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La Zona d’Interesse: la spiegazione delle scene della bambina

La Zona d’Interesse di Jonathan Glazer è un film che rappresenta visivamente e acusticamente la banalità del male dell’Olocausto: ma qual è il significato delle scene della bambina?
Di seguito la spiegazione delle scene della bambina nel film La Zona d'Interesse di Jonathan Glazer

Non riconoscere la mostruosa portata espressiva de La Zona d’Interesse, il film vincitore del Grand Prix a Cannes76 del regista Jonathan Glazer, equivarrebbe un po’ a non voler vedere e sentire ciò che ha da comunicare. Uno degli esempi lampanti del linguaggio impiegato dal regista, nel suo adattamento cinematografico dell’omonimo romanzo di Martin Amis, oltre alla sua imponente colonna sonora, è quello dell’uso della termocamera per alcune sequenze che hanno una protagonista misteriosa. Di seguito la spiegazione del significato delle scene della bambina nel film La Zona d’Interesse di Jonathan Glazer.

Le scene della bambina girate con la termocamera

Durante il film, il racconto della vita della famiglia Höss – che abita accanto al campo di concentramento di Auschwitz e respira letteralmente e metaforicamente gli orrori controllati dal capofamiglia Rudolf che è il comandante ufficiale – sono seguite dallo spettatore tramite l’occhio della camera e intervallate da alcune sequenze girate con la termocamera. La protagonista è una bambina – che scopriamo successivamente essere polacca – che si aggira furtivamente durante la notte tra gli spazi del campo di concentramento, per spargere e nascondere delle mele per i prigionieri ebrei affamati che torneranno a lavorare sul luogo la mattina successiva. In una di queste sue spedizioni notturne, la bambina rinviene da sottoterra un barattolo di latta contenente la pergamena di uno spartito musicale.

La spiegazione delle scene della bambina girate con la termocamera

La Zona d’Interesse potrebbe apparire come un film ermetico, ma in realtà è nel suo minimalismo simbolico da ricercare il suo significato globale così come per il suo finale. Nelle scene in cui vediamo la bambina nascondere delle mele sotto la terra e il fango di vari punti del campo di concentramento, la scelta di impiegare lo strumento della termocamera si pone in primo luogo come una necessità in quanto l’azione si svolge al buio della notte. Ne è una riprova il fatto che, quando la bambina rientra a nella propria casa illuminata, la pellicola torna a essere quella del resto del film. In questo senso, potremmo interpretare questa alternanza come un’inversione totale dei binomi usuali di luce-bene, ombra-male. Infatti, le scene della bambina che porta nutrimento, e quindi la vita, si svolgono nell’oscurità, mentre invece gli orrori perpetrati sono commessi alla luce del giorno.

Come spiegato da Jonathan Glazer stesso in un’intervista rilasciata al quotidiano britannico The Guardian, le scene dedicate interamente alla bambina sono da interpretare come unici momenti di speranza nel film, quei bagliori di luce emanati dal suo corpo e dalle mele che contrastano con il nero della notte e dell’orrore. Glazer ha inoltre rivelato che l’idea delle scene è nata dall’incontro con una donna polacca di 90 anni di nome Alexandria, che ha raccontato di aver lavorato per la resistenza polacca durante il Nazismo quando aveva solo 12 anni, girando con la sua bicicletta per distribuire mele. Ed è proprio durante una di queste volte che Alexandria racconta di aver trovato il componimento musicale citato anche nel film. Il brano, rivela Alexandria, è stato composto da Thomas Wolf, un prigioniero di Auschwitz, sopravvissuto alla guerra. Infine Glazer rivela che la casa del film in cui la bambina torna dopo le sue spedizioni, la bicicletta e i vestiti indossati dall’attrice che ne interpreta la parte sono proprio quelli di Alexandria che è morta poche settimane dopo il loro incontro.

Il bene e il male: il pensiero che porta la vita contro lo spasmodico fare

Nel suo film, Jonathan Glazer punta il riflettore sulla zona d’interesse in cui convivono a stretto contatto l’orrore e la spensieratezza, dimostrando come l’inferno vissuto da un individuo possa diventare il paradiso per un altro. L’esempio più lampante è quello incarnato da Hedwig, la moglie del comandante Rudolf nonché madre di famiglia, soprannominata infelicemente dai suoi conoscenti “la regina di Auschwitz” poiché non le manca niente. Come confessato da Glazer, l’intento era quello di rappresentare i Nazisti come esseri non-pensanti per riprendere il concetto della “banalità del male” espresso dalla filosofa tedesca Hannah Arendt. Di fatto, vediamo Hedwig sempre indaffarata, inarrestabile, questo perché se una persona si ferma è costretta a pensare, e il pensiero genera riflessioni. Il sonno della ragione, invece, come recitato nell’omonimo quadro di Francisco Goya, genera mostri. D’altrocanto anche la bambina delle scene girate con la termocamera non si ferma mai nel suo continuo girovagare nella notte per distribuire e nascondere le mele nel terreno del campo di concentramento. Tuttavia, il suo gesto è da interpretare come un vero pensiero portatore di vita e salvezza, e non meccanicamente fine a se stesso e dunque svuotato di significato.

Glazer definisce l’intervento della bambina come un “piccolo atto di resistenza, il semplice, quasi sacro atto di lasciare cibo, è cruciale perché costituisce un barlume. Prima di quel momento, non pensavo di riuscire a terminare il film. Continuavo a telefonare il mio produttore, Jim, per dirgli: ‘Mi tiro fuori. Non posso farcela. E’ troppo oscuro’. Sembrava impossibile mostrare solo l’assoluta oscurità, così mi sono messo alla ricerca della luce da qualche parte e l’ho trovata in lei. Lei è la forza che spinge verso il bene”. Sì perché la Zona d’Interesse non è semplicemente l’ennesimo film sull’Olocausto, bensì uno specchio che viene messo di fronte allo spettatore e che parla attraverso immagini e suoni al nostro io più profondo, per mostrare una parte di tutti noi, con il fine di mettere in discussione l’essere umano, mostrando fin dove può spingersi l’uomo nella sua totale e incondizionata indifferenza.