Articolo pubblicato il 4 Gennaio 2024 da Gabriele Maccauro
Presentato in anteprima alla 75esima edizione del Festival di Cannes nella sezione Cannes Premiére, per poi avere la sua anteprima italiana alla 17esima edizione della Festa del Cinema di Roma, As Bestas è il sesto lungometraggio di Rodrigo Sorogoyen, capace di vincere ben 9 statuette agli ultimi Goya, i premi più importanti del cinema spagnolo. Ispirato ad un fatto di cronaca nera realmente accaduto in Galizia, il film è nelle sale italiane dal 13 aprile grazie a Movies Inspired. Di seguito, ecco la trama e la recensione di As Bestas.
La trama di As Bestas, il nuovo film di Rodrigo Sorogoyen
Partendo dal principio, la trama di As Bestas è molto semplice: Antoine e Olga, due coniugi francesi, si sono trasferiti ormai da qualche tempo in un piccolo paesino sperduto della Galizia, nel nord-ovest della Spagna. La loro intenzione è quella di vivere lontani dalla città, dandosi ad un’agricoltura sostenibile e portando avanti il loro sogno di ristrutturare le case diroccate del paese che magari, in un futuro prossimo, potrebbero tornare ad ospitare persone e turisti.
La realtà dei fatti ci parla invece di un paese abbandonato a se stesso, con pochissimi abitanti con cui i rapporti si complicano terribilmente nel momento in cui un’azienda di energia eolica norvegese vuole installare pale eoliche nella loro zona, cosa a cui Antoine e Olga si oppongono, rifiutando dunque denaro che, agli altri abitanti del villaggio ed ai loro vicini interessa eccome. Questo porterà alla nascita di una faida tra Antoine ed i fratelli Anta, ispirata a fatti di cronaca nera realmente accaduti a Santaolalla, paese galiziano in cui morì l’olandese Martin Albert Verfondern.

La recensione di As Bestas: quali sono queste bestie?
Mattatore assoluto della 37esima edizione dei Goya, i premi più importanti del cinema spagnolo dove, su 17 candidature, si è aggiudicato 9 statuette tra cui Miglior Film, Miglior Regia, Miglior Sceneggiatura ed i due premi attoriali con Denis Ménochet e Luis Zahera, As Bestas è il sesto lungometraggio di Rodrigo Sorogoyen, che arriva così alla definitiva maturità e consacrazione. A sorprendere è infatti come ogni elemento sia calibrato alla perfezione: dalla sicurezza con la quale il regista di Madrid mette in scena la sua opera alla qualità di una sceneggiatura quasi perfetta che fa volare via i 137 minuti di durata del film, fino alla direzione degli attori, uno più bravo dell’altro e ad una mano e sapienza registica che lo porta a sapere sempre qual è la cosa giusta da fare, senza voler esagerare e mostrarsi ma anzi, rimanendo in secondo piano, nascosta, quasi come fosse l’occhio di uno spettatore che il regista invita ad osservare ciò che avviene.
Parti di un ingranaggio che funziona proprio perché ciascuna di esse fa ciò che deve fare. Sorogoyen, partendo dal fatto di cronaca nera cui si ispira il film, va dal particolare al generale, parla di una realtà piccola come quella di un villaggio della Galizia per poi allargare il raggio d’azione e parlarci dell’uomo, di come esso si relaziona con i vicini di casa, gli amici, il proprio marito o moglie ed i propri figli, ma anche di cosa significa essere figli ed essere genitori. Insomma, il rapporto che l’uomo ha con i propri simili.
I propri simili, proprio come se stessimo parlando di animali, di bestie. Sorogoyen ci parla di un mondo che, in realtà, sembra quasi nascosto, ignoto in quanto non sotto i riflettori. Un mondo lontano dalle tecnologie e dalla vita a cui si è ormai abituati nel 2023. Un mondo che cade a pezzi, con paesi e villaggi sempre meno popolati e persone che sembrano abbandonate a se stesse, che vivono di stenti e passano più tempo con gli animali stessi che con altre persone. Vi è quasi una volontà documentaristica dietro, nel voler testimoniare una realtà difficile come questa, ma perché poi queste persone arrivano a tanto? Perché dare vita ad una faida come quella tra Antoine ed i fratelli Anta quando si potrebbe vivere in pace ed armonia insieme? L’offerta economica di un’azienda norvegese per installare pale eoliche nella loro zona è il MacGuffin che dà il via a tutto. Un’offerta economica bassa, quasi ridicola e certamente inferiore al valore dei terreni, ma un’offerta che accettano tutti, pensando e sognando di poter finalmente dare una svolta alla propria vita. Tutti tranne Antoine.
Antoine è un uomo acculturato, che ha girato il mondo e che ha deciso di trasferirsi per trovare la pace, lontano da tutto e tutti e trova che questa offerta sia ridicola. Antoine ed i fratelli Anta passano giorni e giorni, mesi addirittura ad attaccarsi verbalmente e non, fino a quando non arriva un punto cruciale del film, ovvero un lungo dialogo in piano sequenza tra Antoine e Xan Anta. Per tutta la durata del film, fino a quel momento, non c’erano mai state così tante linee di dialogo ed ora vi è quasi un’esplosione, un acceso dibattito tra i due sul da farsi, perché si è arrivati ad un punto di non ritorno. Qui torna la natura dell’uomo, che esce completamente e ci mostra come sì come Antoine voglia solamente stare tranquillo, ma ciò che colpisce è come Xan parli della sua vita; una vita spezzata, una vita che non ha mai potuto davvero tenere tra le mani, una vita di cui non è mai stato protagonista. Lo spettatore fino a quel momento è portato ad odiare i due fratelli e certamente continuerà a farlo per il resto del film, ma il punto è un altro.
