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Recensione – The Ring: Morte a Samara. Gloria e vita alla copia di Samara!

Dopo i suoi esordi, Gore Verbinski approda nel grande cinema horror proponendo una rivisitazione, a suo modo, del classico e capolavoro proveniente dal Sol Levante.
The Ring recensione film horror Gore Verbinski

Distribuito in Italia nel 2003, The Ring è diretto da Gore Verbinski, il quale rivisita alla sua maniera l’agghiacciante storia raccontata nel film horror giapponese di 4 anni prima.

La trama di The Ring, il remake di Gore Verbinski

Su sceneggiatura di Ehren Kruger (I fratelli Grimm e l’incantevole strega, Top Gun: Maverik), il terzo film diretto da Gore Verbinski è basato sul romanzo Ringu di Kōji Suzuki, oltre ad essere remake hollywoodiano dell’omonimo epocale titolo giapponese del 1998 diretto da Hideo Nakata. The Ring del 2002 segue le macabre vicende che ruotano attorno alla giornalista Rachel, intenta a venire a galla della misteriosa morte della nipote e di altre persone. Le vittime sono infatti accomunate da un fatto raccapricciante, ovvero l’aver guardato una misteriosa videocassetta ed aver ricevuto una telefonata che annunciava loro la morte passati 7 giorni.

La recensione di The Ring: la maledizione dello sguardo

<<Ma che avete voi giornalisti? Vi appropriate delle tragedie e le diffondete come un’epidemia, costringete il mondo a subirle.>>

Una videocassetta ed una telefonata che ti annuncia la morte passati 7 giorni. Una ragazza scalza in abiti bianchi, rovinati e bagnati, dai lunghissimi capelli corvini e dallo sguardo iniettato di odio e rabbia. La capacità di attraversare lo schermo e mietere vittime con la sola forza del pensiero. Il mito di Sadako è forse uno dei più celebri ed importanti del cinema horror, specialmente per quello contemporaneo, che dalla terra degli spiriti del Sol Levante ha attraversato l’oceano ed è finito anche ad Hollywood. Inizia così, nel 2002, quel movimento atto ad occidentalizzare le brillanti opere scaturite dal J-Horror, portando a rivisitazioni a stelle e strisce di Ju-On (The Grudge), Dark Water e Kairo (Pulse), tra luci ed ombre.

Il segnale infatti era purtroppo molto forte e preoccupante, con Hollywood che stava perdendo sempre di più la matrice di “fabbrica delle idee” più che di sogni, continuando a puntare sul cavallo (non a caso) a quanto pare vincente della minestra riscaldata, tra remake, reboot e sequel di saghe di successo. Mosche bianche (in realtà nerissime) di questo processo commerciale sono poi quei titoli che sono riusciti a lasciare il segno dal punto di vista artistico, grazie specialmente alla forza ed inventiva dei propri autori che, come nel caso del 2002, hanno offerto una minestra decisamente fredda. Il The Ring di Verbinski è uno degli esempi più gloriosi di come si possa realizzare infatti un remake con grande classe, anche raggiungendo il valore e la caratura del titolo originale (che rimane sempre L’originale).

Sostituito all’ultimo alla regia di Prova a prendermi, che passerà a Steven Spielberg, al suo terzo film Verbinski riprende infatti molto se non tutto dell’enorme titolo del 1998, pur attuando una vera rivisitazione nell’ottica filmica del suo nuovo autore. Successivamente infatti a Un topolino sotto sfratto e The Mexican, il regista continua a collaborare in casa DreamWorks la quale, in occasione proprio del primo horror prodotto, cambia maschera fin dai titoli di testa, accattivanti ed in linea con la sudicia ed umida visione che terrà lo spettatore incollato alla sedia.

Portando avanti una narrazione tesa e serrata per via della sua strada investigativa, The Ring è principalmente una ghost story che – soprattutto per lo speciale periodo storico – si colloca a metà strada tra la poetica horror orientale e quella più “spettacolare” d’occidente. Verbinski mantiene infatti abilmente intatto il brivido del “visto e non visto”, ma si preoccupa anche di curare la spettacolarizzazione dell’orrore, con il mercato statunitense ed europeo che ormai da qualche anno stava spingendo sulla strada della violenza esplicita, dello sgomento, che sarebbe poi arrivata ai massimi con il torture porn (Saw del 2004). Sempre quel cerchio, quel “Ring”, che assume infatti tanto il significato di anello (di congiunzione tra i poli cinematografici) quanto quello dello squillo, della telefonata, del richiamo tecnologico.

