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Recensione – Monkey Man: un Baba Jaga indiano per il primo film di e con Dev Patel

Dall’India arriva un nuovo rabbioso vendicatore, con Dev Patel che si presenta al mondo cinematografico anche in veste di regista con un esordio accattivante.
Recensione del primo film di Dev Patel Monkey Man

Distribuito nelle nostre sale dal 4 aprile, Monkey Man è il primo film prodotto, scritto, diretto ed interpretato dall’attore britannico Dev Patel, che attinge dalle sue origini per portare sul grande schermo un nuovo epico eroe d’azione.

Monkey Man, la recensione: la trama del primo film di Dev Patel

Attingendo dall’evocativa mitologia induista Monkey Man narra di Kid, giovane lottatore che racimola qualche soldo facendosi riempire di botte in combattimenti clandestini truccati. La sua missione in realtà sarebbe un’altra, ovvero ottenere più informazioni possibili sui responsabili della morte di sua madre. Dopo anni Kid ha finalmente l’occasione di avvicinarsi all’élite di politici corrotti a cui dava la caccia, avendo l’opportunità di scatenare tutta la sua rabbia. Scoprirà però che la vendetta fine a sé stessa conduce solo verso una spirale di odio ed autodistruzione, arrivando a comprendere per cosa dovrà combattere davvero.

Monkey Man, la recensione: Gordy come Hanuman, Hollywood e Bollywood

Uno degli aspetti più intriganti dell’opera prima di Dev Patel è da riscontrare già nella sua produzione. Monkey Man avrebbe dovuto trovare un canale distributivo proprio su Netflix, ma alcuni dei temi e delle modalità di esecuzione presenti nel film hanno reso difficile la sua uscita soprattutto in India, rappresentando così un importante blocco. Fu così che arrivò Jordan Peele, acclamato regista di Get Out e Nope che, scoprendo il film, rimase particolarmente affascinato dal suo potenziale ed aiutò Dev Patel nella sua prima regia incidendo sulla produzione finanziaria ed artistica, oltre che ovviamente nella distribuzione del film.

Ed è proprio questa stessa medaglia dalle due facce uno degli elementi più interessanti del film sebbene, appunto, sia contemporaneamente uno di quelli meno efficaci. Ci si riferisce infatti all’intento di Monkey Man di incarnare quella certa unione tra elementi distinti, ovvero quella figura che già viene incarnata dallo stesso protagonista. Classe 1990, Dev Patel è infatti un grande attore britannico che non ha mai dimenticato le sue origini (questo nuovo film ne è solo l’esempio più lampante), sebbene la sua carriera sia nata e cresciuta oltreoceano con titoli come quello del suo esordio con The Millionaire di Danny Boyle, Humandroid di Neill Blomkamp, Lion di Garth Davis e Sir Gawain e il Cavaliere Verde di David Lowery.

Attraverso l’immagine della scimmia quale rappresentazione tanto primordiale quanto evolutiva dell’essere umano, il Gordy di Nope si incontra con l’Hanuman di Monkey Man, dando vita ad un affascinante connubio tra Hollywood e Bollywood. Sarebbe infatti riscontrabile anche in questo film la questione sociale allarmata dallo stesso cinema di Jordan Peele, con l’esordio di Patel che si approprierebbe anche dei confini sacri della sua terra. Nel film viene infatti sottolineata in continuazione la radicale contrapposizione tra alta nobiltà e poveri bastardi, metropoli e sudici sobborghi, sacro e profano, uomini e Dei.

Con un occhio al passato, alle proprie “radici” e l’altro rivolto alla trasformazione e al futuro, al protagonista Kid viene chiesto infatti di crescere, con la vendetta di un uomo che diventa la vendetta di una cultura, di una tradizione e di un popolo tradito dal Dio denaro e dall’avaro potere prevaricatore, per un nuovo metaforico eroe che possa distruggere finalmente le barriere sociali, economiche e culturali. Un lavoro, quello di raccontare una “semplice” storia di vendetta e allo stesso tempo attingere dalla cultura mitologica per seguire il proprio percorso sociale, che diventa così estremamente intrigante ed ambizioso; peccato che, proprio come la divinità invocata nel film, lo stesso Monkey Man diventi <<nessuno dei due e tutti e due>> o meglio, in questo caso, la bilancia punta quasi ed esclusivamente solo da una parte.

L’immagine forse più emblematica del film resta quella in cui Kid, una volta “risvegliato” e con indosso la sua nuova maschera, la lascia semplicemente cadere a terra per concentrarsi esclusivamente sulla sua missione di vendetta. Il protagonista resta infatti ambiguamente silente da questo punto di vista, non mostrandosi di fatto mai “campione del popolo” ma sempre accecato dalla sua guerra personale, con il finale del film che, oltre ad essere anche chiarificatore in questo, unisce perfettamente e “semplicemente” il cerchio. Monkey Man si limita infatti al suo essere un semplice revenge-movie, tradendo molto del materiale mitologico ed allegorico che viene ripetuto in modo anche ridondante durante l’intera visione.

Recensione di Monkey Man primo film Dev Patel

Monkey Man, la recensione: il Baba Jaga indiano

<<Ti piace John Wick?>> è una domanda che viene espressamente rivolta all’interno del primo film di Dev Patel, tanto per cementificare quanto ai “piani alti” sia stata apprezzata la saga con protagonista Keanu Reeves, non che servisse specificarlo. Abito nero, barbetta incolta, luci al neon e violenti combattimenti con tutto ciò che capita a tiro tra coltelli, pentole e matite sembrerebbe un’immagine infatti già vista e che fa parte ormai dell’immaginario collettivo. L’arma vincente di Monkey Man sarebbe stata infatti quella personale caratterizzazione tradizionale e folkloristica che, purtroppo come appena citato, non riesce ad incidere quanto dovrebbe se non per la suggestiva ambientazione tribale, rendendolo semplicemente una “bella copia” di un JohnWicklike.

