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Recensione – La forma dell’acqua: un Del Toro da Oscar

Film del 2017, La forma dell’acqua ha permesso al regista messicano Guillermo Del Toro di vincere sia il Leone d’Oro alla Mostra del Cinema di Venezia e sia il premio Oscar per il Miglior Film e il Miglior Regista.
La recensione del film di Guillermo Del Toro La forma dell'acqua

SCHEDA DEL FILM

Titolo del film: La forma dell’acqua – The shape of water
Genere: fantastico, sentimentale, avventura, drammatico
Anno: 2017
Durata: 123 min
Regia: Guillermo Del Toro
Sceneggiatura: Guillermo del Toro, Vanessa Taylor
Cast: Sally Hawkins, Michael Shannon, Richard Jenkins, Doug Jones, Michael Stuhlbarg, Octavia Spencer
Fotografia: Dan Laustsen
Montaggio: Sidney Wolinsky
Colonna Sonora: Alexandre Desplat
Paese di produzione: Stati Uniti d’America

Giunto al suo decimo lungometraggio, il regista messicano Guillermo Del Toro riesce ad aggiudicarsi il personale riconoscimento tanto agognato del premio Oscar grazie a La forma dell’acqua, un romantico fantasy di spionaggio con protagonisti Sally Hawkins e Michael Shannon.

La forma dell’acqua: la trama del film di Guillermo Del Toro

Presentato alla 74ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, il film di Del Toro viene ambientato nella Baltimora degli anni ’60, in piena Guerra Fredda. In un laboratorio, che conduce esperimenti scientifici a scopo prevalentemente militare, lavora l’inserviente Elisa – donna affetta da mutismo – e la sua collega Zelda, trattate spesso malamente dagli uomini di alto rango che attraversano i corridoi della struttura. Un giorno il governo riesce a catturare un misterioso esemplare anfibio, dalle fattezze umanoidi, che viene rinchiuso nel laboratorio dove il colonnello Strickland intende vivisezionarlo per poter condurre nuovi esperimenti. Tra una pulizia e l’altra, tuttavia, Elisa riesce casualmente ad avvicinarsi alla Creatura con la quale riesce a condividere molto della sua natura di emarginata. Quando la donna ha ormai iniziato ad affezionarsi ad essa, Elisa coinvolge Zelda e il suo coinquilino Giles in un rocambolesco piano di fuga per poter salvare la Creatura dalle grinfie del governo, ma lo spietato Strickland si metterà immediatamente sulle loro tracce per riprendersi la sua preda.

La recensione di La forma dell'acqua film di Guillermo Del Toro

La forma dell’acqua, la recensione: Del Toro creatore di mondi e distruttore di barriere

<<L’acqua è come l’amore, non ha forma. Prende la forma di qualsiasi cosa sia il suo recipiente. È l’elemento più potente dell’universo. È gentile, flessibile, ma sfonda ogni barriera.>>


Dopo l’avventura con Crimson Peak, Del Toro continua ad immergersi nelle acque dei classici della letteratura e, tra i tanti riferimenti sapientemente sfruttati dal regista messicano per realizzare il suo decimo lungometraggio, il principale potrebbe proprio essere – con semplice intuizione – l’intramontabile fiaba de La Bella e la Bestia. La sua poetica espressa nei precedenti 9 film continua così a rafforzarsi, giusto per continuare a porre al centro della narrazione quel dualismo, quello scisma interiore ed esteriore, quel rapporto tanto conflittuale quanto d’amore che esiste e continuerà ad esistere tra l’uomo e il mostro, tra la Bella e la Bestia. Una fiaba moderna questo La forma dell’acqua – The Shape of water che poggia il suo “C’era una volta…” nel complicato periodo storico della Guerra Fredda, spaccato in fazioni, per raccontare un amore che supera i confini della propria natura, interraziale, che come l’acqua si mostra tanto flessibile e gentile quanto capace di sfondare ogni barriera, compresi i “muri”. Questo in quanto il periodo della produzione del film del 2017 trova la sua realizzazione nel pieno mandato statunitense di Donald Trump, con il regista di Mimic che si ritrova immigrato messicano in un Paese – quello a Stelle e Strisce – tendente a spaccarsi sempre di più per vie interne, raccontando invece sul grande schermo un amore intenso che va contro le differenze e, perché no, dipingendo il principale esponente governativo del film come un sadico nazista.

