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Recensione – Neruda: Pablo Larraín tra politica ed esistenzialismo

Di seguito la recensione di Neruda, il film diretto da Pablo Larrain

SCHEDA DEL FILM

Titolo del film: Neruda
Genere: Biopic, Noir, Drammatico
Anno: 2016
Durata: 108′ 
Regia: Pablo Larrain
Sceneggiatura: Guillermo Calderon
Cast: Luis Gnecco, Gael Garcia Bernal, Mercedes Moràn, Alfredo Castro, Emilio Gutiérrez Caba, Diego Munoz
Fotografia: Sergio Armstrong
Montaggio: Hervé Schneid
Colonna Sonora: Federico Jusid, Carlos Cabezas
Paese di produzione: USA, Argentina, Cile, Francia, Spagna

Il 2016 è l’anno della doppietta per il cineasta cileno Pablo Larrain, con alle spalle già cinque film – quasi tutti presentati e/o premiati nelle cornici festivaliere più importanti al mondo e una candidatura al Premio Oscar per NO. Larrain non disattende le aspettative di critica e pubblico, presentando al Festival di Cannes Neruda e, qualche mese dopo, in concorso a Venezia, Jackie. Affronteremo, in questa sede, il primo di questi due lungometraggi.

La trama di Neruda, scritto da Guillermo Calderon e diretto da Pablo Larrain

È il gennaio del 1948 e il celebre poeta Pablo Neruda (Luis Gnecco), senatore tra le file del partito comunista, viene accusato dal presidente Videla (Alfredo Castro) di alto tradimento, in seguito alla messa in fuorilegge dello stesso partito e, soprattutto, al suo discorso Yo acuso, in cui denuncia duramente la repressione del governo dei dissidenti e l’incarcerazione degli stessi. Neruda è costretto alla fuga, in compagnia della moglie (Mercedes Moran): i compagni lo aiutano con ogni mezzo possibile, cercando di farlo espatriare, ma non sarà semplice; il poeta è ricercato e viene messo alle sue calcagna il tenace poliziotto Oscar Peluchonneau (Gael García Bernal). Attraverso la prospettiva di quest’ultimo si dipana la narrazione.

Di seguito la recensione di Neruda, diretto da Pablo Larrain

La recensione di Neruda, un perfetto connubio di realtà e finzione

Neruda, il sesto lungometraggio di Larrain, scritto da Guillermo Calderon – suo sceneggiatore di fiducia, già autore assieme allo stesso regista di El Clubnon è un biopic tradizionale; non lo sono mai tradizionali, i biopic del cileno: sono legati a doppio filo con il genere e una consapevolezza estrema del mezzo. Nel caso di Neruda, le dinamiche sono quelle di un puro Noir (come in Spencer saranno quelle dell’horror), con tutti i dovuti e i divertiti rimandi a questo genere e a come si faceva nel suo periodo d’oro, i cupissimi anni Quaranta, in cui tra l’altro si ambientano le vicende narrate. La fuga e l’esilio del poeta sono quindi il punto di partenza per un inseguimento di quasi due ore, da Santiago del Cile sino alla regione dell’Araucanía.

Pablo Neruda, quindi, scappa dalla polizia e dagli appartamenti in cui viene ospitato, trascorrendo le notti nelle case di piacere e scrivendo durante il giorno. Condivide però una sensazione di oppressione con molti dei compagni, ma rimane un privilegiato nella persecuzione: il suo essere diventato celebre, ammirato da una parte del popolo lo ha reso un punto di riferimento, un’icona. I lavoratori oppressi recitano i suoi versi come dei mantra. L’ispettore Peluchonneau stesso ne è affascinato e aspira a un ruolo di protagonista nella vicenda, alla pari del poeta. Neruda è sempre un passo avanti e prova una strana forma di piacere nel sentirsi inseguito, nel fuggire maldestramente lasciando volutamente traccia dei suoi spostamenti – disseminando libri polizieschi per il suo inseguitore – e si compiace dell’importanza che ricopre la sua cattura. Il poeta cileno si dimostra infaticabile e solidamente ancorato ai propri ideali nei giorni incerti che seguono al suo mandato di cattura, componendo Canto General durante la clandestinità, una raccolta di poesie che farà recapitare ad amici e compagni in tutto il globo; Oscar Peluchonneau, il poliziotto incaricato di scovare Neruda, la sua controparte, un cane da riporto fedele ai potenti, è figlio di una prostituta e di un padre ignoto, ma ha deputato idealmente la paternità al fondatore del corpo a cui presta servizio.

Una magistrale sequenza Western per mettere in scena una morte “gloriosa” e un finale commovente

Larrain, un po’ pagando omaggio al genere cui fa riferimento, ma soprattutto rivelando la finzione allo spettatore sin dai primi minuti, fa uso sistematico dei trasparenti, dietro i quali fa proiettare le immagini in movimento come sfondo all’azione principale; sguardi in macchina e la voce di Peluchonneau, un narratore (quasi) onnisciente evidenziano questa scelta che procede verso la metanarrazione; l’ispettore va incontro al proprio destino e apprende della propria “inesistenza” dalla moglie di Neruda, inesistenza come irrilevanza nel corso della Storia o intesa in senso letterale poco importa. La crisi esistenziale del personaggio di García Bernal lo conduce verso la morte in quella che è a tutti gli effetti una pura sequenza Western magistralmente girata: Peluchonneau è stato colpito alla nuca con un bastone e perde molto sangue; cammina a stento affondando gli stivali nella neve: Neruda è sempre più vicino. La voce narrante del personaggio commenta la sua stessa fine e realizza che avrebbe potuto essere altro, avrebbe potuto scegliere di essere il figlio di un altro padre, forse proprio di Neruda. Il poliziotto crolla nella neve. Muore. Calderon e Larrain hanno delineato i tratti di un personaggio che si rende conto di essere tale, forse una metafora dell’opera di impegno politico del poeta cui il film è ispirato, un’opera che ha avuto finalità di risvegliare le coscienze degli oppressi, di dare parola a chi non ne ha avuta e si è sentito perso, quasi inesistente. Neruda dà un valore a questi ultimi, riconosce loro importanza, li tratta da eguali; pertanto, incarica di seppellire Peluchonneau. Come molti altri dimenticati, esiliati e imprigionati, cancellati dalla violenza fascista – che ha sacrificato anche il più cieco sostenitore dei suoi figli adottivi – la sua traccia su questa terra non è andata perduta.

Voto:
4.5/5
Andrea Boggione
4/5
Christian D'Avanzo
4.5/5
Giovanni Urgnani
4/5
0,0
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