Cerca
Close this search box.

Recensione – Boiling Point, il film di Philip Barantini in piano sequenza

Recensione - Boiling Point, il film di Philip Barantini in piano sequenza

SCHEDA DEL FILM

Titolo del film: Boiling Point
Genere: Drammatico, Thriller
Anno: 2021
Durata: 92 minuti
Regia: Philip Barantini
Sceneggiatura: Philip Barantini, James Cummings
Cast: Stephen Graham, Vinette Robinson, Alice Feetham, Ray Panthaki, Hannah Walters, Malachi Kirby, Izuka Hoyle, Taz Skylar
Fotografia: Matthew Lewis
Montaggio: Alex Fountain
Colonna Sonora: Aaron May, David Ridley
Paese di produzione: Gran Bretagna 

Presente sulla piattaforma di streaming di iWonderful, Boiling Point è un film sicuramente molto interessante, figlio di una tradizione che The Bear ha riportato in auge. Interamente in piano sequenza, il prodotto di Philip Barantini si occupa di una rappresentazione della cucina nel suo momento più caotico e frenetico: una serata a ridosso del Natale, in cui il locale abbonda di prenotazioni. Di seguito, la trama e la recensione di Boiling Point.

La trama di Boiling Point, il film di Philip Barantini

Prima di introdurre la recensione di Boiling Point, vale la pena citare innanzitutto la trama del film di Philip Barantini. Di seguito, la sinossi ufficiale del film: Boiling Point, il film diretto da Philip Barantini, vede protagonista Andy Jones (Stephen Graham), uno Chef sotto stress: è la vigilia di Natale e un ispettore sanitario arriva a sorpresa per controllare il suo ristorante, tra i più in voga di Londra. Il suo ex mentore, divenuto una super star televisiva, si presenta senza preavviso e accompagnato da un feroce critico gastronomico. Come se non bastasse, la pressione sta lentamente ma inesorabilmente portando gli animi della sua squadra a ribollire. Per quanto tempo Andy riuscirà a tenere il controllo?”

La recensione di Boiling Point: la cucina in una (nuova) rappresentazione sociale

Gli ultimi anni sono stati piuttosto prolifici per quanto riguarda la creazione di prodotti che interrompessero la tradizione relativa ad un certo trattamento della cucina: non più luogo pacifico, tranquillo, di ritiro spirituale o di commistione dei sensi, bensì realtà frenetica e vivace, continuamente oggetto delle impressioni e delle depressioni dei suoi fruitori, in cui si enfatizza quella difficoltà sociale giuocheranno posseduta all’esterno della cucina ma che, negli stretti corridoi e negli spazi infinitesimali della stessa, si enfatizza ancor più. Boiling Point si ascrive allora a quella medesima tradizione che vede in The Bear sicuramente il suo prodotto rappresentativo, ma che anche nella tradizione cinematografica inizia a far sentire il suo peso con prodotti come Hunger, recentemente incluso nella piattaforma di streaming Netflix. Il contesto di Boiling Point è quello di Andy Jones, ristoratore che non riesce a ottenere il successo sperato mettendosi in proprio, pieno di debiti, alcolizzato, dalla vita complicata nelle relazioni sociali e per questo morivo rozzo, confuso e confusionario, depresso, distratto e inadatto al lavoro che svolge. 

 

 

Il più classico dei cliché della ristorazione-difficile viene servito sul piatto dello spettatore: il controllo qualità della cucina fa perdere al ristorante due punti a causa di una serie di problemi nella documentazione e nella gestione delle diverse componenti: è il preludio di un film che si avvale dell’esclusivo piano-sequenza di cui Philip Barantini si dimostra non estremamente esperto, ma che nei fatti enfatizza il senso che il film vuole comunicare. Muovendosi sostanzialmente su due assi orizzontali, la macchina da presa si sofferma, tavolo per tavolo, nel rappresentare la realtà in maniera costantemente nucleica: ogni tavolo porta con sé le sue difficoltà, le sue sfide, i suoi problemi, il più delle volte comunicati e restituiti anche alla cucina, a cui Barantini torna di tanto in tanto quasi a voler far riferimento a quel checkpoint di cui anche lo spettatore abbisogna. Nel piccolo microcosmo di Boiling Point non c’è mai spazio per gli approfondimenti, per cui ci si concentra soltanto brevemente su razzismo, capitalismo e sulla critica aspra verso quella società dell’immagine goffamente rappresentata dagli influencer di turno, in un botta-risposta costante che viene ritmato in maniera piuttosto intelligente. Il problema di Boiling Point è che, fino ad un certo punto, comprende di essere semplicemente la rappresentazione “fotogrammatica” di una realtà certamente esistente, pur se resa in termini di caratteri, non avendo poi chissà quale bisogno di altro. 

 

 

Proprio quando Philip Barantini compie uno sforzo in più, qualcosa si rompe: il finale di Boiling Point è estremamente retorico e didascalico, essendo il regista ossessionato dalla comunicazione di un’idea che era già stata ampiamente resa e compresa anche per immagini (vedasi il liquido nella borraccia, che lo spettatore aveva già capito essere alcol) e che, per questo motivo, non necessitava di approfondimento ulteriore. Nella rappresentazione dell’Andy Jones finale, che sviene con dissolvenza in nero e facendo terminare il film, c’è tanta acredine, unita alla suggestione – falsa – che ciò che era stato creato fino a quel momento non fosse abbastanza. Un peccato, dunque, osservare un film sgonfiarsi in questo modo, incepparsi sul più bello, proprio quando avrebbe potuto continuare a parlare di quel poco (o nulla) che è il mondo e la vita di una persona. 

Voto:
3.5/5
Andrea Boggione
3.5/5