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Recensione – Killer Joe: agnelli sacrificali, cani rabbiosi e pollo fritto

Presentato in concorso alla 68° Mostra Internazionale d’arte cinematografica di Venezia, “Killer Joe” del 2011 è al momento l’ultima perla latrata dall’esperta mano registica del maestro William Friedkin.

 

Rinnovatore del genere poliziesco ed horror e tra i massimi autori della cosiddetta Nuova Hollywood, il regista di Chicago ha scritto la sua fondamentale pagina della storia del cinema, con l’iconico titolo de “L’Esorcista” del 1973 marcato in rosso. Ribattezzato grazie a quest’ultimo Il regista del Male, a 76 anni William Friedkin non si scompone di una virgola e realizza di fatto un audace compromesso tra i due generi che lui stesso ha contribuito a volgere sotto diverse tonalità. “Killer Joe” è così un freddo e incisivo noir, dove la violenza genera violenza e la deviante psicologia di ogni personaggio porterà al caos e al dolore per tutti, soprattutto per lo spettatore.

 

 

Di seguito viene offerta la recensione del 19° lungometraggio del regista Premio Oscar nel 1972 con “Il braccio violento della legge“.

 

 

La trama di Killer Joe, di William Friedkin

Chris Smith è un impulsivo giovane spacciatore di 22 anni, che cerca di racimolare qualche soldo sporco per i sobborghi texani. Un giorno Chris scopre che la madre Adele gli sta rubando dosi di cocaina – tra le quali una partita di droga appartenente al pericoloso boss locale – e, infastidito dai continui comportamenti compromettenti della madre e spaventato per la sua sorte, prende una drammatica decisione.

 

 

Il piano è infatti quello di assoldare un sicario per uccidere la madre e poter incassare così una cospicua polizza assicurativa di 50.000 dollari, intestata alla sorella minore Dottie.
Per riuscirci, Chris riesce ad entrare in contatto con il pericoloso Joseph Cooper: un poliziotto depravato e con evidenti squilibri mentali che, per arrotondare, ha deciso di specializzarsi in omicidi su commissione, guadagnandosi il soprannome di “Killer Joe”.

 

 

Rifiutato inizialmente l’incarico – a causa dell’impossibilità di un pagamento anticipato – Cooper finalmente si convince dopo aver notato la bellezza della vergine sorellina di Chris. Quest’ultimo, tanto determinato quanto disperato insieme al padre Ansel a portare a termine la missione, accetta a malincuore la controproposta di cedere Dottie al killer come “caparra”, fino all’incasso della polizza assicurativa.

 

 

Tuttavia, le cose non vanno proprio come programmate, ma più dei malavitosi abitanti del quartiere Chris dovrebbe preoccuparsi del mostro che ha fatto entrare in casa propria.

 

 

La Recensione di Killer Joe, di William Friedkin: un violento noir in uno sporco far west

Adattando l’omonima pièce teatrale del premio Pulitzer Tracy Letts (lo stesso sceneggiatore del film e anche del più recente “La donna alla finestra” del 2021 diretto da Joe Wright), il regista del Male William Friedkin dirige il suo 19° lungometraggio con mano esperta e tanta voglia di lasciare il segno.

 

 

Senza mai concedere un appiglio alla speranza che tutto possa risolversi per il meglio, si segue le vicissitudini del giovane – e anche sfortunato – personaggio interpretato con dedizione da Emile Hirsch (“Speed Racer”, “Son”, “Into the wild”). Lo stesso protagonista del film del 2007 – diretto da Sean Penn – che si ritrova anche in “Killer Joe” a dover sopravvivere nelle “terre selvagge“: non più le naturalistiche ambientazioni dell’Alaska, ma proprio il selvaggio far west di una cittadina texana. Soprattutto le sfaccettature fisiche e morali dei personaggi, la decadente scenografia e i continui “stalli” con e senza la pistola impugnata, aggiungono infatti anche elementi degni di un western avido e maledettamente sporco, nei sudici vestiti come nell’animo degli agnellini vestiti da lupo dei membri della famiglia Smith, dati in pasto alla visione.

 

 

In una sceneggiatura che si occupa innanzitutto di caratterizzare ottimamente dei personaggi dalla spessa complessità, si ritrova una struttura narrativa noir ben salda, nella quale non mancano di certo i colpi di scena. Il topos del piano criminale che finisce per incepparsi ha ormai un lungo retaggio nella storia del cinema, ottenendo anche geniali rappresentazioni su schermo (fra tutti gli esempi possibili, il più lampante potrebbe essere quello di praticamente tutta la filmografia dei fratelli Joel e Ethan Coen); ma, a differenza per esempio della sontuosa pellicola dei CoenBros targata 1996 “Fargo“, qui l’ironia risulta totalmente assente, se non per il grottesco che travolge determinate ed incisive sequenze.

