Successivamente a quella fase di stallo e di transizione rappresentata dagli anni ’90, il cambio di millennio ha decisamente stravolto molte cose nel mondo anche e soprattutto nel campo politico, economico e sociale. Ciò si riversa, come sempre, nel cinema horror che – con l’avvento definitivo del digitale e con le nuove tecnologie – cambia quasi radicalmente le proprie vesti artistico-tecniche. Ecco di seguito i migliori film horror degli anni ‘2000.
I migliori film horror degli anni ‘2000: violenza, inquietudine e nuove tecnologie
Il cinema horror degli anni ’90 aveva, sostanzialmente, segnalato il campanello d’allarme che ormai diventava sempre più difficile riuscire ad inventarsi artisticamente qualcosa di nuovo e che possa convincere tanto la critica quanto il pubblico, con addirittura le grandi saghe di successo che ormai avevano allontanato gran parte di quest’ultimo. Nonostante ciò, i capitoli delle iconiche maschere del cinema dell’orrore continuarono ad essere prodotte e distribuite, come “Freddy vs. Jason”, “Il figlio di Chucky” e i 3 film di Hellraiser tra il 2002 e il 2005, ma ciò appunto non poteva bastare più. Corsero a supporto allora i tentativi di svecchiare e ravvivare le saghe anche attraverso i remake come “L’alba dei morti viventi” di Zack Snyder, “Amityville Horror” e “Non aprite quella porta” di Marcus Nispel. Tale fenomeno coinvolse poi anche i freschi titoli provenienti dal Sol Levante, come per il “The Ring” di Gore Verbinski e il “The Grudge” di Takashi Shimizu, che riadatta in versione statunitense il suo stesso Ju-On, con il J-Horror che soprattutto in questo periodo riesce a trovare un larghissimo seguito (“Ichi the killer”; “Dark Water” giusto per citare qualche grande titolo).
Ma, come anticipato, questa fase delicata da molti punti strutturali trova il suo risvolto cruciale nel boom delle nuove tecnologie, nel digitale e nei videogiochi. Nonostante le grandi saghe continuino appunto a proliferare (con scarsi risultati) i loro rispettivi capitoli, gli effetti speciali uniti alla potenzialità del digitale lancia definitivamente il via alla richiesta, soprattutto da parte del pubblico, di una certa spettacolarità sul grande schermo. Considerando infatti anche il fenomeno videoludico – sempre più incisivo nelle masse e che, nella realtà orrorifica, ha regalato titoli come Resident Evil e Silent Hill poi adattati sul grande schermo – i massicci effetti speciali vengono così messi a disposizione di film d’avventura, d’azione, di fantascienza e dell’orrore. Il tentativo di “svecchiare e riproporre” non riguardò solo le grandi saghe horror partite negli anni ’70-’80, ma coinvolse anche gli storici Mostri. In tal senso si muovono prodotti come “La Mummia” e “Van Helsing” – diretti entrambi da Stephen Sommers – e “La leggenda degli uomini straordinari”, con il vampiro che diventa un’icona “multiuso” nel cinema: da “Blade” a “Twilight”, da “Underworld” a “Lasciami entrare” di Tomas Alfredson e, addirittura, a progetti molto particolari come per “L’ombra del vampiro” di E. Elias Merhige.
La trasformazione della concezione di produrre e girare film – con l’avvento del digitale che ha stravolto la produzione cinematografica – ha infatti avuto un’importanza sconquassante anche dal punto di vista autoriale in quanto, oggigiorno più che mai, i mezzi tecnici permettono di essere più liberi rispetto al passato di girare un prodotto audiovisivo. A ciò si lega, anche e soprattutto, la voglia di sperimentare e provare a fare cose prima considerate dai più impensabili. Si assiste così ad una violenza forse mai vista sullo schermo, con energiche esplosioni di sangue e sofferenza che registrano anche la nascita del c.d. torture porn. Un sottogenere dell’horror, questo, che sposta l’attenzione principalmente sul sadismo e sulla violenza della scena, attraverso gli elementi caratteristici di mutilazioni, nudità e tortura. Si registrano in questo filone “Hostel” di Eli Roth, “Wolf Creek” di Greg McLean ed ovviamente quello che viene considerato il precursore di questo sottogenere. Un autore, dunque, che in qualche modo si sente libero di potersi esprimere specialmente per quanto riguarda la disponibilità tecnica e soprattutto nel campo dell’horror. In tal senso, i titoli più inquietanti e spaventosi che riescono ad emergere in questo periodo sono frutto del cinema europeo, in particolare britannico, spagnolo e soprattutto francese (“Inside – À l’intérieur”, “Alta tensione”, “Frontiers – Ai confini dell’inferno”).
