Cerca
Close this search box.

La Zona d’Interesse: il significato del film di Jonathan Glazer

La Zona d’Interesse è un film che ha impressionato e sconcertato pubblico e critica, soprattutto per il suo profondo significato: ma qual è?
Il significato dell'ultimo film diretto da Jonathan Glazer e premiato al Festival di Cannes, La Zona d'Interesse

A partire dal 22 febbraio, esce finalmente nelle sale cinematografiche italiane La Zona d’Interesse, l’ultimo lungometraggio diretto da Jonathan Glazer. Sin dalla sua proiezione in anteprima al Festival di Cannes, il film ha ricevuto il plauso generale di pubblico e critica, attestandosi da subito come uno dei film più importanti non solo del 2024, ma degli ultimi decenni. Oltre a vincere il Grand Prix Speciale della Giuria durante il festival francese, il film ha trionfato ai BAFTA nelle categorie relative a miglior film britannico, miglior film in lingua straniera e miglior sonoro ed è stato candidato a ben 5 premi Oscar. Nonostante il grande successo, il significato del film non è stato immediatamente chiaro a tutti, dunque qual è? Di seguito, tutto ciò che c’è da sapere sul significato di La Zona d’Interesse.

Un nuovo punto di vista: riscrivere l’Olocausto cinematografico

Non è di certo necessario sottolineare come l’Olocausto sia stata un’assoluta tragedia, una delle pagine più oscure nella storia dell’umanità. Il cinema si è dunque dimostrato da subito un perfetto mezzo per raccontare quel periodo storico e tentare di tenere viva la memoria di tutti, in modo tale che nefandezze come questa possano non ripetersi mai più.

Nonostante non sempre si siano realizzati grandissimi film a riguardo, vi sono alcune opere che sono ormai storia del cinema, basti pensare a Schindler’s List di Steven Spielberg (1993), Il Pianista di Roman Polanski (2002) o Il Nastro Bianco di Michael Haneke (2009). Opere eccezionali, capolavori della settima arte che spesso e volentieri vengono riproposti non solo in televisione ma anche nelle scuole il 27 gennaio, durante il Giorno della Memoria.

In questo senso, Jonathan Glazer riesce in un qualcosa di apparentemente impossibile, ovvero dare allo spettatore un nuovo punto di vista sulla questione, trasformando il campo di concentramento nazista di Auschwitz in un mero sfondo alle vicende della famiglia Höss, la cui casa si trova esattamente dall’altra parte delle mura e le giornate passano come per chiunque altro, tra lavoro, giardinaggio e la gestione dei rapporti interpersonali che Rudolf e Hedwig Höss portano avanti. Una nuova lettura di una storia che abbiamo letto e sentito più volte e che rende La Zona d’Interesse un capolavoro moderno ed uno dei film più influenti del XXI secolo.

Il significato di La Zona d’Interesse tra memoria collettiva e banalizzazione del male

La Zona d’Interesse è davvero un film sull’Olocausto? Perché scegliere un evento così terribile se lo si lascia poi in secondo piano, come sfondo alle vicende del quotidiano della (realmente esistita) famiglia Höss? Domande lecite da porsi subito dopo la visione dell’ultimo lungometraggio di Jonathan Glazer – che torna alla regia a 10 anni di distanza da Under the Skin – ma la cui risposta è in realtà insita nella pellicola stessa.

Banalmente, La Zona d’Interesse è eccome un film sull’Olocausto ed anzi, la forza dell’opera sta proprio nel modo in cui questo avvenimento viene messo in disparte, la cui presenza si avverte costantemente per tutta la durata della pellicola e dove per una volta non sono più gli occhi a farla da padrone, ma le orecchie. Vi è infatti un lavoro sul sonoro semplicemente eccezionale e non è per niente banale ciò che possiamo udire nei primi secondi di film. L’Olocausto è un fantasma che infesta la vita degli Höss ma anche un po’ tutti gli spettatori, come a voler sottolineare che ad essere colpevole di queste atrocità sia stata l’intera umanità.

Le opere che hanno trattato l’Olocausto sono però molte e se ne vedono ormai da decenni, dunque com’è possibile che La Zona d’Interesse spicchi così tanto, come può ritenersi un’opera originale e moderna se tratta una questione ormai datata? Chiaramente, a fare la differenza è l’approccio autoriale di Glazer e l’intuizione di cambiare completamente punto di vista, banalizzare il male perché un male così grande non lo si può imprigionare in un semplice film. Ecco perché non vediamo mai Auschwitz, ecco perché i drammi che ci vengono mostrati sono più legati alle faccende domestiche di Hedwig o a quelle lavorative – in quanto membro delle SS e primo comandante del campo di concentramento – di Rudolf, il cui ruolo ci viene raccontato come un impiego qualsiasi.

Con La Zona d’Interesse, Jonathan Glazer lavora di sottrazione e riduce all’osso i movimenti di camera: tranne in pochi casi e solamente sui fiori, non vi sono infatti primi piani. Perché sì, l’Olocausto fa da sfondo alla vicenda ma il male è costantemente presente e ne ha per tutti. Come detto, sono tutti colpevoli e la sensazione è che se anche egli avesse voluto riprendere i loro volti, i protagonisti del film avrebbero abbassato lo sguardo, nascondendosi tra lacrime e vergogna. Si tratta dunque di un film sul ricordo del passato, ma che vuole anche guardare al futuro e con cui si condanna sì l’umanità, ma Glazer invita tutti a riflettere su se stessi e sulla realtà che ci circonda.