 

 

Si tratta infatti di un gusto per il sarcasmo decisamente secco, violento ed a tratti disturbante, ma che riesce ad aggiungere una tonalità di assurdo ad una cruda realtà. “Killer Joe” si presta così ad aprire le porte del comun inferno di periferia – specialmente di alcune aree statunitensi – messo in scena da una fatiscente ed umida ambientazione che viene esaltata dall’ottima tetra fotografia di Caleb Deschanel.

 

 

La Recensione di Killer Joe, di William Friedkin: il Male bussa alla tua porta e viene invitato a cena

Più che per la sua potente carica di tensione – sfociando il più delle volte nel campo dell’horror psicologico – e per la messa in scena di ottima fattura che trasuda tutto il marcio della sua narrazione, “Killer Joe” rimane profondamente la drammatica storia dei suoi personaggi, che riesce a fare perno su deboli situazioni psicologiche che vivono gli stessi protagonisti per intrecciarsi ad un’aspra critica al tessuto sociale.

 

Tanto il risvolto narrativo in merito alla polizza assicurativa, quanto la figura stessa di Killer Joe – rappresentante della legge violento, corrotto e mercenario – fanno solo da sfondo a un quartiere cittadino lasciato a sé stesso dalle istituzioni e dalla società, nel quale non può che dilagare violenza e criminalità. A essere maggiormente sotto accusa resta sicuramente la fatiscente protezione sicura e confortevole offerta dagli elementi della propria famiglia: soprattutto in un ambiente malsano ed abbandonato – nella quale risulta inevitabile l’affermarsi della “legge del più forte” – non ci si può fidare proprio di nessuno, non risparmiando nemmeno gli scricchiolanti rapporti all’intero del focolare domestico, nido di ogni trauma.

 

Regia d’alta scuola quella di Friedkin, ottima e funzionale messa in scena – con una buona gestione del montaggio soprattutto per la suspense – e la sceneggiatura di Tracy Letts che rende onore ad un vincitore del Premio Pulitzer; ma un ulteriore plauso deve essere concesso al cast di “Killer Joe”.

Oltre alla già citata interpretazione di Emile Hirsch (un ragazzo che cerca di dimostrare, fallendo, la propria intraprendenza ed indipendenza per colmare la figura genitoriale protettiva assente per lui e la sorella), convincenti sono anche le prove di Thomas Haden Church (tra gli altri, anche l’Uomo Sabbia di Spiderman, recentemente apparso come personaggio nel film di Jon Watts del 2021) e Juno Temple. Il primo rappresenta appunto la mancata figura paterna, inetto, succube e del tutto incapace di proteggere la propria famiglia; la seconda, una vergine tela bianca imbrattata di sangue, dall’animo innocente ma consumato e corrotto dall’inferno quotidiano che è costretta a vivere, finché non perderà del tutto la sua pura innocenza.

 

Tuttavia, nel macabro panorama offerto da William Friedkin, a farla da padrone è sicuramente la gigantesca prova di Matthew McConaughey, un sadico mattatore che regala un’ingombrante presenza scenica, incarnando anima e corpo la controparte luciferina di un effettivo patto con il Diavolo. Forse dopo la visione di “Killer Joe” non si riuscirà più a vedere un semplice pollo fritto nello stesso modo di prima per colpa proprio del suo spietato protagonista; potrebbe inoltre risultare doveroso un rewatch del capolavoro di Tobe Hooper del 1974, per la menzione di “voler strappare la faccia per poterla indossare a mo’ di maschera”.

 

Da sempre affascinato dal “male”, il regista de “L’Esorcista” riesce in conclusione a rappresentare una rilevante profondità che colpisce temi sociali ed entra nell’intimità del focolare domestico. Il tutto senza mai rinunciare ad un intrattenimento carico di tensione e imbevuto di un sarcasmo pungente e mai invadente. Violenza fisica e psicologica martellano dal primo all’ultimo istante, attraverso un brillante senso del grottesco e sfociando in sequenze di lucida follia, per poi concludersi con un meraviglioso finale spaccamascella.

Votazione
5/5
Andrea Boggione
3.5/5
Alessio Minorenti
4/5