Il 2002 si colloca infatti perfettamente all’interno di un dato di fatto con cui fare necessariamente i conti: il mondo stava cambiando sempre più velocemente (giusto l’anno prima ci fu l’11/9). Forse con la mano più pesante rispetto all’originale, Verbinski con The Ring mastica il proprio cinema – specialmente quello della New Hollywood – per sferrare un’aspra critica all’interconnessione che, da qualche anno a quella parte, sarebbe deflagrata in molteplici dinamiche. Il remake mostra così un perenne scontro ed incontro dialogico e tecnologico, archivi che salvano il passato ma in modo accatastato e disordinato, istantanee maledette scattate da una macchina fotografica, il telefono che squilla per il quale devi tirare su la cornetta per poter ricevere il tuo ultimatum.

Se, infatti, per i suoi primi due film sarebbe da individuare come principale riferimento l’irriverente cinema dei fratelli Coen, è anche esplicito come per The Ring la stella polare – oltre ad altri omaggi come a L’Esorcista di Friedkin, a Freddy Krueger ed altri – sia inevitabilmente il Videodrome di David Cronenberg. Mentre però nel capolavoro del 1983 fondamentalmente è lo spettatore ad entrare e mettere la faccia all’interno della tv (dove corpo e mente si mescolano alla macchina), in The Ring l’elemento determinante è costituito proprio dall’output. Attraverso l’uso che vi si fa della tecnologia, attraverso lo schermo, i mostri entrano a far parte del nostro mondo per un confine, come quello tra finzione e realtà, che non presenta più i suoi limiti e confini, oggi più che mai.

Emblematica in tal senso la scena che accompagna la prima visione di Noah della fatale VHS: Rachel si trova sul balcone ammirando, a mo’ di La finestra sul cortile, il palazzo difronte e le finestre dei vari appartamenti, i quali formerebbero degli effettivi nuovi schermi dai quali è possibile assistere alla quotidianità di chi vi vive. Un mondo interconnesso quello in cui stava entrando il film del 2002 (qualche anno dopo sarebbe nato Facebook), dove l’epidemia dei giornalisti – estesa oggi, oltre 20 anni dopo, inevitabilmente ai (social)media – offre in pasto al pubblico continui segni premonitori, disastri annunciati, scandali da far nascere, per il vortice di causa ed effetto con il macabro gusto del lettore/spettatore.

Quest’ultimo non è semplice vittima del sistema, ma si mostra anche come carnefice, alimentando quel fuoco di odio e violenza, la frustrazione dei “leoni da tastiera”, lo scarica barile e la creazione di capri espiatori al suon di “meglio a te che a me”. Con il meccanismo messo in atto da Rachel nel finale del film, infatti, è essa stessa a trasformarsi nella nuova Samara, portatrice di morte verso il prossimo, indirizzando verso un mondo dove tutti – per essere salvi/maledetti – dovranno aver visto la VHS e averla fatta guardare a qualcun altro. La maledizione dello sguardo e nello sguardo.

Recensione film horror Gore Verbinski The Ring

La recensione di The Ring: la classe di Verbinski in un remake da urlo

<<Hai sentito parlare di quella videocassetta che se la guardi muori? La mandi in play e sei in un vero incubo.>>

Continuando a ribadire che, per quanto riguardi la gloria del racconto, la sua iconografia e l’importanza tematica, sarebbe tutto da rinviare ovviamente in primis al romanzo di Kōji Suzuki e poi all’adattamento di Hideo Nakata, il regista del Tennessee ci mette comunque efficacemente del suo. Pur riproponendo il racconto praticamente fotogramma per fotogramma, il film di Verbinski sceglie inevitabilmente di prendersi qualche libertà, non tanto dal punto di vista narrativo (ad esempio la magnifica sequenza in nave, dove l’animale chiave nel film di Verbinski si tramuta qui in un cavallo impazzito) quanto soprattutto da quello estetico.

