.

17) “Adagio” di Stefano Sollima

Stefano Sollima torna a girare in Italia realizzando una corsa adrenalinica grazie ad interessanti caratterizzazioni dei personaggi ed una denuncia spietata verso la prepotenza nascosta anche tra le forze dell’ordine. Attraverso “Adagio“, il regista chiude la sua trilogia della criminalità romana con un racconto di redenzione avvincente e che mette al centro le nuove generazioni che possono ancora farsi un futuro.

16) “El Conde” di Pablo Larrain

Pablo Larrain crea un ritratto satirico di Pinochet molto intelligente, trasformando quest’ultimo, chiamato per l’appunto El Conde, in un vampiro ed omaggiando il cinema espressionista. La grande tecnica visiva di Larrain utilizza questi mostri celebri per racchiudere, in un’unica miscela, un’enfatizzazione spietata dell’ideologia dittatoriale ancora presente nel mondo, non risparmiando nemmeno la Chiesa e le grandi potenze occidentali

15) “Coup De Chance” di Woody Allen

Woody Allen distrugge la prepotenza causata dalla ricchezza e crea un ritratto nostalgico dell’umanità proveniente dai ceti medi, continuando ad approfondire l’influenza della casualità, l’amore dell’arte e l’attrazione per il passato. Con “Coup De Chance” l’autore dimostra di non essere invecchiato un giorno, creando un incredibile thriller a tinte comiche interpretato da attori perfetti.

14) “Maestro” di Bradley Cooper

Dopo “A Star Is Born”, Bradley Cooper torna in grande stile rappresentando la vita di un’artista come una sinfonia che si alterna continuamente tra una dolce melodia ed una tremenda tempesta. La grandezza tecnica di “Maestro” è messa al servizio di una narrazione coinvolgente che usa la figura del protagonista per esaltare ancora di più la carica emotiva di Felicia Montealegre, interpretata da una splendida Carrey Mulligan.

13) “Kobieta Z” di Malgorzata Szumowska e  Michal Englert

“Kobieta Z” dovrebbe essere un esempio per tutti su come si realizza una storia sulla transessualità: la semplicità con cui viene realizzato il racconto evidenzia una profonda umanità, utilizzando un approccio quasi documentaristico che lentamente trasforma in una donna il personaggio protagonista non solo attraverso le vicende, ma anche nei tocchi visivi riservati allo spettatore.

12) “The Killer” di David Fincher

David Fincher dimostra ancora una volta di essere un grande maestro della tensione, sfornando un lungometraggio ricco di adrenalina con scene d’azione che tolgono il fiato ed una sorprendente visione dello sguardo. In “The Killer” è ancora più interessante la rappresentazione della macchina omicida che è il protagonista e di come il tentativo di essere sempre distaccato dal mondo non possa mai essere seguito fino in fondo.

11) “Ferrari” di Michael Mann

Attendere per anni il ritorno di Michael Mann ha dato i suoi frutti: con “Ferrari” l’autore ha realizzato un ritratto dello sport creando un equilibrio tra esaltazione e crudeltà che si riflette anche nelle vicende familiari dei personaggi, rappresentando la natura umana in maniera incredibile e dando come risultato uno dei biopic più intensi che siano stati realizzati nell’ultimo decennio.

10) “Hit Man” di Richard Linklater

Soltanto Linklater poteva realizzare una commedia d’amore che allo stesso tempo diventasse un trattato metacinematografico sulla maschera pirandelliana e sull’importanza dell’improvvisazione. In “Hit Man” le battute comiche geniali vanno a braccetto con una crescita del pathos che trasforma l’evoluzione dei personaggi in un’originalissima ricerca di identità.

9) “Hokage” di Shinya Tsukamoto

Uno dei registi più influenti del cinema nipponico torna al genere drammatico per creare una ricerca intimista contro la guerra. “Hokage” distrugge, attraverso gli occhi di un bambino, la violenza gratuita con cui l’essere umano si accanisce verso i propri simili, evidenziando l’importanza di aiutare il prossimo e la continua ricerca di amore che potrebbe non essere ricambiata ma non per questo dimenticata.

