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I film di Pablo Larrain: dal peggiore al migliore

Ecco la classifica dei film di Pablo Larraìn

Pablo Larrain è probabilmente uno dei pochi registi contemporanei assolutamente imprenscindibili. La sua unica capacità consiste nel saper rileggere tematiche ormai ben definite attraverso uno sguardo nuovo e rivelatore. I nuclei tematici intorno a cui girano le sue opere sono innumerevoli e sono la base su cui si sviluppa il suo eclettismo, basta dare una breve occhiata alla sua filmografia per notare le profonde differenze tra un’opera e le altre. Le diverse modalità che ha utilizzato per analizzare quasi a livello molecolare il periodo della dittatura di Pinochet danno vita a uno dei ritratti storici più completi e suggestivi della storia del cinema. Raramente capita di trovarsi di fronte a un autore in grado di fornire così tante chiavi di lettura riguardo un singolo tema e capace di cogliere le sfaccettature più intime dei suoi personaggi pur conducendo compiutamente un articolato discorso politico.

Impossibile poi non citare i suoi film incentrati su figure  celebri realmente esistite, anche in questi casi infatti Larrain adotta sempre punti di vista diversi per coglierne le pieghe dell’animo, cosa che fa di lui un regista dall’operato artistico sempre in movimento e dall’incredibile dinamismo intellettuale. La summa di queste caratteristiche può forse essere rintracciata nella sua opera più enigmatica eppure stimolante, ovvero Ema. Un manifesto che si distacca da qualsiasi modello predefinito, un grido di liberazione e un monito inquietante, un crocevia di irresolubili contraddizioni come è la sua protagonista. La sua filmografia è costituita da 9 lungometraggi, e per mettere ordine: ecco la classifica dei film Pablo Larrain.

Foto del regista Pablo Larrain

I migliori film di Pablo Larrain

Se qualcosa ancora manca alla carriera di Pablo Larrain sicuramente sono i riconoscimenti. Le uniche candidature agli Oscar hanno riguardato Natalie Portman e Kristen Stewart mentre i premi ai numerosissimi festival cinematografici cui ha partecipato si contano sulle dita di una mano e non sono affatto tra i più prestigiosi, tant’è vero che il più importante risulta essere il gran premio della giuria vinto a Berlino nel 2015 per Il club. Fortunatamente vi è ancora tempo per rimediare e i premi nulla dicono sulla qualità di un autore che in questo caso risulta essere immensa. Di seguito, allo scopo di individuare i migliori film di Pablo Larrain, la classifica dei suoi lungometraggi ordinati dal peggiore al migliore.

10) El conde

L’ultimo film di Pablo Larrain è anche il suo meno convincente. Non si capisce bene infatti cosa un pellicola come El conde aggiunga allo stratificato universo narrativo del geniale cineasta cileno, legato indissolubilmente alla storia del suo Paese e di conseguenza alla figura di Augusto Pinochet. A spiazzare è il modo estremamente diretto e sfacciato con cui questa satira viene messa in scena, a mancare sono le finezze stilistiche, gli slanci narrativi che sempre caratterizzano l’opera di questo autore. A deludere è poi l’approccio approssimativo che Larrain ha nei confronti del genere horror, qui declinato in chiave grottesca. Non vi è infatti la minima attenzione a rendere credibile tutto l’immaginario fantastico legato alla figura del dittatore, che, nonostante uno spassoso colpo di scena di finale, rimane poco e male approfondito.

 

9) Fuga (2006)

L’opera prima di Pablo Larrain è un interessante racconto che ruota intorno all’ossessione di due mucisisti per lo stesso brano musicale. Un racconto intriso di morte e disperazione nel quale non vi sono vincitori ma solo vinti. Fuga è sicuramente un’opera imperfetta che risente di molti dei difetti dei film di esordio, non sempre il cineasta cileno è in grado di convogliare il suo enorme ed esuberante talento in delle scelte stilisitche che si rilevino fino in fondo azzeccate.

Tuttavia le tracce di molte delle tematiche care a Larrain si trovano già in quest’opera che nonostante le sue imperfezioni riesce a mantenere il suo fascino intatto a distanza di anni.

