Articolo pubblicato il 29 Dicembre 2023 da Bruno Santini
Il 2023 ha visto numerosi film uscire al cinema o direttamente in streaming, in un’annata che ha riportato sul grande schermo diversi autori, con risultati non sempre entusiasmanti. Al termine di ogni anno è importante tirare le somme e, per questo motivo, non si può fare a meno di citare quelli che sono i peggiori film del 2023: film che possono essere esteticamente, narrativamente o contenutisticamente brutti, che talvolta cedono all’egocentrismo dei loro autori o che si risolvono in maniera pretenziosa e sciatta.
Quali sono i peggiori film del 2023?
Scegliere un sentiero comune che possa orientare tutti i giudizi non è affatto semplice, soprattutto per quella che è la propria idea di cinema che viene posta in essere in sede di valutazione. I peggiori film del 2023 sono, allora, oggetto della somma tra i voti dei redattori di Quarta Parete, secondo un sistema di attribuzione di punteggi che va da un ideale decimo a un primo posto dei film peggiori dell’anno: le posizioni di seguito presentate, allora, sono quelle dei peggiori film del 2023 secondo tali presupposti.
9= Beau ha paura (Ari Aster)
Al decimo posto della lista dei peggiori film del 2023 trova spazio il terzo lavoro di Ari Aster, che qui acquisisce una grande libertà artistica dalla A24, a seguito dei successi di Hereditary e Midsommar. Il risultato è assolutamente delirante per un regista che ha sempre mostrato le sue enormi qualità, fin dai cortometraggi realizzati – Beau ha paura, nei fatti, è l’unione tra Beau, The Strange Thing About the Johnsons e Munchausen, per tematiche ed estetica – ma che in questo film dimostra quale possa essere il pericolo di un talento senza freni e a cui non va data un’inquadratura strutturale. Beau ha paura è la concretizzazione di paranoie infantili da parte del suo regista e, affidandosi all’interpretazione di Joaquin Phoenix nei panni del protagonista, riesce anche in primi 40 minuti eccelsi dal punto di vista narrativo ed estetico, con la sequenza dell’attraversamento dell’attraverso della strada che certamente riesce nel suo obiettivo.
Purtroppo, il film prosegue e giustifica interamente la presenza tra i peggiori del 2023: il concept visivo di Ari Aster si complica e le derivazioni da Charlie Kaufman, David Lynch e Peter Weir diventano sempre più sovrabbondanti, fino a ricreare delle sequenze visive assolutamente respingenti in cui il regista gioca al richiamo di questa o quella citazione. Il risultato è per certi versi onanistico, in un film che vuole addirittura anticiparsi e protrarsi nel tempo attraverso le sue sequenze in fotogramma e con elementi metaforici (come i testicoli gonfi di Beau o il fallo gigante in soffitta) che sfociano nel ridicolo. Beau ha paura è, allora, un’estrema occasione sprecata per film, regista e attori, nell’augurio che non sia l’avvio di una tendenza che investa il cinema postmoderno nel tentativo di dar forma a deliri di egocentrismo.
9= L’esorcista – Il credente (David Gordon Green)
L’esorcista – Il credente è un sequel senza né arte né parte. David Gordon Green non riesce in alcun modo a proseguire il discorso politico e sociale imbastito nel capolavoro di Friedkin, e in maniera approssimativa tenta di condanna la differenza di genere, promuovendo anche la diversità etnica e culturale. Un polverone di argomenti mal amalgamati per cui, durante la scena madre dell’esorcismo, ci si distrae dagli elementi più puri dell’horror per ragionare sulla cattiva messa in scena di certe dinamiche, anche relazionali. Il ritorno di Ellen Burstyn nel ruolo di Chris MacNeil è ingiustificato: il suo personaggio entra ed esce dal racconto con un meccanismo puerile e assolutamente insignificante, per poi tornare nel finale solo come futile richiamo all’opera originale. Ciò a dimostrazione di quanto anche in un horror commerciale si possano generare dei tratti da fan fiction, provando a strappare una lacrima facile. Il finale è pesante e retorico, legato ad una strana forzatura a precedere il lungo monologo del protagonista.