Come detto, Sorogoyen non vuole morali, non vuole spiegare cosa sia giusto e cosa sia sbagliato, perché la storia parla da sé e non necessita ulteriori esplicitazioni da parte dell’autore. Egli vuole soffermarsi sulle persone, sulla loro essenza e su come, a prescindere da chi possa aver ragione in una disputa come questa, tutti hanno il loro punto di vista e tutti, in un modo o nell’altro, sono colpevoli di qualcosa. Non che un omicidio sia paragonabile ad una lite, il dubbio neanche si pone, ma Xan appare per la prima volta per quello che è, ovvero un uomo privato della propria umanità e lasciato allo stato brado, proprio come un animale, proprio come i cavalli visti all’inizio del film e che appaiono come una sorta di presagio. Antoine è invece la parte lesa, colui che vorrebbe mantenere la pace, che non vuole la violenza ma solo vivere in tranquillità una vita di cui è sempre stato in controllo. Antoine non è solo come Xan, si è trasferito con la moglie Olga, lasciando la figlia che è, a sua volta, madre di un bambino.
Eppure traspare più volte come la decisione di trasferirsi l’abbia presa proprio lui e che Olga non sia stata propriamente felice della scelta ma che, alla fine, lo abbia seguito per amore. Antoine, fondamentalmente, potrebbe avere tutto ma decide di andare di sottrazione, privarsi dei benefici che la vita gli ha dato, per vivere di un’agricoltura sostenibile in un piccolo villaggio della Galizia, paese per lui straniero. Antoine e Xan, due facce della stessa medaglia, due figure che non possono non scontrarsi, con un epilogo inevitabilmente tragico.
Influenze artistiche, il ruolo della donna e la vendetta in As Bestas
Da un punto di vista artistico e di trama, è impossibile non pensare a Cane di Paglia di Sam Peckinpah durante la visione di questo film, ma ciò che colpisce è soprattutto l’utilizzo di un espediente narrativo che tutti ricorderanno in Psycho di Alfred Hitchcock. Tutto ciò di cui si è parlato fino a questo momento è di un livello eccezionale, con una creazione della tensione – grazie anche alle musiche di Olivier Arson – degna del maestro britannico, eppure questo tragico epilogo non è il vero epilogo, ma la chiusura di un arco narrativo, che vedrà però l’apertura di un secondo arco o meglio, il prosieguo di un arco fino a quel momento solo abbozzato ma che fuoriesce in maniera furiosa nella parte finale dell’opera: quello relativo ad Olga.
Come con Psycho, anche in As Bestas il protagonista scompare nella prima parte del film ed il focus si sposta quasi totalmente su altro. Da un momento all’altro non vediamo più Antoine ed i fratelli Anta diventano secondari, personaggi di sfondo a quella che diventa invece la storia principale del racconto, ovvero quella di Olga. Lei si ritrova sola sotto ogni punto di vista: senza suo marito, senza un aiuto da parte delle autorità che appaiono poco interessate alla sua causa, ovvero continuare a cercare il corpo di Antoine, abbandonata alla gestione del terreno e degli animali. Sua figlia però, che vive lontano e che non vede mai, le va a fare visita ed è proprio il suo arrivo che ci porterà ad un secondo dialogo importantissimo del film: se nella prima parte avevamo avuto quello tra Antoine e Xan, tra due uomini in un mondo antico e retrogrado, qui abbiamo invece un dialogo tra Olga e Marie, un dialogo tra donne e, in special modo, tra madre e figlia. Un confronto crudo, forte, ma che ci sottolinea la forza e la determinazione di Olga, che vuole giustizia ma non giustizia privata.
Olga non ha intenzione di arrendersi, spinta dall’amore e dalla convinzione di essere nel giusto. Passano anni, eppure lei continua a resistere, a vivere in un mondo di uomini, lei che è donna e sola, ma combatte e va alla ricerca del corpo di Antoine nonostante le stesse autorità credano che non abbia senso. La vediamo discutere sì con la figlia, ma anche con la madre dei fratelli Anta o con altri uomini del paese, come quello che vuole truffarla nella vendita di alcune pecore. Lei non demorde e, in un certo senso, alla fine arriva una sua vittoria, la giustizia fa il suo corso e lo fa sottolineandoci anche, volendo tornare su influenze e riferimenti ad altri film, ci insegnava Kill Bill di Quentin Tarantino, l’insensatezza della vendetta, che non porta a star meglio ma anzi, solo a stare peggio.
As Bestas è un film che parla di persone, di come ognuno abbia la sua vita, le sue motivazioni per andare avanti, per combattere, per delinquere, per star male, per amare. Non vuole fare la morale, non vuole giustificare o condannare ma mostrarci una realtà e lasciare che le immagini parlino da sole come fatto, in tempi recenti, anche da Holy Spider di Ali Abbasi. Un regista iraniano ed uno spagnolo, due mondi e due realtà completamente diverse, tanto lontane quanto invece vicine. Perché il mondo è grande ma, alla fin fine, l’uomo è sempre lo stesso.