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Recensione – Hunger, il nuovo film Netflix sul mondo della cucina

Hunger è il nuovo film Netflix sul mondo della cucina. Ma merita davvero la visione?
Hunger, un film di Sitisiri Mongkolsiri

La recensione di Hunger, nuovo film Netflix diretto dal regista thailandese Sitisiri Mongkolsiri e che, attraverso il mondo della cucina, porta avanti anche un discorso di critica sociale. Il film, che sta avendo un grandissimo successo, è disponibile su Netflix dall’8 aprile per tutti gli abbonati. Di seguito, ecco la trama e la recensione di Hunger.

La trama di Hunger, il nuovo film Netflix diretto da Sitisiri Mongkolsiri

Diretto da Sitisiri Mongkolsiri e scritto da Kongdej Jaturanrasamee, Hunger è il nuovo film Netflix di cui si fa un gran parlare in questi giorni. Prima di passare alla recensione però, ecco trama: Hunger segue la storia di Aoy (Chutimon Chuengcharoensukying), giovane cuoca che lavora nel ristorante di famiglia a Bangkok, dove prepara principalmente street food. La sua vita cambia il giorno in cui un cliente, notando il suo talento e la bontà dei piatti da lei preparati, le lascia il biglietto da visita di Hunger, ristorante di lusso con a capo il famosissimo Chef Paul (Nopachai Jaynama), famoso per essere il cuoco dei più ricchi e potenti del paese. Aoy accetta per tentare di realizzare il suo sogno di diventare una cuoca famosa in tutto il paese, ma si troverà davanti una realtà diversa da quella da lei a lungo bramata. il suo inserimento sarà infatti durissimo, soprattutto per via del carattere irascibile e violento di Chef Paul. Aoy non demorderà e si ritroverà ad affrontare diverse sfide ai fornelli con e contro lo stesso Chef, fino ad arrivare ad una decisione definitiva per il proprio futuro e la propria carriera.

Hunger, un film di Sitisiri Mongkolsiri

La recensione di Hunger: quando Whiplash incontra Parasite

Sono anni ormai che cinema e televisione stanno investendo e portando su grande e piccolo schermo il mondo della cucina, un mondo fino a poco tempo fa quasi nascosto che, grazie a film, serie tv e programmi televisivi, è ormai entrato a far parte del nostro quotidiano. Da Masterchef a The Menù, da The Bear a Boiling point, passando per tutte le serie tv Netflix come Chef’s Table o Street Food, la cucina non è più tabù, ma un mondo che si sta sempre più aprendo ai propri spettatori, per raccontare la passione ed i sacrifici che ci sono dietro ogni singolo piatto. C’è chi realizza quasi dei documentari che hanno come fine ultimo il mostrare ingredienti e preparazioni, tentando di trasportare gli spettatori in un altro mondo fino quasi a far assaporare loro i piatti, mentre c’è chi si concentra sul lato organizzativo ed amministrativo: come si gestisce un ristorante? Qual è davvero la vita di chi sta dietro ai fornelli e quanti sacrifici e difficoltà hanno dovuto affrontare per essere lì? 

 

In questo senso, Hunger non è certamente l’opera più originale mai vista, considerando anche il fatto che cavalca l’onda di un genere di cui praticamente tutti, al giorno d’oggi, sembrano essere appassionati, ma si differenzia da tutte le opere sopracitate prendendo le distanze dal proprio racconto, mettendo in secondo piano la cucina per poter spostare invece l’attenzione sulle persone e sull’intera societàChiaramente la cucina è presente, ma le intenzioni del regista thailandese Sitisiri Mongkolsiri fanno davvero la differenza, grazie anche ad una regia sì derivativa, ma decisa, un comparto tecnico che non viene messo in secondo piano, ma che è ben presente e con cui Mongkolsiri gioca, dai movimenti di camera, ai rallentatori fino al cambio di fotografia tra una scena e l’altra, come quasi per sublimare determinate azioni.

