Articolo pubblicato il 27 Dicembre 2023 da Christian D’Avanzo
Il 2023 è stata un’annata speciale per l’altissima qualità dei film distribuiti in Italia, tra il cinema e le piattaforme. Sono tornati dietro la macchina da presa molti autori conosciuti e non, i quali si differenziano tra loro per il modo di mettere in scena e le rispettive tematiche trattate. Tra questi, è possibile individuare quali sono stati i film più coinvolgenti e travolgenti, raggruppando nel “best of” annuale le opere di maggior successo, capaci di emozionare gli spettatori di tutto il mondo. Delicatezza, cinismo, rappresentazione del vero, percezioni uniche ed elementi sovversivi, c’è stato davvero di tutto in questo 2023: ma quali sono stati i migliori film d’autore dell’anno?
Quali sono i migliori film d’autore del 2023?
Cercando di individuare i migliori film d’autore del 2023, si premette che è una classifica personale fondata sul gusto e le opinioni di chi scrive, fattori incisivi per la selezione dei 10 titoli inseriti di seguito. Un altro criterio è, invece, quello della distribuzione, poiché sono stati scelti dei lungometraggi ufficialmente distribuiti al cinema o su di una piattaforma di streaming in Italia nell’anno di riferimento. Dunque, seguono i 10 migliori film d’autore del 2023, ordinati dal decimo al primo posto.
10) Rapito, di Marco Bellocchio
Ad aprire la classifica sui migliori film d’autore del 2023, c’è un regista italiano: Marco Bellocchio, con il suo Rapito. Il protagonista è il giovane Edgardo Mortara, il quale viene prelevato dalla Legge e obbligato a intraprendere un percorso religioso, istituzionale e spirituale incentrato sul cristianesimo, pur essendo lui di famiglia ebraica. Il parallelismo tra la Legge e la dimensione materna risalta immediatamente all’occhio dello spettatore, e riecheggia come uno dei temi principi della poetica del noto cineasta, così come il rapimento inteso come appropriazione fisica e morale di un individuo.
Il tratto distintivo del film è lo sviluppo di Edgardo, nel quale si alimenta progressivamente una rottura intima, manifestatasi nell’eccelsa espressività attoriale – di Enea Sala prima e di Leonardo Maltese poi – e con dei suggestivi simbolismi. Le proiezioni mentali del protagonista vengono inserite con un gran senso del ritmo, e il suo tormento interiore prende forma fino all’esplosione finale, alternata con la reazione disperata dei suoi genitori.
9) Bottoms, di Emma Seligman
Commedia squisitamente postmoderna, Bottoms parte dagli elementi teen per sfociare nell’horror, addirittura raggiungendo vette da splatter, e prendendo come base da cui partire il Fight Club di David Fincher, e rigirandolo nell’ambito scolastico. Il tema queer viene trattato con una crudeltà progressiva, un senso dell’humour spiccatissimo e dinamico, in grado di sovvertire gli archetipi del teen movie per elevarsi a opera di denuncia.
La realtà diegetica viene messa in ridicolo più e più volte, sottolineando l’esistenza di una frattura tra l’individuo e la società, il singolo e il collettivo, e lo fa all’interno di un’istituzione ribaltata in chiave parossistica. L’egocentrismo e la passività maschile autonomamente dichiaratasi dominante, si contrappone alle ragazze gay qui protagoniste, e che nella loro dimensione cercano di accorciare l’insanabile distanza presente nella società patriarcale contemporanea.
8) Killers of the Flower Moon, di Martin Scorsese
Con Killers of the Flower Moon, Martin Scorsese aggiunge un altro tassello alla sua imponente e importante filmografia, costellata da film che hanno rappresentato una parte della storia statunitense. Il capitalismo messo in moto dal petrolio, il cinismo e la spietatezza della comunità di americani bianchi presente nella contea di Osage, si fanno spazio con violenza tra la popolazione dell’arricchita tribù di nativi americani.
Il famoso cineasta è in grado ancora una volta di sorprendere, mescolando elementi tipici del noir con quelli del western, due generi fondatori della Hollywood classica, e che non a caso vengono utilizzati e ibridati da Scorsese per restituire al pubblico uno spaccato storico malinconico. Tuttavia, il regista li fa propri e alla fine ne viene fuori un Non-Western ideale, dove i confini da difendere sono invisibili, avvelenati dall’interno e progressivamente. La direzione dei luoghi, tra i piano sequenza e gli interni popolati da una grande famiglia “riunita” anche ideologicamente, non soltanto per doveri di sangue, fa sembrare la Contea una Little Italy, manifestando una finalità da gangster movie.