8) Post Mortem (2010)

Post Mortem è l’autopsia del Cile, l’analisi delle cause del Golpe militare guidato da Pinochet. Il tutto filtrato dallo sguardo di un protagonista completamente indifferente, un funzionario dell’obitorio il cui compito è registrare le cause dei decessi. Larraín si serve del suo attore feticcio Alfredo Castro con lo scopo di delineare i tratti di un personaggio passivo, egoista e inquietante, l’incarnazione dei mali che hanno portato all’instaurazione di una dittatura fascista. Il film è stato presentato in concorso alla sessantasettesima edizione della mostra veneziana.

7) Spencer (2021)

Nel 2021 Pablo Larraín porta a Venezia Spencer, un biopic sui generis, un ritratto delicato, elegante e sontuoso della figura di Diana Spencer, nome da nubile di Lady Diana, principessa di Galles e moglie di Carlo d’Inghilterra. Il film si ambienta durante le vacanze di Natale 1991, trascorse nella residenza reale del Norfolk. Quando il Maestro cileno racconta il reale, spesso lo trasforma, lo plasma a suo piacimento, lo rielabora, ma non per manipolarne e distorcerne il senso, bensì per fornirne una rappresentazione visionaria, complessa, che resta allo spettatore. Spencer si serve delle dinamiche del genere Horror per creare uno Shining alla corte dei Windsor, in cui i fantasmi del film kubrickiano sono qui le minacciose figure dei reali che impongono alla principessa un ruolo soffocante. Diana si sente prigioniera di un incubo, soggetta a visioni, quasi Larraín in stato di grazia, Steven Knight in sceneggiatura, Kristen Stewart nei panni della protagonista, che ottiene la sua prima candidatura all’Oscar.

6) Tony Manero (2008)

Secondo film di Pablo Larraín, a seguito dell’esordio con Fuga, e vincitore di diversi premi nell’ambito del Torino Film Festival. Tony Manero è un film che può essere tranquillamente ascritto alla definizione di “capolavoro“, termine che nella filmografia del regista cileno tende a ritornare molto spesso ma che, indipendentemente dal gusto soggettivo, è impossibile non recare ad un’opera di questo genere. Il delirio ossessivo di Raúl Peralta, interpretato da Alfredo Castro, si confronta con i disastri sociali del Cile di Pinochet, costantemente evocato sullo sfondo non soltanto dal racket finale, ma anche dalle strade desolate e dalle costanti ronde organizzate per punire il dissidente di turno. In una realtà totalmente alienata dalla realtà occidentale, che lascia lo spettatore stranito rispetto a quel sogno americano che riesce ad essere condensato solo nelle réclame televisive e negli spot che catturano l’attenzione del popolo cileno, il protagonista di Tony Manero è un egoista che persegue nel suo percorso di infernale imbruttimento della sua persona, costantemente disinteressato rispetto al mondo che lo circonda e impegnato soltanto in un’opera di nuova vestizione di se stesso. Ogni dettaglio, dal più infinitesimale come quello dei bottoni dei pantaloni, riporta al Tony Manero di La febbre del sabato sera, in un film che non si trattiene dal mostrare la brutalità di un mondo che viene sapientemente descritto

5) Jackie (2016)

Elegia della morte di JFK o ritratto di una delle vedove più disperate di sempre? Jackie rientra nel filone die film biografici di Pablo Larrain che qui, come anche in Spencer, si allontana dalla sua patria per narrare la sciagurata sorte di due grandi figure femminili degli ultimi 100 anni. Gli ossessivi preparativi per la morte del marito e l’impossibilità dichiarata fin da subito di realizzare un biopic che sia effettivamente veritiero fanno della pellicola un’opera estremamente affascinante. Nello specifico la maniacalità con cui Jackie Kennedy mette a punto ogni particolare per la sfilata funebre in onore al suo defunto marito fa intuire come Larrain creda nel potere delle immagini e di come esse siano il suggello definitivo da apporre per raggiungere l’immortalità.

