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Perfect Days: il significato del film di Wim Wenders

Un film che parla per immagini e silenzi: la poesia di Perfect Days di Wim Wenders è un diamante grezzo nel raccontare con semplicità la vita, ma qual è il significato del film?
Di seguito il significato del film Perfect Days, scritto e diretto da Wim Wenders

Il nuovo anno è iniziato nel migliore dei modi possibili grazie all’uscita nelle sale italiane del film Perfect Days di Wim Wenders il 4 gennaio 2024. Fin dalle sue prime proiezioni, il film ha riscosso un grande successo da parte del pubblico e della critica per la delicata poesia visiva delle emozioni, merito in primis della straordinaria interpretazione di Kōji Yakusho nel ruolo del protagonista Hirayama per cui è stato premiato a Cannes76: ma qual è il significato di Perfect Days di Wim Wenders?

Il significato di Perfect Days di Wim Wenders

Il regista tedesco Wim Wenders fa il suo grande ritorno sullo schermo con quella che sembra essere la sua opera più intima e “perfetta”. Perfect Days infatti non è solamente la narrazione del mondo di Hirayama, il protagonista del film che lavora come inserviente nei bagni di Tokyo, ma, per citare una frase pronunciata dallo stesso personaggio, il suo è solo uno dei tanti mondi di cui ognuno di noi fa parte. Perfect Days è un film che racconta le “giornate perfette” di Hirayama, un uomo che all’apparenza non sembra avere niente di speciale, ma che dentro al suo cuore cerca ogni giorno, fin dal suo risveglio la mattina, a quando va a dormire la sera, di conservare tutta la bellezza della sua preziosa quotidianità. Per Hirayama ogni giornata da lui vissuta è diversa da quella precedente o dalla successiva, seppur potrebbero apparire tutte uguali, poiché Wenders le rappresenta ogni volta da un’inquadratura differente.

Quella che troviamo alla base del film, infatti, è una filosofia che potremmo definire delle piccole cose, incarnata alla perfezione dal personaggio di Hirayama. Di fatto, le giornate del protagonista si compongono di un rituale fatto di piccoli gesti, i quali, nella loro semplicità, nascondono il senso stesso della sua vita. Spuntarsi i baffetti, radersi la barba, innaffiare le piantine di acero, bere un caffé, ascoltare la musica di una cassetta in viaggio in auto o sdraiato sul pavimento della propria camera, scattare foto analogiche, osservare il cielo e gli alberi, guardare un senzatetto danzare, sono gli ingredienti essenziali per la ricetta di una giornata perfetta per Hirayama.

Questo modo di vivere all’oraziano carpe diem, attimo dopo attimo, giorno per giorno, si riassume sapientemente nella frase pronunciata da Hirayama stesso nella scena in cui si trova insieme a sua nipote sul ponte quando lei gli chiede se possono andare al mare e lui risponde: “Un’altra volta è un’altra volta. Adesso è adesso”. In questa costante ricerca di vivere il momento, di trovare tempo per fare cose che ci rendono felici, è da ricavare il vero senso e significato del film, qualcosa che tutti noi sentiamo di desiderare nel profondo del nostro cuore, ma la verità è che molto spesso ce ne dimentichiamo, e talvolta ci dimentichiamo persino di vivere.

I mondi e i personaggi di Perfect Days

Hirayama è un personaggio solitario, e proprio perché conosce l’importanza del silenzio, preferisce ascoltare gli altri parlare o tacere piuttosto che sprecare fiato inutilmente, perché sa che ogni parola ha un peso e un valore. Tuttavia, questo ostinato silenzio contrasta con il parlare del suo sguardo, che comunica una sofferenza misteriosa, nascosta chissà dove. Troviamo un possibile indizio che aiuta a dedurre che il dolore taciuto di Hirayama sia riconducibile a un amore passato, quando Takashi, un giovane ragazzo e suo collega, gli domanda come fa a vivere e a non sentirsi solo senza una donna da amare. Hirayama non risponde, continua a pulire il bagno come se non avesse sentito, solo lui sa cosa prova e in cuor suo sembra conoscere fin troppo bene qual è quella indicibile risposta dolorosa.

