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Recensione – Avatar, la leggenda di Aang: la prima stagione del live-action Netflix ideato da Albert Kim

Dopo l’avventura presa per mare con la saga di One Piece, Netflix sembrerebbe averci preso gusto con la spada di Damocle nel riadattare in carne ed ossa franchise animati dall’ampio eco mediatico e fan affezionati. Tuttavia sembrerebbe aver trovato la formula segreta, imparando da passati esperimenti andati male.
La recensione della serie live-action Netflix Avatar la leggenda di Aang

Il 22 febbraio è stata rilasciata sulla piattaforma streaming di Netflix l’intera prima stagione di Avatar – La leggenda di Aang, serie live-action della celebre saga targata Nickelodeon andata in onda dal 2005 al 2008.

La recensione di Avatar – La leggenda di Aang: la trama della serie Netflix

La trama del nuovo live-action di Netflix segue, con un certo spirito di fedeltà, il suo materiale originale della serie animata fantasy e viene ambientata in un mondo dove alcune persone sono capaci di controllare, anzi dominare, i quattro elementi di acqua, fuoco, aria e terra. Per molto tempo i popoli della Nazione del Fuoco, dei Nomadi dell’Aria, del Regno della Terra e della Tribù dell’Acqua sono vissuti in pace ed armonia tra loro, con l’equilibrio che veniva controllato e garantito dalla figura dell’Avatar, capace da solo di dominare tutti gli elementi.

Tuttavia, per bramosia di potere, la Nazione del Fuoco decide di attaccare e sterminare il popolo dei Nomadi dell’Aria. Fra questi ultimi vi era Aang, giovane di alto talento e designato per diventare il nuovo Avatar che riesce ad evitare lo sterminio dei dominatori del fuoco, finendo tuttavia ibernato per molto tempo. Il mondo, senza la presenza dell’Avatar, ha iniziato a perdere la speranza, mentre la Nazione del Fuoco continuava a seminare caos e distruzione. Un secolo dopo, i giovani della Tribù dell’Acqua Sokka e sua sorella Katara risvegliano Aang, il quale prende coscienza della trasformazione del mondo, della perdita di tutti coloro che conosceva e della responsabilità sulle sue spalle nel dover portare un nuovo equilibrio nel mondo.

I tre si imbarcano così in una pericolosa avventura alla ricerca della pace tra i popoli, ma il percorso sarà pieno di insidie e nemici mostruosi. Ozai, lo spietato Signore del Fuoco, è infatti disposto a tutto per mantenere il suo dominio sul mondo col pungo di ferro e manderà suo figlio, il principe Zuko (alla disperata ricerca di redenzione), in missione per catturare l’Avatar.

La trama della recensione della serie Netflix Avatar la leggenda di Aang

Avatar – La leggenda di Aang, la recensione: un altro live-action Netflix perfetto(?)

In un periodo storico come questo, dove gli adattamenti live-action di anime e videogiochi è all’ordine del giorno (aspettando i nuovi arrivi di Naruto e Borderlands ad esempio), Netflix si è recentemente imbarcata in un’avventura particolarmente ingombrante e dall’importante peso specifico come la nuova serie di One Piece. Tuttavia, la prima stagione live-action dell’opera di Eiichiro Oda ha particolarmente convinto per il suo spirito di fedeltà al materiale originale, tanto dal punto di vista narrativo quanto soprattutto da quello estetico-visivo.

La serie di One Piece si è così presentata in un’operazione che si potrebbe definire il “perfetto live-action”, capace di portare nuovamente su schermo storia e personaggi originali in versione carne ed ossa e con il comparto tecnico che restituisse l’atmosfera necessaria e familiare ai fan. Dai costumi, al trucco, dalle scenografie alla colonna sonora, l’esperienza “originale” torna così in vita sotto una diversa luce, pronta a fare contenti gli appassionati e conquistare i neofili. Tutta questa premessa per anticipare, in questa recensione, come Avatar – La leggenda di Aang abbia molti punti in comune con il lavoro svolto da Netflix con One Piece, mettendo a segno forse un altro “perfetto live-action”.

La serie originale, andata in onda su Nickelodeon dal 2005 al 2008, aveva infatti già avuto un altro adattamento, ovvero il “disastroso” film diretto da M. Night Shyamalan (Il sesto senso, The Village, Split) dal titolo L’ultimo dominatore dell’aria del 2010. Il termine “disastroso” si cuce addosso alla pellicola per il fatto di essere stato definito addirittura uno dei peggiori film di sempre (ingiustamente fino a tal punto), arrivando a vincere anche 5 Razzie Awards, tra cui Peggior Film, Peggior Regista e Peggiore Sceneggiatura. Un insuccesso che potrebbe essere ricondotto a svariati punti di vista, offrendo a Netflix l’opportunità di riprendere la saga cercando di imparare dagli errori commessi. Trovandosi solo alla prima stagione, è al momento impossibile se la piattaforma streaming ci sia riuscita oppure no, ma le basi per aver realizzato un “perfetto live-action” sembrerebbero le stesse proprio dell’operazione su One Piece, ovvero più che promettenti.