8) “Povere Creature” di Yorgos Lanthimos

Il mito di Frankenstein viene completamente ribaltato per raccontare una favola filosofica sul ruolo della donna nel mondo, con numerose riflessioni sul dominio e l’importanza della libertà individualista e sessuale. Le povere creature sono rappresentate da Lanthimos in immagini straordinarie che vengono ulteriormente appagate da performance capaci di bucare lo schermo ad ogni inquadratura.

7) “Bastarden” di Nikolaj Arcel

Il western riemerge in “Bastarden“, un lungometraggio estremamente toccante che riesce a denunciare la prepotenza della borghesia… ma non solo: allo stesso tempo infatti, il film riesce a raccontare un viaggio nell’anima dove il tempo ed i rapporti umani trasformano gli obiettivi di rivalsa ricercati dalla società in una nuova scoperta di sé stessi.

6) “Zielona Granica” di Agnieszka Holland

Agnieszka Holland si rifà a “Schindler’s Listdi Steven Spielberg per rappresentare in maniera dura e cruda tutte le aberrazioni violente che si verificano sui corpi degli immigrati nei confini tra la Bierolussia e la Polonia. Oltre alle intense scene di maltrattamento sugli immigrati, “Zielona Granica” racconta in modo sublime anche il senso di colpa dei soldati non fascisti e dell’importanza dei volontari.

5) “Io Capitano” di Matteo Garrone

Anche Matteo Garrone non scherza a fatto e, attraverso “Io Capitano“, racconta ogni singolo dettaglio del viaggio intrapreso dagli immigrati senegalesi per raggiungere le nostre acque, dimostrando una profonda umiltà per mettersi al servizio della storia e creando una delle rappresentazioni più potenti che siano mai state realizzate sul tema. Realtà e racconto cinematografico si fondono in un’opera di rara bellezza.

4) “Il Male Non Esiste” di Ryusuke Hamaguchi

Dopo la grande vittoria di “Drive My Car”, Ryusuke Hamaguchi crea un delicato ritratto politico attraverso la potenza intima delle immagini della foresta, rappresentando l’eterno conflitto tra ricerca del progresso e rabbia della natura. Con “Il Male Non Esiste” è incredibile quanto il rapporto tra uomo e natura sia messo in parallelo con il rapporto tra borghesia e proletariato, evidenziando l’importanza della comunicazione e dell’ascolto.

3) “Hors-Saison” di Stéphane Brizé

Stephane Brize cambia completamente il registro del suo cinema per costruire una storia d’amore nostalgica che si interroga sul vuoto dell’animo umano e sulla paura del tempo. Nello straordinario “Hors-Saison”, le inquadrature intrappolano i personaggi dentro un’incertezza senza fine, ripercorrendo il percorso della loro vita attraverso dei semplici sguardi che comunicano una grande bellezza all’interno della propria fragilità.

2) “Tatami” di Guy Nattiv e Zar Amir Ebrahimi

Tatami“, girato con estremo coraggio, è sicuramente uno degli inni alla libertà più belli che il cinema moderno abbia mai conosciuto, fondendo le culture occidentali con le culture orientali attraverso la potenza dell’immagine e mettendo al centro di tutto l’importanza della scelta che viene comunicata in ogni singolo frame, con un risultato finale che dovrebbe essere insegnato in ogni scuola.

1) “DAAAAAALI!” di Quentin Dupieux

Ed il trionfo totale del Festival di Venezia 2023 va ad un’opera presentata fuori concorso: “DAAAAAALIdi Quentin Dupieux è una sfida anarchica che sovverte le regole del linguaggio cinematografico, distruggendo il sistema hollywoodiano, ponendo dubbi su qualsiasi legittimità narrativa e creando dei personaggi estremamente esilaranti che non riescono a comprendere se hanno il controllo sulla storia o se è l’esatto contrario. Lo straordinario uso del montaggio e l’arte visiva di Dupieux riporta la commedia su livelli che trascendono qualsiasi concetto in un capolavoro supremo.