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Lo sport al cinema: Un mercoledì da leoni (1978)

Distribuito nelle sale statunitensi il 26 maggio 1978 con il titolo originale Big Wednesday e in quelle italiane il 3 ottobre del medesimo anno. Diretto da John Milius, co-scritto insieme a Dennis Aarberg mentre la colonna sonora è composta da Basil Poledouris. Il cast è composto da: Jean-Michael Vincent, William Katt, Gary Busey, Lee Purcel, Patti D’Arbanville, Robert Englund, Barbara Hale e Sam Melville.

Il passato prende forma a seconda della prospettiva in cui lo guardiamo: se la naturale nostalgia che incornicia i nostri ricordi è bilanciata e serena, ci fa sorridere ripensando a quello che è stato; oppure con una nostalgia che somiglia sempre di più al rimpianto imbruttendo anche quei ricordi più luminosi. Quello che vediamo è il racconto di un passato giovanile che sceglie come essere ricordato, strutturato come se fosse un diario composto da quattro grandi capitoli introdotti dal narratore di turno. Ad ogni capitolo corrisponde una stagione, ma l’interessante peculiarità è narrare per ognuna un anno diverso.  Estate 1962: i mesi della spensieratezza, in cui si consumano le giornate nel divertimento, nella compagnia, nelle bravate e nel vivere intensamente la sessualità con le spiagge californiane che regalano un contesto a dir poco suggestivo. È il momento in cui ci si può ingenuamente illudere che nulla possa cambiare, che tali momenti durino per sempre e nessuna circostanza della vita divida ciò che la gioventù ha unito; autunno 1965: incomincia il progressivo avvicinamento alla vita, quella lontana dall’oceano e dalla spiaggia. Il cambiamento dei personaggi coincide con il cambiamento dell’America, tra lotte per i diritti civili, l’assassinio di Kennedy e lo scoppio della guerra in Vietnam. Gli sguardi, i pensieri e le illusioni cambiano colore e cadono come le foglie degli alberi, si viene a conoscenza di un lato dell’esistenza fino a quel momento tenuto lontano;

inverno 1968: il momento in cui la morte bussa alla porta, il destino mostra il lato più oscuro di sé. Chi è rimasto fa i conti col lutto, la perdita e una depressione dovuta forse ad una paternità arrivata troppo presto, chi è rimasto si trova faccia a faccia con la solitudine poiché ormai le strade sembrava divise per sempre; primavera 1974: la rinascita di ragazzi diventati uomini, amici che forse per l’ultima volta si divertiranno insieme, plasmati nell’esperienza, felici di ciò che hanno vissuto e anche se non si può tornare indietro non significa tempo andato perduto, l’identità è forgiata dai fatti e dalle persone con cui li abbiamo vissuti, ognuno percorrerà la propria strada, niente nella vita è eterno e forse proprio per questo acquista un immenso valore.

Il surf è una disciplina rientrante tra quelle che meglio si presta a rappresentare il rapporto uomo-natura e come l’uomo stesso desideri sfidarla. Una sfida alimentata dall’adrenalina e dal piacere di domare ciò che non può essere controllato, sentirsi vivi cavalcando mura di acqua abbracciando il pericolo. Mediante le soggettive e altri tecnicismi ci vengono regalati attimi in cui sentiamo la tavola scivolare sotto i nostri piedi, abbiamo il sentore di poter toccare la superficie delle onde o possiamo temere di esserne inghiottiti. Surfare sulle onde significa scegliere di affrontare la vita a viso aperto, con il rischio sempre dietro l’angolo è vero, ma solo rimanendo immobili a guardare sulla spiaggia non si cade.

Voto:
3.5/5
Andrea Barone
0/5
Andrea Boggione
0/5
Christian D'Avanzo
0/5
Carlo Iarossi
0/5
Paolo Innocenti
0/5
Carmine Marzano
4.5/5
Alessio Minorenti
0/5
Paola Perri
0/5