La storia viene infatti seguita quasi fedelmente prendendosi ovviamente le dovute libertà creative ed espositive, le quali sono necessarie in qualsiasi adattamento, ma conservando lo spirito del racconto e la sua atmosfera fantasy. I personaggi sono infatti quelli conosciuti dai fan dell’anime, con le dovute sfaccettature caratteriali più o meno conservate, catapultati in un mondo fantastico tra character design e scenografia che rievoca, nella ricostruzione dell’immagine, le sensazioni di quell’arma a doppio taglio del “già visto”, comunque decisamente efficace in un’operazione di live-action come questa.

Avatar – La leggenda di Aang, la recensione: un fumoso percorso di crescita per i personaggi e la serie stessa

Come ogni volta in un’operazione di questo tipo, tuttavia, occorre tener sì presente il materiale originale dell’adattamento, ma allo stesso modo sapersi concentrare sulla visione in sé della serie o del film. <<Ha ancora molto da imparare. Responsabilità, prospettive, sacrificio. Deve scoprire chi è>>; una citazione questa, all’interno del primo episodio, che sarebbe riconducibile sia al personaggio protagonista sia alla produzione della serie stessa. Questo perché Avatar – La leggenda di Aang è a tutti gli effetti un coming-of-age ambientato in un mondo fantastico, dove l’avventura tra magia e creature mostruose va a braccetto con la valenza drammatica di trovare il proprio posto nel mondo, affrontando e superando i propri demoni.

Già l’episodio 1, dal titolo “Aang”, risulta particolarmente funzionale nell’introdurre una trama che trova modo di evolversi lentamente, passo dopo passo, a mo’ di serie di ostacoli da superare per imparare una nuova lezione di vita. In tal senso, probabilmente, gli episodi 4 e 5 si mostrano come i più “cruciali” nel risaltare la doverosa necessità del saper affrontare le proprie paure mettendo in luce, al centro della prima stagione, anche la profondità dei personaggi secondari attraverso i rispettivi background e fardelli emotivi. Oltre al percorso di crescita individuale, Avatar – La leggenda di Aang traccerebbe anche un’analisi universale, volta al raggiungimento della pace e della libertà tra i popoli (purtroppo sempre più attuale).

In questo mondo fantastico, abitato dai dominatori degli elementi, ogni popolazione ha infatti una propria storia, una propria mitologia, che accresce il bisogno di dover proteggere questa diversità tanto a livello intimo quanto comunitario, dove l’Avatar rappresenta l’emblema di speranza nell’incarnare l’unificazione dei popoli e delle culture, anche metaforicamente sulle spalle di un innocente bambino di 12 anni. Se il discorso tematico vien ben tracciato dal pilota della prima stagione, il registro ed il tono espositivo rimangono tuttavia alquanto fumosi e non ben definiti a livello produttivo, con il percorso di crescita che infatti non viene richiesto al solo personaggio protagonista.

Fin dal primo episodio, infatti, lo spettatore assiste ad una persona arsa viva, facendo immaginare come il resto della stagione potesse essere anche “violenta” e cruda, cosa che effettivamente non avviene. Infatti, oltre alla totale assenza di sangue, nudità o altri elementi non edulcorati, la visione di Avatar – La leggenda di Aang non si muove mai in acque “adulte”, il che è ovviamente funzionale nel rispetto di un materiale originale indirizzato principalmente ad un target giovanile e divertito. Tuttavia, proprio per tale aspetto, anche la gestione dell’ironia (praticamente assente e quando presente anche infantile) non risulterebbe particolarmente azzeccata in sede di sceneggiatura, essendo capace di piazzare giusto piccoli personaggi sufficientemente grotteschi e bizzarri, oltre a poche battute che non riescono a strappare più di qualche sorriso.

Al contrario, a spuntarla maggiormente sembrerebbe proprio una certa “seriosità” relativa all’epica e al dramma dei personaggi principali, comunque al livello di guardia e che fa storcere il naso pensando a quale target tutto ciò sia diretto, non riscontrando una fetta di pubblico specifica per i motivi appena citati. Insomma, in questa prima stagione di Avatar la storia è anche avvincente, i personaggi riescono a coinvolgere dal punto di vista narrativo e la spettacolarizzazione è pressoché totalizzante, ma il registro espositivo (facendo degli scellerati esempi recenti sempre per Netflix, che potrebbero essere un “serio e profondo” per Blue Eye Samurai e “divertente e spensierato” per One Piece) resta confusionario, indeciso e poco immersivo.