4) Neruda (2016)

Nel 2016 Larraín, ormai Maestro affermato, reduce da una candidatura all’Oscar con No, e dall’Orso d’argento per El Club, presenta all’attenzione del pubblico e della critica internazionale due film biopic: Neruda e Jackie. Il primo è senz’ombra di dubbio il più ispirato. Il poeta cileno Pablo Neruda, qui incarnato dal grandioso Luis Gnecco, è costretto alla fuga poiché accusato di alto tradimento dal presidente Videla; il partito comunista, nel quale milita Neruda è stato dichiarato fuorilegge. Prendendo le mosse dal genere Noir, Larraín gira un vero e proprio noir on the road. Il poeta scappa mentre il suo inseguitore (un personaggio finzionale) si pone questioni esistenziali. Fiction e fedeltà storica si mescolano rendendosi indistinguibili, servendo però l’idea di ritrarre un’icona del Novecento in opposizione al dispotismo delle cariche politiche che preparano il terreno all’instaurazione del regime dittatoriale di Pinochet.

3) Il club (2015)

Straziante, tragico, profondamente umano, Il club è una tappa obbligata per ogni appassionato del cinema di Pablo Larrain. L’opera è la sublimazione di tutte le tematiche che stanno a cuore all’autore argentino, qui infatti le terribile conseguenze della dittatura di Pinochet, il fanatismo della Chiesa, l’ipocrisia della politica e l’ambiguità umana si fondono dando luce a quello che è uno dei capolavori di questo regista. Le interpretazioni sono di primo livello, il cinismo e la crudeltà mai fini a sé stessi non seppelliscono comunque l’umanità dei personaggi, infatti ciò che eleva veramente la pellicola è l’umanesimo di fondo che continua a brillare nonostante tutto e che si manifesta nella decisione presa nel film di non dividere nettamente giusto e sbagliato, luce e oscurità.

Un film stratificato che rimarrà impresso nella memoria e nel cuore di tutti gli spettatori che avranno la fortuna di vederlo.

2) No (2012)

Dopo 15 anni di ininterrotto potere  la dittatura di Augusto Pinochet è per la prima volta messa a dura prova da una richiesta ufficiale della comunità internazionale che richiede lo svolgimento di un referendum per la conferma o la rimozione (con successive elezioni politiche) del sanguinario generale. Il comitato del NO è quello che deve convincere la popolazione a votare per la democrazia, tuttavia il compito è tutto tranne che semplice. Pablo Larrain  mette in piedi una pellicola storica assolutamente coinvolgente e dai tratti epici, è forse il suo film con maggior speranza verso il futuro del suo Paese. Il popolo cileno infatti è qui il vero protagonista del film e l’elemento per cui lo spettatore passerà due ore con il fiato sospeso. A essere estremamente stimolante è poi anche qui la profonda fiducia che Larrain ripone nelle immagini, l’intera campagna del NO infatti si basa su strategia comunicative in grado di convincere innanzitutto l’occhio del votante. In questo modo il regista fa dialogare perfettamente narrazione e cinematografia, qui elegantemente legate tra loro.

1) Ema (2019)

Il film più divisivo di Larrain è anche il suo film migliore. Ema è una pellicola anarchica, che si inserisce perfettamente nella contemporaneità pur rifiutandone gli schemi prestabiliti, un grido di speranza e di liberazione. Al di sotto della superficie tuttavia il film nasconde anche una protagonista che prende scelte difficili e non sempre condivisibili, una capacità sconvolgente di piegare la musica e la cifra estetica del secondo decennio degli anni duemila alla poetica del regista, qui demiurgo assoluto e incontrastato. Larrain ha una tale presa e padronanza della materia che nonostante la pellicola lo rappresenti in tutto e per tutto il suo tocco passa quasi in sordina, celato tra le pieghe di un meraviglioso e ipnotico film che albergherà nel cuore di chiunque lo guardi. Il lato estetico è anch’esso formidabile, un’esplosione controllata di colori e suoni che fanno da cornice a immagini sempre in mutamento e scandite dal pulsante ritmo della danza praticata da Ema.