Intorno a Hirayama, gravitano una serie di personaggi che sembrano incarnare declinazioni differenti dei rapporti umani e dell’amore. Fra questi troviamo il collega Takashi, un ragazzo simpatico dall’aria poco sveglia che sembra volersi approfittare della bontà di Hirayama per conquistare la sua amata Aya. I due giovani alla fine non riescono a portare avanti il loro amore, ostacolato da una sorta di inconciliabilità. A sconvolgere apparentemente la quotidianità di Hirayama è la visita inaspettata di sua nipote Niko, scappata di casa dopo aver litigato con la madre Keiko, la sorella del protagonista. Nonostante il tempo trascorso dall’ultima volta che si sono visti, Hirayama e Niko ritrovano fin da subito il loro rapporto tra zio e nipote, facilitato dal fatto che i due sono accomunati dagli stessi interessi come la lettura, la fotografia, andare in bici e stare in mezzo alla natura.

Più travagliato appare invece il rapporto che Hirayama ha con sua sorella Keiko, con la quale sembra non parlare da molto tempo. Keiko, che si fa trovare fuori dalla casa di suo fratello solo per venire e riprendere Niko, lascia a Hirayama un sacchetto contenente il cioccolato da lui preferito per ringraziarlo per essersi occupato di sua figlia. Così come si presenta con un’auto di lusso, scortata da un accompagnatore privato, Keiko sembra condurre una vita tutt’altro che semplice e quindi completamente opposta rispetto a quella di Hirayama. Gli ultimi due personaggi che si fanno carico di portare un significato diverso ai rapporti umani sono Mama, la proprietaria di un ristorante frequentato da Hirayama, e il suo ex marito Tomoyama che torna da lei dopo tanto tempo per darle la triste notizia di aver scoperto di avere un tumore.

Wim Wenders tra luci e ombre: fotografie e sogni in bianco e nero

Oltre ai silenzi, alle inquadrature in primo piano della natura o del cielo, il linguaggio di Wim Wenders sfrutta abilmente l’alternananza di luci e ombre per trasmettere la dimensione immaginifica e onirica del personaggio di Hirayama. Di fatto, la scene a colori sono accompagnate da brevi sequenze in bianco e nero che riproducono le fotografie scattate sul momento da Hirayama con la sua macchinetta analogica o le immagini dei suoi sogni che vede scorrere non appena chiude gli occhi per dormire. Per Hirayama le fotografie incarnano quella dolce illusione di poter catturare il momento che sta vivendo per conservarne per sempre il ricordo, meticolosamente catalogato in scatole suddivise per anno.

Nei sogni di Hirayama, invece, i soggetti sono prevalentemente persone o fatti vissuti il giorno precedente, rimasti impressi nella sua mente, riproposti sottoforma di visioni sfumate dal contrasto tra luci e ombre. Il concetto di ombra impone la sua importanza fin da subito nel film, quando, in uno dei suoi primi sogni, Hirayama vede una specie di pergamena con su scritto gli ideogrammi della parola “ombra” (影). Il concetto ritornerà poi nelle scene finali quando Tomoyama e Hirayama si incontrano lungo una sponda del fiume Sumida, e il primo chiede all’altro se un’ombra proiettata su un’altra diventa più scura e, insieme, provano a sperimentarlo per darsi una risposta. Anche il concetto di luce, non è da meno. Il film si apre infatti con la città di Tokyo che sta per svegliarsi, illuminata dalle prime fioche luci del mattino, e si conclude con un’esplosione luminosa che prima si irradia sul volto di Hirayama, per poi lasciar spazio a quella che può essere definita l’alba di un nuovo “perfect day”.