Un registro poi standardizzato per una storia di vendetta di questo tipo: il protagonista perde il suo unico attaccamento alla vita, cresce e si alimenta la sete di vendetta, arriva la consapevolezza per l’eroe che vendicarsi non può essere fine a sé stesso, preparazione e compimento della missione per un “bene superiore”. Tuttavia, anche da questo punto di vista il film riesce a prendersi le sue rivendicazioni, soprattutto nella costruzione del fuoco negli occhi (quasi letteralmente) del suo protagonista. Kid non è infatti un killer professionista ed è apprezzabile come non riesca a portare a compimento subito la sua missione ma le cose vadano in fumo per il suo essere impreparato ad uccidere.

Il personaggio ha le mani bruciate e con esse anche quelle “radici” che permettono di vedere il proprio futuro, con il fuoco della rivoluzione deve essere alimentato pian piano dando colpi ad un sacco di riso a suon di bonghi. Prendendo infatti esclusivamente questo lato del film, Monkey Man narra una bella storia quadrata che ha un’equilibrata crescita nella trasformazione del suo protagonista; ma niente che non si sia già visto più volte sul grande schermo, rappresentando una grande opportunità mancata.

Monkey Man, la recensione: un epico esordio per Dev Patel alla regia

Dopo la visione del primo film da regista di Dev Patel resta infatti l’amaro in bocca per questa abbandonata doppia anima di Monkey Man, dove una prende più le sembianze di un’ombra dell’altra, perché – al netto di altri punti critici – la visione resta di per sé esaltante e spettacolare. Ad essere innanzitutto straordinario è il suo epico protagonista, con Patel che riesce ad incidere efficacemente tanto per quanto riguarda il lato emotivo nell’empatia verso il personaggio quanto quello più prettamente fisico ed acrobatico.

I combattimenti hanno infatti belle coreografie e sono molto violenti (l’attore si è anche rotto una mano sul set), dove il sangue e l’efferatezza non vengono nascosti ma messi in primo piano. Tuttavia qualche volta di troppo si rimane intrappolati nella spirale della sospensione dell’incredulità, con colpi tremendi incassati dal protagonista che solo in qualche occasione presenta i dovuti lividi, oppure per la straordinaria capacità di combattimento con armi corpo a corpo dall’ingiustificata abilità (mentre l’allenamento a mani nude resta credibile) ed altri sviluppi. Ma se il protagonista di Monkey Man regala un’interpretazione di spessore, non si può certamente dire lo stesso per il resto del superficiale cast.

Lo charme dei due villain non riesce infatti ad innalzarsi oltre la sufficienza, sia per prestazione recitativa sia per caratura del personaggio, mentre i satelliti che ruotano attorno al protagonista restano decisamente fuori orbita. La linea comica del personaggio di Alphonso, la seducente quota rosa interpretata da Sobhita Dhulipala ed il subdolo presentatore di Sharlto Copley (e perché no lo stesso cane randagio) hanno tutti un’importante presentazione in scena di qualche tipo, ma se ne escono senza alcuna chiusa e dopo non aver fatto praticamente nulla di veramente incisivo a fini narrativi. Il primo film scritto, diretto ed interpretato da Dev Patel riesce poi a conquistare l’occhio grazie ad un’ottima costruzione foto-scenografica, prevalentemente sudicia ed umida ma anche capace di mostrarsi più asciutta e pulita nelle immagini evocate dalla televisione o dai ricordi della mente.

L’esperienza action è infine molto esaltante, non solo grazie ai continui combattimenti senza esclusioni di colpi ma anche e soprattutto per il grande comparto sonoro con un’elettrificazione ed occidentalizzazione di Bollywood anche nella colonna sonora. In conclusione, c’è rammarico dopo aver visto Monkey Man per il grande potenziale tristemente sprecato, rappresentando così “solo” una bella ed esaltante copia di molti altri film del genere ma, soprattutto, un interessantissimo biglietto da visita di Dev Patel anche in cabina di regia.

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Locandina del primo film di Dev Patel Monkey Man
Monkey Man
Monkey Man

Il film è il primo scritto, diretto ed interpretato da Dev Patel, che unisce la sua esperienza tra Hollywood e il cinema orientale per un particolare film action che, alla fine, risulta pericolosamente troppo simile ad altri titoli, sebbene lasci comunque un'esperienza esaltante.

Voto del redattore:

7 / 10

Data di rilascio:

04/04/2024

Regia:

Dev Patel

Cast:

Dev Patel, Sharlto Copley, Pitobash, Vipin Sharma, Sikandar Kher, Sobhita Dhulipala

Genere:

azione, thriller

PRO

Interpretazione di spessore di Dev Patel che si presenta anche come abile regista.
Combattimenti spettacolari e resi più esaltanti dal grande comparto sonoro.
Un’esperienza visiva che colpisce piacevolmente l’occhio.
Tolto il protagonista il resto del cast resta troppo anonimo e fuori orbita.
Il carattere personale e folklroistico non incide quanto dovrebbe, restituendo una copia di molti altri film action.
Il cinema di vendetta si divora quello sociale, tradendo molte delle premesse e sviluppi posti sul tavolo.