7) Il male non esiste, di Ryusuke Hamaguchi
Hamaguchi torna al cinema dopo il successo internazionale di Drive My Car, e inaspettatamente presenta un film ambiguo e spaventosamente contemporaneo nei temi e nella rappresentazione: Il male non esiste. Un ossimoro presente sin dal titolo, che però si fa forza di meccanismi apparentemente tranquilli, come l’innesto di un attrazione turistica nei pressi di una comunità di campagna piuttosto isolata. La vera potenza delle immagini è insista nel film grazie all’accompagnamento delle musiche, le quali sono state composte idealmente per restituire allo spettatore quel senso di serenità vissuto dalla popolazione locale, riprendendo filologicamente l’idea di cinema propria ad Ozu.
L’incomunicabilità (cara ad Antonioni) e la difficoltà nella comprensione reciproca, sia tra gli agenti dell’impresa di turno che tra i contadini, evidenzia lo spaccato che c’è tra la realtà urbana e quella extraurbana, tra la città e la natura. Tale frattura sta costando caro all’umanità, e i dialoghi qui presenti sono dotati di uno spessore senza pari, analizzando con estrema maturità le conseguenze dell’invadente azione umana. Il finale, poi, sa essere di una crudeltà sconcertante, e colpisce per il marcato cinismo.
6) Decision to Leave, di Park Chan-wook
A metà strada tra Il sospetto di Alfred Hitchcock e Magnifica Ossessione di Douglas Sirk, Decision to Leave è un film struggente nella sua dimensione drammatica e sentimentale, appassionante in quella noir. Giocando con gli specchi e i confini fisici dati dallo spazio, Park Chan-wook tesse le fila di quello che risulta essere uno dei suoi film più maturi e genuinamente minimalisti. I paesaggi naturali ricoprono un ruolo cruciale nella manifestazione emotiva dei personaggi in scena, proiettando una sorta di morale nonché l’immobilità e la repressione del desiderio. Il montaggio, composto da dissolvenze incrociate e split-screen, riesce nell’intento di restituire quest’aura fantasmatica che avvolge interamente il film.
5) Anatomia di una caduta, di Justine Triet
Tra i migliori film d’autore del 2023, non poteva che esserci il vincitore della Palma d’oro, ovvero Anatomia di una caduta. L’ambiguità del caso giuridico portato allo stremo in tribunale, assume dei connotati metacinematografici e artistici portando alla luce una riflessione sul senso stesso dell’interpretazione. La molteplicità e la conseguente diversità dei punti di vista circa un medesimo fatto reale è la chiave del film di Justine Triet, e il fatto che si leghi indissolubilmente a un caso presentato e discusso davanti alla Corte, permette di accedere ai dettagli più intimi della storia, alla rielaborazione mediatica filtrata attraverso la percezione comune.
Una tale ambivalenza si eleva a vera e propria tesi, e non trova mai una risoluzione finale “oggettiva”, perché la vita stessa è filtrata dalla percezione soggettiva degli individui, i quali possono anche ragionare collettivamente davanti una messa in sequenza di eventi concreti, ma alla fine ci saranno sempre quei limiti e quelle barriere puramente personali. Ad esempio, il cambio di lingua e di tono è a suo modo un confine che genera un’interpretazione soggettiva, correlando il significato e la significazione, e la cineasta gioca finemente con le proiezioni mentali dei personaggi, sull’attenzione rivolta alle parole e al contenuto espresso in un contesto circoscritto.
4) Aftersun, di Charlotte Wells
Esordio folgorante quello di Charlotte Wells, che con il suo Aftersun ha saputo condividere i suoi ricordi, la sua personale emotività, nonché una riflessione profondamente umana sulla complessità esistenziale e relazionale. Film importante anche da un punto di vista cinematografico, poiché si interroga su come le immagini possano nascondere e dissimulare il peso della verità e dei relativi traumi, tentando invano di nascondere la natura delle persone.
