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L’intervista a Guy Nattiv nell’incontro con i cinema italiani per presentare il film Tatami – Una donna in lotta per la libertà

Un film potente ed emozionante Tatami, che sfrutta il mezzo del cinema sportivo per traghettare messaggi universali di resistenza e lotta per la libertà.
L'intervista al regista Guy Nattiv per l'anteprima del film Tatami

In un evento speciale, il regista israeliano Guy Nattiv ha tenuto un incontro con i cinema italiani per la presentazione del suo nuovo film Tatami, co-diretto assieme all’attrice e regista iraniana Zar Amir Ebrahimi.

L’intervista a Guy Nattiv per la presentazione di Tatami

Regista israeliano in attività dal 2002, Guy Nattiv ha vinto con Mabul l’Orso di cristallo per il miglior cortometraggio al Festival di Berlino proprio nel 2002 e, nel 2019, vince anche il premio Oscar per il Miglior Cortometraggio con Skin. Il regista e sceneggiatore ha comunque trovato un’ampia acclamazione anche nel campo dei lungometraggi, con Tatami – Una donna in lotta per la libertà che rappresenta non solo il suo 6° film, ma la prima storica collaborazione tra un regista israeliano ed una regista iraniana.

Il film è stato infatti co-diretto dall’attrice Zar Amir Ebrahimi (Prix d’interprétation féminine al Festival di Cannes per Holy Spider) la quale si ritrova, oltre che davanti la macchina da presa per un’intensa interpretazione, anche dietro di essa al suo debutto in regia. Un film potente ed emozionante quello che vede protagonista la giovane judoka iraniana Leila, interpretata in modo sublime dall’attrice Arienne Mandi, che uscirà ufficialmente nelle sale dal prossimo 4 aprile ma, in occasione proprio della sua anteprima, il regista ha incontrato n videocollegamento i cinema italiani rilasciando un’intervista che rivela curiosità e retroscena sul film.

Tatami è il primo lungometraggio diretto da una regista iraniana ed un regista israeliano. Il film è una storia sportiva, ma è anche una storia di resistenza e di lotta al sistema che opprime le donne in tutto il mondo. Da quali donne siete partiti per l’ispirazione di questo film?

Nel 2020 ho iniziato veramente a fare caso che molte atlete iraniane cercavano di rendersi indipendenti e di ribellarsi al regime iraniano, il quale non consentiva loro di esprimersi a livello sportivo come loro avrebbero voluto. Una di queste era Kimia Alizadeh che ha vinto la medaglia d’argento ai campionati mondiali e ha partecipato alle Olimpiadi, ma ha dovuto abbandonare il suo Paese proprio come segno di ribellione. Anche un’altra donna che ho seguito, la pugile Sadaf Khadem, si è ribellata al regime che impediva loro di combattere liberamente, ma anche l’arrampicatrice Elnaz Rekabi è stata una grande fonte d’ispirazione. La rivoluzione delle donne in Iran ha smosso molti movimenti delle giovani generazioni, le quali cercavano comunque di riprendersi ed impossessarsi dei propri diritti e della propria indipendenza.

Pescando da questo importante elenco di coraggiose atlete avete scelto però di concentrarvi sul judo, che è uno sport anche molto interessante da filmare. Perché proprio il judo?

Ci sono sicuramente molte ragioni a riguardo. Innanzitutto è uno sport particolarmente sentito in Iran. Poi il judo è uno sport di onore, basato su un codice di comportamento che riprende l’antica cultura giapponese e per il quale diventa fondamentale rispettare l’avversario, penso anche molto vicino al concetto di rendere onore al proprio “nemico”. Uno sport molto intenso ed anche spirituale. Poi dal punto di vista proprio cinematografico ha tutta una serie di movimenti molto puliti ed interessanti da riprendere.

Un’altra cosa molto interessante che il film venga ambientato in Georgia, all’interno di questo bellissimo stadio. Perché proprio la Georgia?

Molto interessante perché la Georgia (in particolare Tbilisi) perché i due avversari, i due “nemici”, si vanno ad incontrare in questo luogo equidistante dai rispettivi Paesi d’origine. Molti iraniani e molti israeliani vanno in vacanza in Georgia e capita molto spesso che si incontrino in giro. Poi la Georgia è la capitale europea del judo, spesso ospita i campionati mondiali e ci faceva piacere omaggiare il Paese in questo modo.

Straordinaria l’interpretazione del cast, in particolare della protagonista Arienne Mandi. Viene da chiederti come si sia arrivati alla scelta di lei e come tecnicamente l’avete preparata per il ruolo.

Fortunatamente Arienne vive a pochi minuti da dove abito io qui a Los Angeles, cosa che ha poi reso tutto più facile. Non la conoscevo, abbiamo realizzato dei provini e devo dire che quando avevamo visto ciò che ci aveva mandato eravamo entusiasti di lavorare con lei. Il padre iraniano poi ha dovuto abbandonare il Paese con la Rivoluzione del ’78 e lei da sempre è stata affascinata ed incuriosita dalla cultura iraniana. Oltre ad essere poi una grandissima attrice è anche un’abile pugile e questo ha reso tutto più piacevole. Non conosceva niente del judo, ma i judoka che erano sul set sono rimasti sorpresi dalla sua capacità di apprendimento di questo sport e si è allenata ininterrottamente per 3 mesi con maestri campioni del mondo. I suoi occhi già raccontano tutto, vi posso garantire che Arienne è e continuerà ad essere una vera star, sentiremo molto parlare di lei.