La recensione della serie live-action Netflix di Avatar la leggenda di Aang

Avatar – La leggenda di Aang, la recensione: l’energia e l’equilibrio del fantasy

Con un tono espositivo altalenante, il punto di forza di Avatar – La leggenda di Aang resta sicuramente il suo spettacolare comparto tecnico. L’idea di voler realizzare un racconto di questo tipo, dove la magia elementale e le creature mitologiche sono onnipresenti in scena, è a dir poco azzardata se non si può puntare su mezzi tecnici ed economici particolarmente incisivi. Gli effetti speciali di questa prima stagione della serie Netflix sono così di ottima fattura, capaci di esaltare una visione squisitamente fantasy tra poteri sovrannaturali, ambientazioni mozzafiato e creature fantastiche (Appa e Momo sono irresistibili).

L’imponente lavoro scenografico in CGI si mostra non solo determinante nel restituire ad immagine un tratto estetico convincente, superando la fastidiosa sensazione da “screensaver”, ma anche funzionale narrativamente nel presentare le caratteristiche dei popoli che abitano il mondo. Un’atmosfera sensoriale incisiva ed immersiva che viene poi rinvigorita dall’accattivante sonoro che fa abilmente uso delle sonorità orientali wuxia, per una meravigliosa colonna sonora epica ed emozionante firmata da Takeshi Furukawa (noto principalmente per le serie animate del franchise di Star Wars).

Facendo riferimento al genere cinematografico che ha portato ad esempio all’Oscar un film come La tigre e il dragone, Avatar – La leggenda di Aang trae la sua forza espositiva anche e soprattutto per le svariate sequenze d’azione, le quali vengono poste intelligentemente lungo l’arco della visione di ogni episodio, aumentandone il ritmo e scongiurando il problema dei “tempi morti”. Le sequenze di combattimento godono poi di un grande livello d’intrattenimento per una visione action, abili nel combinare le movimentate coreografie degli stuntman con gli scontri magici dall’ingente utilizzo di manipolazione degli elementi. Scene action che (forse) peccano di una sfrenata ricerca alla tecnica dello slow-motion, sebbene spesso questa tenga ben viva una certa epicità espositiva.

Ultimo, ma non per importanza, è l’apporto conferito alla visione da parte del cast della serie. A spiccare è ovviamente il giovane protagonista Aang di Gordon Cormier, al quale si affiancano i personaggi interpretati da Kiawentiio e Ian Ousley, per un giovane trio che riesce a costruire sì una riuscita alchimia interna ma non ad apportare purtroppo la necessaria emotività recitativa, a differenza ad esempio di Dallas Liu, che con il suo Zuko riuscirebbe invece a restituire qualche emozione in più. Situazione diversa per quanto riguarda la “vecchia guarda”, decisamente più convincente infatti con la prova di Paul Sun-Hyung Lee e delle due conoscenze di Lost Ken Leung e Daniel Dae Kim.

Tuttavia il cast, nella sua generalità, non riesce a trasmettere quel coinvolgimento necessario per una serie avventurosa di questo tipo, anche e soprattutto collegato al tema della scelta del “tono espositivo” di cui sopra, ma comunque ben si presta sullo schermo nella funzionalità di restituire al fan della serie animata quelle sensazioni di “già visto” e rispettando sempre quello spirito di fedeltà. In conclusione ed in attesa della seconda stagione, i primi 8 episodi di Avatar – La leggenda di Aang sono decisamente promettenti nel porre le necessarie basi per continuare un viaggio fantastico e spettacolare che può e deve crescere.

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La locandina e la recensione di Avatar la leggenda di Aang di Netflix
Avatar - La leggenda di Aang
Avatar – La leggenda di Aang

Adattamento della serie d'animazione cult andata in onda su Nickelodeon, tralasciando il tentativo cinematografico del 2010, la prima stagione del live-action Netflix pone le basi per una serie fantasy con tutti i crismi e dal grande potenziale per diventare importante.

Voto del redattore:

7.5 / 10

Data di rilascio:

22/02/2024

Regia:

Mike Goi, Jabbar Raisani, Roseanne Liang, Jet Wilkinson

Cast:

Gordon Cormier, Kiawentiio, Ian Ousley, Dallas Liu, Paul Sun-Hyung Lee, Elizabeth Yu, Daniel Dae Kim

Genere:

azione, avventura, fantastico, drammatico

PRO

Spettacolare l’esperienza visiva e sonora del fantasy-action
Il giusto bilanciamento tra fedeltà al materiale originale e libertà espositiva
Una narrazione evergreen che tratta temi individuali e collettivi
Una visione principalmente orientata a godere solo del lato action
Un cast non particolarmente convincente e trascinatore
Sovrabbondanza dello slow-motion nelle scene d’azione