In The Ring l’acqua ristagnante e putrida la fa da padrone, piove molto e la visione si trasforma in un’ammuffita palude fino a divenire un tutt’uno con lo stesso pozzo nel quale giace il corpo di Samara. Ottimo infatti il funzionale lavoro sulla plumbea ed umida fotografia di Bojan Bazelli (che tornerà a collaborare col regista) che predilige sapientemente tonalità blu, verdi e grigiastre. Oltre però ad un discorso puramente estetico Verbinski, così come nel suo esordio, fa pesare la conduzione della macchina da presa, anche attraverso un intrigante uso della soggettiva. Non basta infatti riprendere ed arricchire il segmento maledetto mostrato da Nakata, per la composizione immaginifica di una nuova visione da brivido che potrebbe tranquillamente provenire dalla mente di Bunuel, ma il tocco di classe del regista risiede anche nel posizionamento dello sguardo.

Verbinski, infatti, non immerge lo spettatore totalmente dentro la visione maledetta assistendo al filmato a tutto schermo, ma la ripresa si posiziona poco distante dalla tv, immedesimando lo spettatore con la figura di Rachel per poter vedere, assieme a lei, la stessa VHS maledetta (soggettiva poi ripresa in altre occasioni). Altra arma vincente è poi quella del montaggio, per il quale in The Ring non sono presenti molti momenti di riposo per una visione dalla continua tensione più che palpabile, con il mystery portato avanti da un’indagine investigativa serrata che offre i suoi colpi di scena. Brivido e suspense ma, in ottica del discorso sopraccennato della spettacolarizzazione delle immagini, se l’originale di Nakata si permea di un lirismo orientale anche e soprattutto nella messa in scena del terrore, privilegiando un visto e non visto, la macchina hollywoodiana punta e carica le sue immagini, dal terrore all’orrore puro.

A restituire allo spettatore entrambe le vibes ci pensa soprattutto un gigante come Hans Zimmer alla colonna sonora, sebbene le ottime emozioni di terrore vengano suscitate anche dalla scream queen Naomi Watts. Apparsa in qualche film, anche horror (come Down ed Inferno a Grand Island), la splendida attrice di origini britanniche è infatti reduce dal Mulholland Drive di David Lynch, il quale inizia a conferirle un nome di prestigio tra la critica internazionale. Il successo definitivo arriverà però proprio con The Ring, nel quale offre effettiva prova non solo di classe e bellezza, ma anche e soprattutto di interpretazione emotiva.

In conclusione, il film di Verbinski nasce inevitabilmente come una “copia” (entrando in un affascinante discorso di metacinema) dal sapore hollywoodiano del capolavoro di Nakata del 1998, continuando un malsano trend dell’industria cinematografica di tirare fuori il possibile dalle grandi saghe di successo. A differenza di altre operazioni similari, tuttavia, The Ring si mostra come uno dei migliori remake realizzati non solo per il cinema horror, mantenendo sì il cuore del materiale originale, ma proponendo un nuovo sguardo dietro l’ottica di un nuovo autore.

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Locandina film horror The Ring di Gore Verbinski
The Ring
The Ring

Dopo i suoi primi film, con The Ring Verbinski approda nel grande cinema horror, per un remake di gran classe che porta il mito di Sadako/Samara tra i più importanti nel genere.

Voto del redattore:

9 / 10

Data di rilascio:

18/10/2002

Regia:

Gore Verbinski

Cast:

Naomi Watts, Martin Henderson, David Dorfman, Brian Cox, Daveigh Chase

Genere:

Horror

PRO

Un film che vive di alta tensione nella sua serrata parte mystery, ma capace anche di sferrare colpi decisivi di puro orrore.
Ottima la fattura tecnica di Verbinski che conferisce il suo sguardo ad una messa in scena tetra e funzionale.
Determinante la prova da protagonista di Naomi Watts che vede definitivamente aperte le strade del successo.
Pur con un certo lavoro di rielaborazione, resterà sempre secondo all’originale. Una bellissima “copia”.