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Recensione – Hokage (Ombra di Fuoco): il film di Shin’ya Tsukamoto a #Venezia80

Presentato in anteprima a Venezia80, Hokage è il nuovo film di Shin’ya Tsukamoto, con cui conclude una sua personale trilogia.
Il film Hokage, di Shin'ya Tsukamoto

La recensione di Hokage (Ombra di Fuoco), il nuovo film di Shin’ya Tsukamoto presentato in anteprima all’80esima Mostra Internazionale D’arte Cinematografica di Venezia nella sezione Orizzonti. Nel cast Shuri, Oga Tsukao, Hiroki Kono e Mirai Moriyama. Di seguito, ecco trama e recensione del film.

La trama di Hokage (Ombra di Fuoco), diretto da Shin’ya Tsukamoto

Prima di passare all’analisi e recensione di Hokage (Ombra di Fuoco), come sempre, ecco la sinossi del film: “Il film è ambientato in un mercato nero che ricomincia a prendere vita dopo la devastazione della Seconda guerra mondiale. In un piccolo ristorante giapponese quasi completamente distrutto dal fuoco, una donna si guadagna da vivere vendendo il proprio corpo. Tutta la sua famiglia è morta durante il conflitto. Un orfano di guerra entra furtivamente nella casa della donna per rubare, mentre un giovane soldato smobilitato arriva come cliente. I tre incominciano una strana vita insieme. Ma dura poco: i ricordi di guerra del soldato finiscono per distruggere le vite di tutti e tre. L’orfano, dopo aver raccontato che un venditore ambulante del mercato nero gli ha offerto un lavoro, parte con lui per un viaggio, ignorando i tentativi della donna di fermarlo. Il venditore di strada è un uomo intrepido, ma il suo viaggio ha l’orrendo scopo di porre fine alle ferite che gli sono state inflitte durante la guerra“.

La recensione di Hokage (Ombra di Fuoco), il nuovo film di Shin’ya Tsukamoto

Per il Giappone, quella della seconda guerra mondiale è una ferita ancora aperta. Troppo grande il dolore, troppe le ripercussioni subite dal suo popolo. Shin’ya Tsukamoto torna dietro la macchina da presa con Hokage (Ombra di Fuoco), presentato in anteprima all’80esima Mostra Internazionale D’arte Cinematografica di Venezia nella sezione Orizzonti e terzo capitolo di quella che potremmo definire la Trilogia della Guerra, iniziata ormai quasi 10 anni fa: se però con Nobi (Fires on the Plain, 2014) raccontò la storia di alcuni soldati giapponesi mandati a combattere nelle Filippine durante il secondo conflitto mondiale e con Zan (2018) una storia di samurai durante il periodo Edo ed al termine del loro dominio, con Hokage vi è un approccio diverso: l’obiettivo di questo film – indubbiamente il più forte, insieme a Tatami, di questa ottima edizione di Orizzonti – è infatti antimilitarista, ma si va a concentrare in primis sui giovani. Tsukamoto è infatti particolarmente preoccupato per il loro futuro – un fattore è di certo l’aumento da parte del governo giapponese delle spese per la difesa – ma anche per la memoria storica, perché i giovani non devono andare in guerra e le persone che l’hanno vissuta sono sempre meno. Per Tsukamoto, ricordare è fondamentale, come lo è conoscere il proprio passato per un futuro migliore.

 

I disastrosi effetti della guerra li possiamo notare sin dalla prima inquadratura, da quel ristorante bruciato come l’apparizione dello stesso titolo su schermo, passa attraverso il passato e presente dei personaggi e culmina con quella parte finale in cui il bambino prende coscienza e consapevolezza e capisce quale deve essere il suo ruolo in questa vita, la necessità di aiutare il prossimo e di respingere e provare repulsione per la guerra. D’altronde, stiamo anche parlando di un orfano, la donna che lo ha preso sotto la propria ala protettiva ha perso figlio e marito in guerra e l’ex soldato con cui parte in missione è solo, con entrambi distrutti dagli avvenimenti bellici che hanno portato via loro tutto ciò che avevano. Lui però è così giovane e puro, innocente, ha già visto e vissuto più di quanto un bambino della sua età dovrebbe e non deve subire quello che hanno subito loro, non lo merita. Con la donna vi è poi un rapporto ancor più speciale, perché lei è stata anche moglie e madre e non è un caso che ci sia una sorta di passaggio di consegne riguardante la soggettiva che lo spettatore segue, che prima è quella della donna e poi diventa quella del bambino, come ci fosse appunto un legame indissolubile madre-figlio.

 

Ciò che poi fa specie, è certamente ritrovare Shin’ya Tsukamoto così cambiato. Il cambiamento è inteso come evoluzione, come l’inevitabile passare del tempo e crescita umana e professionale e, in tal senso, il modo in cui decide di dipingere la violenza, tratto distintivo del suo cinema: Tsukamoto ha vissuto per anni a Tokyo, quello che lui definisce un mondo virtuale, una fantasia e la violenza per lui questo era, fantasia, gioco. Ora però i tempi sono cambiati e questa fantasia si è tramutata in realtà, con Tsukamoto che appare molto pessimista riguardo la società odierna ed il suo Giappone ma, allo stesso tempo, non vuole perdere la speranza e dà vita ad una pellicola meravigliosa con l’obiettivo di mandare un chiaro messaggio a tutti quanti. Per il resto, c’è ben poco da dire da un punto di vista tecnico: Shin’ya Tsukamoto è e rimane un regista fenomenale, artista a 360 gradi se si pensa anche al fatto che qui cura anche sceneggiatura, fotografia e montaggio e che nel modo in cui utilizza la macchina a mano e l’uso che fa degli spazi, è unico al mondo. Un talento puro, che utilizza anche per far fronte ai soliti problemi nel trovare fondi per le proprie opere, ma che quando arrivano lasciano il segno. Un film clamoroso, potentissimo e che, alla luce del concorso e del fuori concorso di questa edizione, avrebbe forse meritato di essere messo più in risalto. Quello che è sicuro è che l’opera rimane, come tutta la sua filmografia, e non possiamo non ringraziare che artisti come Shin’ya Tsukamoto esistano.

Voto:
4/5
Andrea Barone
4.5/5
Christian D'Avanzo
4/5
Alessio Minorenti
3.5/5
Vittorio Pigini
4.5/5
Bruno Santini
3.5/5
0,0
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Voto del redattore:
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Cast:
Genere:

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