 

Mongkolsiri racconta sì il mondo della cucina, ma mette in primo piano i personaggi, in primis grazie al rapporto tra Aoy e Chef Paul che, inevitabilmente, ci rimanda a quello che c’era tra Andrew Neiman e Terence Fletcher, i due protagonisti di Whiplash, film di Damien Chazelle del 2014. L’ossessione, lo spingersi sempre più verso i propri limiti per poter soccombere oppure superarli, attestandosi definitivamente come un talento nella propria disciplina. Un rapporto che, nel suo essere tossico e malsano, come spinse Neiman a diventare un grande batterista, porta qui Aoy a consacrarsi come una delle migliori cuoche del paese, finendo addirittura per fronteggiare lo stesso Chef Paul, cucinando quasi l’uno contro l’altro per poter affermare il proprio status quo davanti ad alcuni tra gli uomini più ricchi e potenti del paese.

 

Il secondo grande punto di forza del film è proprio questo: nel concentrarsi sulle persone, Mongkolsiri crea un film di denuncia, un’opera che riflette anche sulla società in cui vive, sul divario sociale che c’è tra ricchi e poveri, su come sia sempre tutta apparenza e su come, spesso e volentieri, chi ha più risorse è anche chi è più corrotto ed ambiguo. Il regista ci dipinge tutto ciò stratificando il racconto, mostrandoci la famiglia di Aoy ed il loro ristorante in cui cucina piatti semplici e poveri, street food alla portata di tutti ed appunto Hunger, la cucina di Chef Paul, che ha l’unico obiettivo di cucinare e sfamare i ricchi, per cui il cibo rappresenta qualcosa di diverso rispetto ai più poveri. Questo lavoro sulle classi sociali, anche in termini di regia, riprende a piene mani da Parasite, il capolavoro di Bong Joon-ho del 2019.

Il ruolo del cibo e la fame dell’uomo in Hunger

Come detto, si tratta anche di un film che parla di ossessione. La rabbia e quasi la distanza con cui cucina Chef Paul deriva dalla sua infanzia difficile, un’infanzia passata in povertà, durante la quale vedeva i ricchi per cui sua madre lavorava come domestica, mangiare pietanze che lui non poteva permettersi ma che, nel momento in cui ha avuto modo di assaggiarle, ha ritenuto avessero un pessimo sapore. Da lì la sua vita ha avuto un unico scopo: diventare un cuoco famosissimo per poter cucinare solamente ai ricchi, in modo tale che loro avessero fame di lui. È un concetto ripetuto molto spesso durante il film, l’avere fame non di qualcosa, ma di qualcuno ed il cibo perde così la sua vera identità e diventa solamente un mezzo per poter accrescere e rafforzare il proprio status quo. I ricchi vengono raffigurati quasi come animali, persone che si abbuffano e mangiano senza ritegno e soprattutto senza rendersi conto di ciò che stanno ingerendo, a differenza della famiglia di Aoy, che ha poco ma che porta rispetto verso ciò che prepara e verso le materie prime stesse.

 

In questo senso, il cibo viene privato del suo vero fine, ovvero nutrire le persone. Diventa un accessorio, un oggetto, un qualcosa da mostrare agli altri, per potersi vantare, per poter sottolineare anche solamente il fatto di avere i soldi necessari per poterselo permettere. Il contrasto tra ricchi e poveri ripreso da Parasite viene dunque rappresentato in primis attraverso i piatti cucinati da Aoy e Chef Paul ed il modo in cui i due, soprattutto nella seconda parte del film, entrano in contrasto e si danno battaglia. È tutta una questione di apparenze ed Aoy sa di non appartenere a quel mondo, da cui prenderà sempre più le distanze fino a tornare alle proprie radici, a casa, nel ristorante di famiglia dove il cibo ha il ruolo che gli compete, dove tutti possono permettersi di mangiare e rendere grazie e dove lei, in fin dei conti, realizza di essere felice.

Voto:
3.5/5
Bruno Santini
2.5/5
0,0
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Voto del redattore:
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