Parlando poi di mezzi tecnici, “The Blair Witch Project” del 1999 ha di fatto aperto la strada del mainstream anche ad un sostanzioso filone horror basato sulla tecnica del mockumentary o del found-footage, in particolare si fa riferimento a titoli quali “Il quarto tipo” e la nascita di saghe quali quella di “Paranormal Activity” e di “Rec”. Ma, allargando ulteriormente il campo da gioco del genere horror, non si fanno sconti nemmeno sul piano dell’animazione. In particolare, la peculiare arte narrativa di Tim Burton, tanto fiabesca quanto gotica, è riuscita a fare molta breccia anche in questo genere, con molti titoli a rappresentanza di questa contaminazione come “La sposa cadavere” dello stesso Burton (considerando anche il musical “Sweeney Todd” di 2 anni dopo), “Coraline e la porta magica” e “Monster House”. Di seguito i migliori film horror degli anni ‘2000.
Ju-on, di Takashi Shimizu – 2000
Seguendo la scia da brividi tracciata da “Ring” di Hideo Nakata, il debutto alla regia per il nipponico Takashi Shimizu è un’altra ghost-story agghiacciante che costituisce il primo capitolo della serie omonima, poi adattata dallo stesso regista anche negli Stati Uniti con “The Grudge” del 2004. Come specificato proprio dal film e seguendo la sua traduzione letterale, “Ju-on” narra di una maledizione formulata da chi è morto in preda a un forte rancore: questa accresce nei luoghi frequentati dal defunto quando era in vita, divenendone il karma, e coloro che ne entrano in contatto perderanno la vita, facendo nascere così una nuova maledizione.
The Others, di Alejandro Amenábar – 2001
Rimanendo in tema di ambientazioni spettrali, ma avvicinandosi fortemente alle tinte gotiche, il terzo lungometraggio scritto e diretto dal regista spagnolo Alejandro Amenábar vince 8 premi Goya nel rispettivo anno su 15 candidature, trionfando anche nelle categorie di Miglior Film e Miglior Regia, senza contare il giro di altri prestigiosi festival e rassegne cinematografiche internazionali. Narrando delle inquietanti e misteriose vicissitudini della famiglia Stewart in una magione durante la seconda guerra mondiale, “The Others” viene sicuramente ricordato maggiormente per un grande atto finale che regala una serie di colpi di scena e per la prova di Nicole Kidman nel suo periodo d’oro, ma tutto il film regala una raffinata e macabra esperienza sensoriale di un’avvincente ghost-story.
La casa dei 1000 corpi, di Rob Zombie – 2003
Il Capitano Spaulding è rimasto un’icona horror purtroppo ancora troppo di nicchia, per un personaggio intrigante apparso per la prima volta sullo schermo nel debutto alla regia per Rob Zombie, in quello che rappresenta il primo capitolo di una grande trilogia per il cinema horror. Si tratta de “La casa dei 1000 corpi”, uno slasher violento e grottesco che omaggia i grandi titoli di genere degli anni ’70 – in particolare “Non aprite quella porta” di Tobe Hooper – e regala il primo tassello della filmografia di uno degli artisti dell’orrore più importanti del nuovo millennio.
Gozu, di Takashi Miike – 2003
Presentato alla 56a edizione del Festival di Cannes, il 29° film del regista di culto Takashi Miike prende come base lo Yakuza eiga per realizzare una potente opera onirica e surreale che, paradossalmente, altro non sarebbe se non un coming-of-age (indubbiamente “particolare”). Con “Gozu” il regista si affida alla penna di Sakichi Satō – già collaboratore in “Ichi the killer” – e, mescolando in un’orgia da incubo ed estraniamento il cinema di Jodorowsky, Lynch e Cronenberg, narra del viaggio del giovane Minami per portare a termine una missione affidatagli da un boss yakuza: viaggio nel quale farà incontri alquanto singolari ed inquietanti.
Saw – L’enigmista, di James Wan – 2004
Se il film di Miike regala un’esperienza psicologicamente provante, nel 2004 il regista James Wan decide di fare un “gioco” con lo spettatore facendo sostanzialmente nascere il sottogenere del torture-porn, ovvero mostrando su schermo violenza, torture, squartamenti ed un’elevata dose di sangue. Con “Saw” nasce la saga cinematografica che vede come protagonista il Jigsaw interpretato da Tobin Bell, per un film che sì fa della violenza il suo marchio di fabbrica ma che, contando sull’ottima regia del cineasta di origini malesi, riesce ad andare anche molto oltre alla semplice operazione di macelleria.
