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Recensione – El Conde: il film di Pablo Larraìn a #Venezia80

La recensione di El Conde, film di Netflix di Pablo Larraìn

El Conde è un film scritto e diretto da Pablo Larraìn, presentato in anteprima mondiale in concorso alla 80esima Mostra Internazionale del Cinema di Venezia il 31 agosto 2023. Il cast è composto da Jaime Vadell, Gloria Münchmeyer, Alfredo Castro, Paula Luchsinger. La distribuzione è prevista sulla piattaforma di Netflix il 15 settembre 2023, mentre la durata è di 110 minuti. Di seguito la trama e la recensione di El Conde, diretto da Pablo Larraìn.

La trama di El Conde, diretto da Pablo Larraìn

Ecco la trama ufficiale di El Conde, scritto e diretto da Pablo Larraìn:

 

El Conde è una commedia dark/horror che ipotizza un universo parallelo ispirato alla storia recente del Cile. Il film ritrae Augusto Pinochet, un simbolo del fascismo mondiale, nei panni di un vampiro che vive nascosto in una villa in rovina nella fredda estremità meridionale del continente: nutre il suo desiderio di malvagità al fine di perpetuare la propria esistenza. Dopo duecentocinquanta anni di vita, Pinochet decide di smettere di bere sangue e di abbandonare il privilegio della vita eterna. Non può più sopportare che il mondo lo ricordi come un ladro. A dispetto della natura deludente e opportunistica della sua famiglia, trova una nuova ispirazione per continuare a vivere una vita di passione vitale e controrivoluzionaria attraverso una relazione inaspettata.”

La recensione di El Conde, film di Netflix di Pablo Larraìn

La recensione di El Conde: la satira di Larraìn non incide come avrebbe dovuto

El Conde è il decimo lungometraggio di Pablo Larraìn, regista cileno la cui summa poetica è stata perfezionata con il film Ema, un’opera anarchica e perciò di rottura con i suoi precedenti lavori. In seguito, l’autore ha tentato la via della sperimentazione con il biopic Spencer, nel quale è stato scelto l’horror come genere principale per veicolare quel senso di claustrofobia percepito dalla principessa Diana. In El Conde, Larraìn torna a esporre l’ideologia di sempre, i suoi incubi e la sua voglia di libertà artistica, e rappresenta il dittatore Pinochet come il conte Dracula in una satira dai toni dark e grotteschi. Tuttavia, se in Ema la voglia dell’autore cileno perfora lo schermo sia esteticamente che contenutisticamente, in El Conde – dal 15 settembre su Netflix in quanto prodotto originale della nota piattaforma – le intenzioni vengono messe in chiaro dal primo momento, con un’allegoria sulla carta avvincente. Il Generale ha derubato il Cile e assassinato numerose persone, tanto che la scelta del vampiro come figura simbolica per una personificazione può essere interpretata in diverse chiavi di lettura. In primo luogo, Pinochet ha letteralmente e corporalmente “succhiato il sangue” dalla popolazione cilena, economicamente e biologicamente, togliendo la vita di non un numero elevatissimo di persone. Inoltre, il suo spettro continua costantemente ad aleggiare in Cile, come un incubo perenne da cui non si ha la possibilità di sfuggire. La scelta di sfoggiare una brillante fotografia in bianco e nero – Netflix ha ben abituato il suo pubblico da questo punto di vista – richiama il punto di vista concreto di un vampiro, il quale vede in bianco e nero per l’appunto. A ciò si aggiungono i richiami della Storia internazionale e della Storia del cinema: la prima per la presenza di alcuni personaggi tra i più temibili di sempre; la seconda per il taglio espressionista, netto richiamo ad un classico come Nosferatu. Anche quest’ultimo ha distrutto un popolo spargendo su di esso la peste, sinonimo di morte e sofferenza

 

Una premessa doverosa riguarda il regista, un Maestro del cinema contemporaneo per come è riuscito a fondere con costanza ritmata la sua arte con la politica cilena, estesa successivamente a quella statunitense. Proprio la politica è molto presente anche nell’ultimo film targato Netflix, tanto da affidare il ruolo del narratore onnisciente, prima esterno e poi rivelatosi interno, alla Lady d’acciaio. Margaret Thatcher è la madre di Pinochet in questa folle rappresentazione vampiresca, in quanto morsa lei per prima da una creatura della notte. L’ex primo ministro britannico ha seguito con attenzione il corso della Storia, la quale si ripete in maniera circolare (i cerchi sono da sempre presenti nel cinema di Larraìn) come un vero appuntamento fisso scandito nel tempo. Ciò è anche la dimostrazione di come i rapporti tra i paesi cosiddetti “principali” e quelli “secondari”, i cui confini sono chiaramente segnati dal gioco di potere e dalle finanze, sono in comunicazione: Pinochet ha instaurato un dialogo economico con gli Stati Uniti per la Guerra Fredda, in quanto l’obiettivo degli americani è esattamente quello di combattere sotto traccia i comunisti. Purtroppo però, al netto di quanto descritto finora, El Conde risulta essere una satira poco incisiva e piuttosto deludente per ciò che concerne la costruzione della narrazione. Infatti, l’ultimo film di Larraìn è una messa in sequenza di scene ridondanti e per di più scarne di battute – la maggioranza sono blande – dove soltanto un paio di scambi dialogati si elevano per memorabilità. Il tema dei vampiri segue il solito canovaccio anche in questo caso, ma l’infermiera-Van Helsing viene utilizzata come l’intervistatore in Il Club, in un luogo chiuso e abituato da un gruppo di persone poco in sintonia tra loro. Il braccio destro politico di Pinochet è anche lui una creatura della notte, ma il litigio posto come un odio et amo tra la fedeltà e tra il desiderio erotico nutrito nei confronti della moglie di Pinochet è un meccanismo fin troppo banale

 

A tal proposito, proprio le semplificazioni sono all’ordine del giorno nel film: gli espedienti narrativi sono eccessivamente lineari e poco audaci per un regista del calibro di Larraìn. Anche il finale e l’arrivo della Thatcher possono essere interessanti se legati al concetto storico sopra riportato, ma di fatto aggiungono poco ad un finale grottesco poco ispirato e basato perlopiù sui sentimenti umani quali gelosia, invidia, brama. Il tocco di colore indica però un perpetuarsi preoccupante delle vicende politiche riguardanti Pinochet, e in tal senso le poche risate lasciano spazio all’amarezza. La Storia si ripete, ma anche El Conde è un’opera cinematografica piuttosto ripetitiva. Il rosa mostrato nel titolo del poster indica concettualmente la concretezza con cui agiscono le donne, mentre gli uomini (politicamente e socialmente) parlano più del dovuto ma entrano in campo soltanto per soldi o per sfogare i loro istinti sessuali. Nota a margine: i personaggi della famiglia in attesa dell’eredità regalano qualche piccolo momento all’insegna della simpatia, ma nei fatti non vengono utilizzati come dei personaggi diegetici, bensì come delle presenze clownesche. In sostanza, convince l’estetica ma non la satira, poiché non aggiunge altro alla già meravigliosa poetica del regista cileno, risultando addirittura autoreferenziale.

Voto:
3/5
Andrea Barone
4.5/5
Gabriele Maccauro
3/5
Alessio Minorenti
2.5/5
Paola Perri
4/5
Vittorio Pigini
2.5/5
Bruno Santini
3.5/5
Giovanni Urgnani
4/5
0,0
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