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La Zona d’Interesse: la spiegazione del finale del film di Jonathan Glazer

Il finale di La Zona d’Interesse ha sicuramente stupito tutti per il suo impatto incredibile sullo spettatore: ma qual è la sua spiegazione e quale il significato di questa scelta?
La Zona d'Interesse: la spiegazione del finale del film di Jonathan Glazer

È uno dei film più impattanti che siano mai stati realizzati e, non a caso, Steven Spielberg l’ha immediatamente definito il miglior film sull’Olocausto dai tempi di Schindler’s List. La Zona d’Interesse cambia totalmente la grammatica e le regole del racconto di un film di questo genere, anche grazie ad un finale assolutamente geniale ma che – piombando all’improvviso sul grande schermo – sconvolge lo spettatore: ma qual è il suo significato? Di seguito, la spiegazione del finale del film di Jonathan Glazer.

Il finale di La Zona d’Interesse

In un film denso di significato e in cui viene sovvertito il modo di raccontare l’Olocausto, La Zona d’Interesse presenta un finale assolutamente sconvolgente, che interrompe all’improvviso quella trattazione che era stata presentata fino alla fine della guerra e che aveva visto la famiglia Höß protagonista. Dopo aver ottenuto la possibilità di ritornare nella zona di interesse, il protagonista del film scende le scale del Palazzo del Reichstag, fino a fermarsi per vomitare. Guardando verso la camera fissa, Höß sembra osservare il nostro presente: nel Museo di Auschwitz delle inservienti puliscono le vetrate che accolgono scarpe, valigie e altri oggetti sottratti a coloro che erano stati portati all’interno del campo di concentramento. Il comandante del campo scende definitivamente le scale, fino a confondersi col buio.

La spiegazione del finale di La Zona d’Interesse

Riuscire a offrire una spiegazione del finale di La Zona d’Interesse prescindendo dalle immagini del presente che vengono offerte nel film è assolutamente impossibile. Il modo in cui il film perfetto di Jonathan Glazer si trasforma in capolavoro è dettato da un’intuizione del suo regista, che proietta l’immagine di quanto raccontato sul nostro presente. La Zona d’Interesse diventa, così, non un film sull’Olocausto, ma su tutti gli Olocausti, su tutte quelle tragedie che definiscono la nostra storia, conservata all’interno di teche in vetro. Höß vomita (o tenta di farlo) poiché il male che alberga nella sua mente, che tenta di mascherare come esecuzione di comandi che gli sono imposti, ha necessità di fuoriuscire, di trovare spazio oltre il corpo: un movimento, insomma, del tutto corporale più che mentale.

Quando il protagonista del film guarda verso la macchina da presa si affaccia definitivamente sul presente, rendendo La Zona d’Interesse un film più contemporaneo di quanto la storia che fa da cornice alla pellicola possa far pensare; ed è soltanto l’immagine documentaristica, con la macchina da presa fissa che riprende il lavoro di inservienti nel Museo di Auschwitz, a poter riuscire in un racconto della nostra storia, che nessuna drammatizzazione, nessuna vittoria e nessun senso di revanscismo può offrire. La Zona d’Interesse non presenta una vittoria dei più deboli, una fuga, una “fine” che coincide con la sconfitta del nemico, poiché quanto viene raccontato non cela alcun vincitore; in tal senso, la luce accecante che ha accolto l’azione dei protagonisti durante tutta la pellicola si trasforma nel buio delle scale in cui si confonde Höß nell’ultima immagine del film. Quello che potremmo pensare come un “venire alla luce della coscienza del personaggio” non esiste: l’unica dimensione che meriti l’uomo mostrato è il buio, senza che il regista si spinga verso una drammatizzazione delle sue figure, ma limitandosi a mostrare quel che la storia è al suo spettatore.

Le dichiarazioni di Jonathan Glazer sulla spiegazione del finale del film

A margine della spiegazione del finale di La Zona d’Interesse, può essere sicuramente molto utile considerare anche le parole del regista. In una lunga intervista, in cui ha parlato anche della gestione degli attori, Jonathan Glazer ha spiegato il perché di un finale di tale portata:

 Non è una presa di coscienza di Höß. Non ne ha. Prova pietà per se stesso dopo la guerra, ma la sua coscienza non è scossa. Le voci che sentiva sono morte da tempo. In quella scena vediamo la verità del corpo, che rivela le bugie della mente. Che rivela ciò che siamo, invece delle strutture che mettiamo su per creare l’immagine che abbiamo di noi stessi. Il corpo non ha questo lusso. In quel momento vediamo una verità fisica. Quell’uomo che vomita non è un personaggio, è l’orrore reale. La cenere delle persone che ha aiutato a uccidere sono dentro di lui. È l’orrore.