Shaun of the dead, di Edgar Wright – 2004
Il progetto di “L’alba dei morti viventi”, diretto da Zack Snyder al suo debutto dietro la macchina da presa, che cerca di riportare al cinema l’iconica saga creata da Romero sotto una veste diversa, non ha raccolto sicuramente i risultati sperati. Situazione decisamente diversa per il secondo sorprendente film diretto dal regista britannico Edgar Wright, che con “Shaun of the dead” realizza una spassosa ed intelligente commedia-horror che costituirà poi il primo capitolo di una trilogia ormai divenuta iconica per il nuovo millennio, ovvero la Trilogia del Cornetto. Sul film che vede protagonista lo scoppiettante duo formato da Simon Pegg e Nick Frost ha raccolto elogi praticamente all’unanimità: <<una nuova linfa per il genere “zombi”. Il film più divertente dell’anno>> (Peter Jackson); <<non è solo il miglior film di quest’anno, ma di ogni anno da ora in poi>> (Quentin Tarantino); <<penso che sia una vera bomba. Mi è piaciuto moltissimo>> (George A. Romero)… e forse non servirebbe aggiungere altro.
Rec, di Jaume Balaguerò e Paco Plaza – 2007
Il fenomeno del mockumentary al cinema, che vede i suoi natali moderni con “The Blair Witch Project”, ha visto nei primi anni del nuovo millennio il proliferare di film girati con la tecnica del found-footage; tra questi, l’horror diretto dalla coppia Jaume Balagueró e Paco Plaza, è quasi sicuramente quello più riuscito e terrificante. La storia narra della giovane reporter Angela e del suo cameraman che, seguendo l’azione notturna di una squadra di pompieri in un palazzo di Barcellona, vengono bloccati in quarantena all’interno della struttura, poiché tra i vari appartamenti sembrerebbe diffondersi una strana e pericolosa epidemia. “Rec” riesce ad ottenere 2 premi Goya (Miglior attrice rivelazione e Miglior montaggio), per un’opera che tra terrore ed orrore regala una vera esperienza da brivido, primo capitolo di una saga che può attualmente contare (contando anche gli inevitabili adattamenti oltreoceano) 6 film.
Martyrs, di Pascal Laugier – 2008
Tra i massimi esponenti del cinema horror francese di questo fortunato periodo, il secondo lungometraggio dopo Saint Ange del 2004, scritto e diretto da Pascal Laugier, continua in un certo senso l’ondata di “torture porn” inaugurata con Saw, sebbene il mezzo e il fine siano qui decisamente più raffinati e quasi poetici. Intimista, sociale e spirituale, “Martyrs” comunque non evita di mostrare su schermo un’agognante visione di sofferenza che si avvicina molto anche alle atmosfere di Hellraiser, decisamente violenta tanto dal punto di vista psicologico quanto soprattutto quello fisico.
Drag Me To Hell, di Sam Raimi – 2009
Un nome, quello di Sam Raimi, che fin dal suo debutto con La Casa è destinato a tornare nelle classifiche dei migliori film horror, anche con questo suo 14° lungometraggio da lui prodotto, scritto e diretto. Interpretato da Alison Lohman, Lorna Raver e Justin Long, “Drag me to hell” resta infatti un perfetto film “alla Sam Raimi“, dove l’ironia e il grottesco vanno brillantemente a braccetto con un orrore deflagrante e decisamente efficace in molti sviluppi, con uno sviluppo di trama teso volto a razionalizzare e criticare aspramente una certa condizione socio-politica che, oggi, resta il vero orrore.
Thirst, di Park Chan-wook – 2009
Ispirato al romanzo Teresa Raquin di Émile Zola, “Thirst” è l’8o lungometraggio prodotto, scritto e diretto dal grande cineasta sudcoreano Park Chan-wook che, successivamente all’enorme successo riscontrato per la sua personale “trilogia della vendetta“, realizza per la prima volta un film horror. Tuttavia, senza considerare il suo precedente “I’m a Cyborg, But That’s OK“, il film potrebbe avvicinarsi anche alla fantascienza, per via della diffusione di una misteriosa epidemia, la quale trasformerà il protagonista – un prete cattolico – in un vampiro assetato di sangue. Premio della giuria alla 62a edizione del Festival di Cannes, il grande film di Park Chan-wook è sensazionale sotto praticamente tutti i punti di vista che siano l’intelligente e tagliente sceneggiatura, un comparto tecnico formidabile e la grande prova di un cast capitanato dal granitico Song Kang-ho.