Ma Guillermo Del Toro, sempre attivo cinematograficamente dal punto di vista politico, è decisamente molto più intelligente ed elegante per scadere in fantomatiche faide politiche da bandiera sventolata, non riscontrando la superficialità nell’incarnare la “malvagità americana” nel personaggio di Strickland o la “bontà russa” in quello dello scienziato Hoffstetler, spia del KGB in incognito. Anche quest’ultima fazione, infatti, deciderà di voler uccidere lo stesso scienziato rispondendo agli ordini per voler di Patria: c’è chi sceglie di eseguire gli ordini – senza scrupolo se questi possano essere delittuosi – e chi, invece, decide di andare contro tutto, nonostante la propria posizione e natura, a favore della cosa giusta, dell’amore, del progresso e della salvezza individuale e collettiva. A sorprendere particolarmente nel film, infatti, è proprio l’abilità del suo regista nel saper mescolare ed agitare in acque silentemente vorticose gli elementi del cinema di spionaggio, di quello fantastico e romantico, riuscendo a convincere in tutte e 3 le sue forme. Un aggraziato mulinello che, ovviamente, non può che ruotare attorno al tema principale della filmografia di Del Toro, ovvero quell’eroico senso del sacrificio da parte degli emarginati e delle minoranze nella speranza di riuscire a migliorare le cose, continuando a descrivere acidamente gli spietati mostri del potere politico-istituzionale.

La forma dell’acqua, la recensione: un adulto Del Toro citazionista ed autocitazionista

<<Per nove film ho cercato di riformulare le paure e i sogni della mia infanzia. Questa è la prima volta che decido di parlare come un adulto, di qualcosa che mi preoccupa in quanto adulto. Non sono sicuramente preoccupazioni che avevo a sette o nove anni>>.

È lo stesso Guillermo Del Toro che usa il termine “adulto” indicando la sua condizione mentale che lo ha spinto alla lavorazione de “La forma dell’acqua”, facendo riferimento naturalmente alla tematica di fondo e ai suoi sviluppi ma, andando anche oltre, si potrebbe altrettanto utilizzare il termine “maturo”, tanto nella tecnica quanto nella consapevolezza del suo stesso cinema. Gli omaggi al grande cinema e alla letteratura, il portare su schermo tematiche come razzismo, guerra ed integrazione, non è un affare sicuramente nuovo per il cinema del regista de La spina del diavolo e Il labirinto del Fauno. Non basterebbe dunque l’evidente rimando ai suoi amati Mostri Universal con Il mostro della laguna nera del 1954 – diretto da Jack Arnold e già pienamente omaggiato con il personaggio di Abe di Hellboy – ed ambientare la narrazione nel periodo della Guerra Fredda per fare de “La forma dell’acqua” un film adulto, anche se risultano elementi da dover analizzare anche in tal senso.

La maturazione di Del Toro nel suo decimo film sta proprio nella cura e nell’interazione che sceglie di rievocare tra i suoi personaggi. Il personaggio di Elisa – interpretato con pantomimica dedizione dalla candidata Oscar Sally Hawkins – diviene così la musa del regista, la sua protagonista accompagnata per mano da decenni e diventata insieme a lui finalmente adulta. Dopo le sofisticate e fantastiche Aurora di Cronos, Ofelia de “Il labirinto del fauno” e la Edith di “Crimson Peak”, la nuova eroina del regista messicano ha vissuto le sue principali fasi della vita che, sospesa ancora una volta tra sogno e realtà, si abbandona totalmente nell’abbracciare quella “forma” che le appartiene. In particolare, un elemento viene dolcemente tirato fuori dal film, comunque sempre apparso nelle precedenti opere di Del Toro ma mai esplicitato, ovvero il sesso, inteso proprio come passionale atto di piacere. Il regista racconta con “La forma dell’acqua” una storia d’amore carnale, passionale, con il sesso che rappresenta infatti anche la chiave per poter descrivere e rappresentare la stessa natura umana: accarezzato, riservato e seducente il rapporto tra Elisa e la Creatura; violento e rude quello di Srickland, con il suo immancabile feticismo (nazista) per la tortura ed il dolore. A tornare è infatti anche quel martellante interrogativo che non smette di abbandonare il regista da Hellboy, ovvero “cos’è che fa di un uomo un uomo?”. L’autocitazionismo della filmografia del regista messicano coinvolge ovviamente anche il villain del suo decimo lungometraggio, che qui gode della grande e spigolosa prova di Michael Shannon. A crescere, infatti, è anche lo stesso capitano Vidal de Il labirinto del fauno, salito istituzionalmente nelle gerarchie e diventato metaforicamente colonnello: più spietato, più corrotto, più sadico e prosciugato anche di quei “nobili ideali” che animava le gesta del personaggio interpretato da Sergi Lopez, che agisce qui solo per il piacere di infondere dolore e per non essere spedito a nuotare in un (parafrasando) “universo di merda” dai suoi superiori.

