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L’intervista ad Agnieszka Holland nell’incontro con i cinema italiani per presentare Green Border

La regista polacca ha incontrato i cinema italiani per presentare il suo nuovo film, nella quale occasione ha rivelato pensieri e retroscena sulla complicata produzione.
Per la presentazione di Green Border Agnieszka Holland ha incontrato i cinema italiani

In un evento speciale, la regista polacca Agnieszka Holland ha tenuto, nella serata di mercoledì 14 febbraio, un incontro con i cinema italiani collegati in streaming per la presentazione del suo nuovo ed emozionante film Green Border.

L’intervista di Agnieszka Holland per la presentazione di Green Border

Regista in attività da oltre 50 anni, l’autrice polacca Agnieszka Holland è stata intervistata dal collega italiano Andrea Segre, quest’ultimo da sempre impegnato nel sociale attraverso la realizzazione di opere documentaristiche. Il nuovo film della regista Green Border è stato acclamato dalla critica, vincendo al Festival di Venezia anche il Premio speciale della giuria, ma la produzione e la post-pruduzione del film è stata alquanto complicata e tumultuosa, con la regista che nel corso dell’intervista ha rivelato i suoi pensieri personali e vari retroscena sul rapporto con il governo polacco.

Quanto è stato complicato realizzare questo film e quanto è difficile poter fare un’opera di questo tipo oggi?

Tutto ha avuto origine nel 2020-2021. Quando ho visto le reazioni del governo polacco e bielorusso a questa crisi umanitaria mi sono resa conto che era arrivato il momento di fare qualcosa. Naturalmente è stato difficile soprattutto curare la parte finanziaria perché sapevo che sarebbe stato complicato rivolgersi al governo polacco, in modo che potesse finanziare questo tipo di cinema. Sicuramente è stato più facile ottenere fondi dagli altri Paesi europei. Penso che la mia determinazione e la rabbia per quello che stavo vedendo mi abbia dato la spinta necessaria per andare fino in fondo.

Qual è stata la cosa che ti ha fatto più arrabbiare, la cosa che ti ha dato la maggiore spinta per questa energia?

Già nel 2015 ho osservato cosa stava succedendo con la crisi migratoria e ho visto che la politica non era preparata a questa massiccia inondazione. Questa paura che hanno alimentato bieche politiche populiste e fasciste ha creato una sorta di paralisi intellettuale, dove i migranti venivano sfruttati come arma di ricatto e di manipolazione nei confronti dell’Europa. Una guerra ibrida condotta prevalentemente dai dittatori Putin e Lukasenko, che sfruttavano quelli che sarebbero dovuti essere dei corridoi umanitari solo per destabilizzare il continente.

Con il confine tra Polonia e Bielorussia sono stati raggiunti diversi obiettivi politici in tal senso, con il governo polacco di natura fascista che voleva creare uno stato di paura tra la sua gente per imporre la propria politica, creando su questo confine una sorta di laboratorio di menzogna e manipolazioni. I politici hanno chiuso la zona ad organizzazioni umanitarie e ai media; hanno dato alle forze dell’ordine indicazioni per trattare i rifugiati nella maniera più crudele. La loro propaganda era orientata a disumanizzare questi rifugiati, presentandoli come terroristi, pedofili, violentatori e come armi di Lukasenka.

E allora, quando ho iniziato a vedere che nel mio Paese la gente moriva a causa di un cinismo razzista, mi sono detta che era il momento di fare qualche cosa. La tragedia dei rifugiati era evidente, ma quello che il governo polacco ha fatto di quell’utilizzo delle forze dell’ordine non potevo accettarlo e volevo raccontare questa catastrofe morale. Sapevo che questa situazione non riguardava solo la Polonia, ma l’intero mondo Occidentale, che continua a volersi nascondere dietro ad un muro per proteggere le proprie zone di conforto.

La storia del confine tra Polonia e Bielorussia è un drammatico esempio di violenza e di utilizzo del migrante come arma, ma si inserisce appunto nella questione generale di questo tema. Ci sono dei momenti nel film che raccontano con precisione quello che succede da molti punti di vista. Come ti è venuta l’intuizione per questa modalità di narrazione?

Ho pensato che sarebbe stato il primo film e forse anche l’ultimo che sarebbe stato realizzato su questo argomento. Mi interessava registrare una voce polifonica di tanti punti di vista diversi che potessero raccontare questa situazione. Un impegno sicuramente maggiore. ma penso abbia restituito anche una maggiore ricchezza e sfumature. Mi interessava non solo far vedere il percorso dei rifugiati, ma anche vedere da vicino la speciale tipologia degli attivisti e anche far vedere la reazione dell’esercito e della polizia, che da pigra inerzia quotidiana si trasformava in carnefice crudele.

Abbastanza nota la reazione del governo polacco alla presentazione del film al Festival di Venezia, con duri attacchi sia allo stesso Green Border che personali. Ci puoi raccontare la vita vita del film da Venezia ad oggi?

La scelta di Venezia è stata molto importante perché dovevamo avere un posto per far vedere il film in modo che venisse “protetto“, in quanto sapevamo di dover avere problemi per concludere questo progetto, cioè per farlo uscire al cinema. Nessun posto è migliore del Festival di Venezia per questo. Penso che la presentazione ci abbia anche aiutato molto nell’influenzare le elezioni. Poi sì ci è stato l’attacco che hai citato da parte del governo, sottolineando però che il film non era stato visto e non c’era intenzione di vederlo, ma già era stato considerato un nemico pubblico.

Mi aspettavo una reazione del governo ovviamente ma non ad un livello così altisonante. Tutte le maggiori istituzioni politiche si sono scagliate contro il film, chiamandomi anche nazista, nemica della Patria e sono arrivate diverse minacce di morte. Per le anteprime in Polonia ho dovuto prendere una scorta. Ma così facendo hanno esagerato e di fatto hanno dato al film molta pubblicità, con una grande partecipazione da parte del pubblico. Devo dire che l’opposizione in quel momento ha avuto un atteggiamento di paura nei confronti del film, pensando che potesse nuocere alla campagna elettorale, ma si è sbagliata perché è successo esattamente il contrario.

Il nuovo governo ha avuto e ha tuttora il complicato ruolo di eliminare le trappole mediatiche disseminate nel tempo, ma c’è anche da dire che i cambiamenti sulla situazione al confine fanno solo parte di una pura operazione cosmetica. Non ci sono stati grandi cambiamenti. Il trattamento crudele della polizia bielorussa deve essere eliminato, ma ciò non è ancora avvenuto e i trattamenti umanitari risultano così impossibili anche perché è una situazione che non riguarda solo la Polonia. Se continuiamo a costruire dei muri non risolveremo mai niente.

Anche nella storia del cinema italiano abbiamo vissuto momenti altissimi di quello che viene definito “cinema politico”. Ha ancora senso questa definizione per te? Questo film è un “film politico” ed ha senso parlare di questo oggi?

Sicuramente sì, si può dire che Green Border sia un film politico, però è soprattutto un film sulle persone. I miei film sono tutti su storie di persone. Quando ho fatto film sull’Ucraina, sull’Olocausto, ho sempre parlato di storie di persone e questo significa per me “film politico”. Naturalmente poi non intendo fuggire dalle domande, perché è sempre fondamentale porsi questi quesiti che riguardano la nostra vita all’interno della comunità, della società. Queste domande non possono solo riguardare il nostro privato, ma devono riguardare l’uomo immerso in una società e collegato agli altri. Le domande sono molto importanti oggi, perché la nostra umanità è ad un bivio e siamo di fronte a scelte importantissime come quelle prese nel film.