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Gravity: Un’esperienza prima che un film.

Il 3D, tecnica cinematografica esplosa nei primi anni 2010 e poco a poco accantonata. Tutti l’hanno usata, pochi l’hanno veramente sfruttata a dovere. Ma tra tutti i film usciti in quegli anni, “Gravity” è senza dubbio quello che ha portato questa innovazione al suo apice.

Gravity è un’esperienza, prima che un film, un’esperienza che trova la sua massima espressione nella sala, la quinta essenza della magia del cinema.

Uscito nel 2013, dopo una lavorazione di oltre quattro anni, porta la firma di Alfonso Cuaron, regista che, assieme agli amici Guillermo Del Toro e Alejandro Gonzalez Inarritu, compone quel trio di messicani, i “Tre Caballeros”, che ha monopolizzato le cerimonie degli Oscar tra il 2014 e il 2018. Dopo aver affrontato una fantascienza dai toni molto diversi con “I figli degli uomini”, realizza quello che a tutti gli effetti è un costosissimo film d’autore. Firma il soggetto, la sceneggiatura, la produzione, il montaggio e ovviamente la regia. Un lavoro personale che gli varrà ben tre statuette con il suo nome sopra tra i 7 Oscar in totale conquistati dalla pellicola.

La storia è semplice, due astronauti, la dottoressa Ryan Stone (Sandra Bullock) e Matt Kowalsky (George Clooney), sono gli unici superstiti della distruzione di uno shuttle in orbita e dovranno trovare il modo di tornare a terra. Questo viaggio al limite della sopportazione umana, nell’ambiente più estremo possibile, sarà per la dottoressa Stone, vera protagonista della pellicola, un percorso prima di tutto interiore, di rinascita e di superamento di un oscuro trauma.

Al centro della pellicola però c’è lui, quello spazio terrificante e ostile, dove le esplosioni avvengono in un silenzio assordante e tutto è avverso alla vita. Cuaron sfrutta perfettamente l’ambiente in cui si sviluppa la storia. La camera fluttua in assenza di gravità, gira intorno agli attori, si muove a 360º in cerca di punti di vista innovativi e spettacolari. Difficile sarà per lo spettatore dimenticare il primo lunghissimo piano sequenza, delicato, raffinato, con quella luminosa Terra nello sfondo, tanto magnifica e vicina, quanto lontana e irraggiungibile. Incredibile il livello tecnico raggiunto dalla pellicola. In tale fotorealismo negli effetti visivi non lo si era mai visto prima e raramente sarà raggiunto negli anni successivi. Curatissimo il sonoro e fortemente evocativa la fotografia del maestro, anch’esso messicano, Emmanuel Lubezki. Tutto è studiato alla perfezione per regalare allo spettatore un’esperienza totalmente immersiva, potenziata dall’uso sapiente del 3D. Sembrerà di essere realmente nello spazio con loro e, come per la nostra protagonista, sarà difficile tornare con i piedi per terra al termine della visione. Sebbene relativamente marginali in un contesto del genere, un plauso va anche alla prova attoriale di Sandra Bullock che, spalleggiata dal sornione Clooney, ci regala una delle sue migliori interpretazioni riuscendo a dare valore alle sequenze più intimiste, quando il ritmo cala, la camera si sofferma sul suo volto e si dà spazio all’introspezione e all’evoluzione del suo personaggio. Infine non si può non elogiare la colonna sonora di Steven Price, un sapiente utilizzo di cori, sonorità elettroniche e classiche, una soundtrack dalla forte valenza narrativa che ci accompagna per mano in un mondo senza suoni.

È innegabile che Gravity dipenda fortemente dal contesto in cui lo si fruisce e ci si potrebbe giustamente interrogare sul valore di un film che fuori dalla sala perda molto del suo potere comunicativo, eppure è proprio questo il suo grande punto di forza, il saper regalare allo spettatore un esperienza unica e difficilmente ripetibile.

Gravity è in fondo un grande luna park, ma non per questo banale nella scrittura. Una sapiente commistione di arti sfruttate all’apice delle loro potenzialità che solo un grande autore come Cuaron poteva mettere in scena. È il Cinema al suo massimo, quello che ancora oggi sa affascinare e sbalordire un pubblico ormai smaliziato e abituato a tutto. È quel Cinema che sa mettere ancora oggi la sala al centro del suo intento comunicativo. Gravity è un’esperienza impareggiabile da vivere lì, in silenzio, di fronte allo schermo più grande possibile, nel buio più totale, lasciandosi trasportare in un mondo a noi sconosciuto.

– Carlo Iarossi