La chimica che c’è tra il giovane padre e sua figlia mette ancor più in risalto, pur lavorando in sottrazione, la doppia formazione presente in Aftersun, mescolando gli eventi con il sentire più intimo, ibridando la narrazione con l’opacità delle immagini del cinema, qui proposte sotto forma di ricordi. L’esordio della Wells è, in poche parole, libero, sentito, personale e allo stesso tempo timoroso di scoprire il “vero” delle vicende, insieme allo spettatore.
3) Oppenheimer, di Christopher Nolan
Capolavoro di Christopher Nolan, qui dotato di grande consapevolezza e maturità, Oppenheimer non solo è il film biografico più redditizio della storia del cinema, ma è anche un’opera spaventosamente attuale. Delineando un labile contrasto tra la fissione e la fusione, a proposito della bomba atomica, il lungometraggio sull’ambigua figura dello scienziato americano conosciuto come J. Robert Oppenheimer (Cillian Murphy) esplora la dualità della guerra.
Infatti, il conflitto bellico è violento verso gli altri Stati ma è anche autodistruttiva, incrinando i rapporti interni tra le istituzioni di un Paese intero. Allo stesso tempo, la fusione è associata alla condivisione, alla creazione di una comunità in grado di alimentare la speranza verso il futuro, pur mantenendo una relazione con il passato. Il montaggio e la narrazione alternano ritmicamente le implosioni e le esplosioni, e il rapporto tra le ambizioni e i fallimenti personali e collettivi rendono il film incredibilmente simmetrico nella sua pulsante struttura.
2) As Bestas, di Rodrigo Sorogoyen
Richiamando i quadri di Goya e il perenne e ineluttabile scontro interno alla società, a sua volta suddivisa in ceti popolari e in gruppi d’èlite, As Bestas figura come un potentissimo western contemporaneo. I confini da difendere non sono soltanto territoriali, ma ideologici, e se da un lato Sorogoyen ripropone gli stilemi estetici di John Ford, dall’altro si rifà alla violenza dei western di Sam Peckinpah. Tuttavia, l’eleganza del film spagnolo sta in un utilizzo celato e finemente progressivo del conflitto interno alla Galazia, la cui violenza sembra poter esplodere da un momento all’altro, e senza rimedio.
Nel mezzo, c’è lo Stato incarnato dalla Polizia locale, la quale non si schiera né con l’uno né con l’altro, scegliendo il non-interventismo. Il popolo si divora internamente, ma la sorellanza emersa per la forza e l’astuzia della donna protagonista racconta tanto evitando ogni intreccio retorico o spettacolarizzato. La tensione si avverte anche quando non succede nulla, ma l’idea che possa accadere qualcosa è incredibilmente viva, e ciò grazie alla costruzione profilmica dell’opera. Un plauso ai dialoghi e alla recitazione, fattori decisivi per la riuscita di un film ambizioso come As Bestas.
1) Leila e i suoi fratelli, di Saeed Roustaee
Leila e i suoi fratelli è un film in cui l’ambiguità regna sovrana tra i legami familiari, messa in moto dall’impietosa crisi economica iraniana. Il conflitto interno tra un padre e i suoi figli sembra non poter trovare un risvolto decisivo, questo perché ognuno alla fine espone le proprie ragioni, e Saeed Roustaee (qui al suo terzo lungometraggio) sceglie la saggia strada della neutralità, lasciando all’empatia dello spettatore il ruolo cruciale di ascoltare, un’azione troppo spesso sottovalutata oggigiorno. Il melodramma di impianto classico assume connotati sociali ben precisi, e sia la potenza dei dialoghi che le incredibili performance attoriali rendono il film memorabile.
Nonostante un’abbondante durata (2 ore e 40), Leila e i suoi fratelli è ricco di colpi di scena e di sequenze clou, le quali sono in grado di alzare l’asticella rendendo il ritmo incalzante. D’altronde, il pregio più grande del lungometraggio è la sua incredibile emotività, caratterizzata dagli scontri interni, dalla rabbia, dai rimorsi e da un incontrollato egoismo. Il climax crescente è costante, sovrastante e composto da immagini limpide, serrate e sincere. Non c’è alcun dubbio: Leila e i suoi fratelli è uno spaccato esistenzialista essenziale, realizzato con un’idea cinematografica quadrata.