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Post Mortem – Il terzo film del Maestro cileno Pablo Larrain, presentato in Concorso a Venezia 67

Di seguito la recensione del film Post Mortem, diretto da Pablo Larrain

SCHEDA DEL FILM

Titolo del film: Post Mortem
Genere: Storico, Drammatico
Anno: 2010
Durata: 98′
Regia: Pablo Larrain
Sceneggiatura: Pablo Larrain, Mateo Iribarren
Cast: Alfredo Castro, Antonia Zegers, Amparo Noguera, Jaime Vadell, Marcelo Alonso, Marcial Tagle
Fotografia: Sergio Armstrong
Montaggio: Andrea Chignoli

Colonna Sonora: Juan Cristobal Meza
Paese di produzione: Cile

Presentato in concorso alla sessantasettesima Mostra del Cinema di Venezia, Post Mortem, è il terzo film del cineasta cileno Pablo Larrain. La pellicola porta sullo schermo la sanguinosa vicenda del colpo di stato in Cile di Augusto Pinochet, visto attraverso gli occhi di un funzionario, incaricato di trascrivere a macchina i rapporti delle autopsie

La trama di Post Mortem, di Pablo Larrain

Mario Cornejo (Alfredo Castro) è un uomo solo, silenzioso e discreto. Osserva la dirimpettaia dalla finestra, seminascosto: ne è innamorato. Lei si chiama Nancy Puelma (Antonia Zegers) ed è una ballerina di burlesque. Il suo capo la licenzia poiché troppo magra. Mario lavora all’obitorio di Santiago del Chile, è il 1973 e sono in corso gli ultimi giorni della presidenza Allende. L’esercito è in procinto di attuare un colpo di stato, Pinochet sarà presto al potere. Mario dedica le sue attenzioni alla vicina, passa una notte d’amore con lei e le chiede di sposarlo. Viene rovesciato il governo e il Paese è in preda al Caos e alla violenza dei militari. Viene fatta esplodere l’abitazione di Nancy; i suoi parenti, militanti socialisti, sono scomparsi; lei, invece, riesce a nascondersi in un’intercapedine, tra le macerie. Nel frattempo, Mario, la collega Sandra (Amparo Noguera) e il dottor Castillo (Jaime Vadell), sono integrati nell’esercito per analizzare i cadaveri e produrre i documenti degli avvenuti decessi. Mario in un primo momento aiuta Nancy portandole da mangiare e cura il suo cane, ferito nell’esplosione, ma dovrà decidere come comportarsi, quando scoprirà, sorpreso, che con lei c’è il suo fidanzato.

Autopsia di una Nazione: La Recensione di Post Mortem

Post Mortem è l’autopsia di un Paese. La morte è qui metafora di una dittatura che rimpiazza con la violenza un governo democraticamente eletto. Tutto è morente nella pellicola di Larrain e, sin dall’inizio il Cile è irrimediabilmente in stato di necrosi. Non è pertanto casuale che il protagonista della vicenda sia un uomo solo, indifferente, una maschera di ambiguità e sofferenza, né che il suo mestiere sia un’attività passiva, che consiste nel trascrivere le parole del dottore che esegue gli esami autoptici. Mario Cornejo – caratterizzato da una pettinatura e un abbigliamento invecchiante, una postura a volte curva e un’espressione che trasmette diffidenza, quasi astio – sembra non avere nulla a cuore, ad eccezione di Nancy Puelma, la dirimpettaia. Non viene detto nulla riguardo il suo passato, come non sono fornite indicazioni scritte volte a spiegare lo stato delle cose a inizio film. Lo spettatore, forse un po’ smarrito, deve lui in primis ricercare una spiegazione al tragico scenario cui è chiamato ad assistere.                                                          

La regia di Larrain è minimale, quasi invisibile, spesso statica e, se da una parte può contribuire a rendere la fruizione del testo ancora meno accessibile presso un pubblico generalista, è invece perfettamente funzionale ai toni e all’atmosfera greve e mortuaria dell’obitorio e della vita dei protagonisti. Sono persone in cerca di compagnia, gravate da un senso di solitudine e smarrimento, a tal punto a contatto con la freddezza dei cadaveri da averne assunto l’immobilità, di fronte a tutto – intuizione geniale del Maestro cileno. Le sequenze sono perlopiù risolte in una serie di poche inquadrature, a volte molto lunghe, che si caricano di intensità con il passare dei secondi o dei minuti. Quadri che acquisiscono man mano un senso più ampio con il saturarsi degli elementi dentro l’immagine o con il mutamento delle espressioni sui volti degli interpreti. A tal proposito non si può non menzionare il tragico finale. 

Un finale claustrofobico costruito per mezzo di un longtake statico e brutale

Mario ha scoperto da poco che Nancy si sta nascondendo in compagnia del proprio compagno. Ha appena portato loro da mangiare per poi richiudere la porta dell’intercapedine. La macchina da presa è fissa a pochi centimetri dal suolo. Mario posiziona un armadio, poi una cassettiera davanti al nascondiglio; entra ed esce dai margini dell’inquadratura accumulando sedie, materassi e mobili di ogni tipo bloccando l’unica possibile via di uscita ai rifugiati. Nancy e il suo uomo non riescono a liberarsi. Stacco al nero. Larrain ci consegna così un finale pesantissimo, tronco e brutale, senza speranza, in cui l’umanità e la solidarietà cedono anch’esse all’odio e all’indifferenza. Eppure, già sapevamo della morte di Nancy: durante il primo atto, tramite l’utilizzo di un flash forward, avevamo assistito alla sua autopsia. Mario ne aveva riportato a macchina la causa del decesso per denutrizione, senza battere ciglio. In qualche modo, era già morto anche lui.

Voto:
4/5
Christian D'Avanzo
4/5
Giovanni Urgnani
4.5/5
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