La forma dell’acqua, la recensione: una fiaba fuori dal tempo per un Del Toro da Oscar

<<La forma dell’acqua è un film sui problemi di oggi nella demonizzazione, sulla paura e sull’odio, su come questa rappresenti una scelta molto più distruttiva rispetto al voler amare e capire l’altro. Se dico “C’era una volta nel 1962” diventa una fiaba per questi tempi difficili, la gente può abbassare un po’ di più la guardia disposto ad ascoltare la storia, i personaggi e parlare dei problemi, piuttosto che le circostanze di quegli stessi problemi.>>.


In “La forma dell’acqua” tutta la poetica e l’estetica deltoriana viene così ripresa non solo per quanto riguarda il delizioso e maturo autocitazionismo nella sua poetica, ma anche e soprattutto nella sua esposizione, in questo caso esasperata (nel senso più nobile del termine) in tutti i suoi aspetti, tanto estetici quanto concettuali. Il racconto fiabesco – con il narratore che, come per Il labirinto del Fauno ed Hellboy, apre e chiude la storia con persuasiva ed ammaliante voce fuoricampo – diviene ancora una volta determinante per potersi intrecciare e mescolare con la storia e la politica. Ma ad essere esplicito, in termini più propriamente visivi, torna ad essere il costante dualismo narrativo riversato nella palette cromatica di Dan Laustsen (Mimic, Crimson Peak), che permette di far abbracciare (anche letteralmente) le tonalità marina ed il sangue freddo anfibio della Creatura a quelle magiche, dorate e dal sangue caldo di Elisa, in un continuo scambio di fluidi per raggiungere e riempire la giusta forma dell’acqua: quella dell’amore incondizionato e senza confini. La magniloquente messa in scena è forse come non mai padrona indiscussa nel film di Del Toro, tanto per l’originalità visiva quanto nella perizia tecnica della sua realizzazione, dove lo sguardo e la musica sostituiscono egregiamente le parole e dove, per rappresentare su schermo l’amore tra due entità, è “sufficiente” dare sfogo ad una splendida sequenza musical in bianco e nero.

La regia del messicano resta di altissima classe ed eleganza, non solo nella geometria della ripresa scenica, ma anche nell’abilità di mescolare a dovere i generi di appartenenza e restituire una visione romantica e delicata che non disdegna minimamente la tensione dello spy-movie. Emozioni che, così facendo, si amalgamano in armonia anche e soprattutto per il fondamentale contributo del compositore Alexandre Desplat capace, attraverso le sue deliziose note, di far fluttuare l’esperienza in acque a dir poco ristoratrici, con lo stesso che nei confronti de “La forma dell’acqua” dichiarerebbe: <<quando il film è così bello, ed in realtà penso che questo film sia un capolavoro, ti rende la vita molto più semplice. Devi solo metterci le mani sopra e ti porta ovunque tu voglia.>>. Ancora una volta nel cinema di Del Toro la musica, il cinema, l’Arte diviene fonte vitale da cui attingere, una salvezza per l’anima in tempi oscuri e spunto per esorcizzare la tristezza di Can’t smile without you in Hellboy, conciliare il sonno con la ninna nanna di Navarrete ne Il labirinto del Fauno, oppure fantasticare qui in nuove avventure per raccontare l’amore, con il personaggio di Strickland che, infatti, non meriterebbe tutto ciò e con lo stesso Desplat che decide di non dedicargli nemmeno un tema musicale specifico. In conclusione, pur non rappresentando il capolavoro del regista messicano ed andando oltre il discorso in merito alla sua stagione dei premi (con le vittorie tra gli altri sia del Leone d’Oro che dell’Oscar al Miglior Film e Miglior Regista), “La forma dell’acqua – The Shape of Water” è l’ulteriore splendido tassello della luminosa filmografia di Guillermo Del Toro, tanto delicato quanto implacabile a livello tecnico-stilistico e concettuale, per una fiaba immortale ammantata di grande cinema.

Voto:
5/5
Andrea Barone
5/5
Andrea Boggione
5/5
Arianna Casaburi
4/5
Christian D'Avanzo
5/5
Emanuela Di Pinto
3.5/5
Matteo Farina
4/5
Gabriele Maccauro
3.5/5
Alessio Minorenti
4.5/5
Matteo Pelli
4.5/5
Giovanni Urgnani
5/5
4,0
Rated 4,0 out of 5
4,0 su 5 stelle (basato su 1 recensione)
Voto del redattore:
Data di rilascio:
Regia:
Cast:
Genere:

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