8) L’ordine del tempo (Liliana Cavani)
Ottavo posto tra i peggiori film del 2023 per L’ordine del tempo, ultimo lungometraggio di Liliana Cavani presentato in anteprima al Festival del Cinema di Venezia. Un cast ricco di grandi nomi, tra cui spiccano quelli di Claudia Gerini, Edoardo Leo e Alessandro Gassman, per un risultato assolutamente stucchevole per la sua resa tecnica e i suoi espedienti narrativi: L’ordine del tempo è un film che, a partire dal suo modello letterario, tenta di parlare di vita e di morte, di relazioni interpersonali, di rapporti familiari e di occasioni mancate; il risultato è il tentativo di mettere in fila, l’uno dopo l’altro, diversi temi che vengono presentati sullo schermo in maniera banale e ridondante, con soluzioni narrative totalmente assenti e con un ritmo mai pervenuto.
L’impressione è che alcuni scene siano state pensate, al di là del montaggio sbagliatissimo in alcuni punti, al di fuori della macchina strutturale del lungometraggio e incollate, a posteriori, per arricchire il film, non riuscendo ad avere il minimo collegamento strutturale e tematico con il restante film. Le interpretazioni sono caricaturali e gli espedienti retorici, al di là della sospensione dell’incredulità, francamente irrealistici.
7) Barbie (Greta Gerwig)
È il film che ha incassato di più nel 2023 ma fa parte comunque dei peggiori film dell’anno secondo le selezioni della redazione. Barbie è un film che ha diviso critica e pubblico, a partire dalla scelta di affidare la regia a Greta Gerwig e la sceneggiatura del film alla coppia Gerwig-Baumbach. Un presupposto che faceva pensare ad una profondità di ragionamento maggiore rispetto ad un film che non vuol parlare soltanto di bambole ma che affronta anche il tema femminista, del patriarcato e dei rapporti uomo-donna. L’espediente è certamente lodevole, nonostante quel paradosso legato ai meccanismi strutturali che regolano la nascita del film, ma non si può dire lo stesso del risultato.
In barba a qualsiasi vuota polemica maschile, che vorrebbe rifarsi al modo in cui l’uomo viene descritto all’interno del film, il problema di Barbie è tradire le sue stesse aspettative, svilendo il discorso femminista messo in piedi nella sua prima parte e affidando ad una sterile ritrosia uomo-donna l’intento pedagogico del lungometraggio. Se parlare di femminismo è, allora, lecito e addirittura sacrosanto, appare francamente problematico che il risultato sia un modo così sterile di affrontare una realtà che necessiterebbe di una profondità di pensiero maggiore, che sappia identificare il reale problema del nostro tempo e che non si rifugi in ragionamenti spiccioli per essere portata a termine.
6) The Palace (Roman Polanski)
L’Italia l’ha compreso ormai qualche anno fa, ma i tentativi continuano – di tanto in tanto – ad esistere, con accezioni differenti: il cinepanettone è ormai un genere morto, che non appartiene più al nostro tempo e che, se mai fosse stato in grado di descrivere una tendenza storica o sociale, di sicuro non riesce più ad assolvere al medesimo compito. The Palace di Roman Polanski è, allora, un film che parte da premesse totalmente sbagliate, per cui si fa davvero fatica a credere che il regista abbia toccato con mano la pellicola per cui si sente l’abbondante peso della produzione di Barbareschi.
Il risultato, presentato in anteprima al Festival del Cinema di Venezia e poi approdato in sala, è sotto gli occhi di tutti: The Palace non è soltanto un film brutto per i suoi aspetti, ma anche per i suoi intenti, che riportano al cinema quella pretesa di far ridere lo spettatore per il nulla, preferendo all’umorismo conseguente al ragionamento una becera ironia che si basa su peti e flatulenze, su rapporti sessuali e – addirittura – su morti durante il coito. Nulla viene risparmiato in The Palace, che si arricchisce degli stilemi ricorrenti del cinepanettone, con la differenza tra classi che viene accompagnata al solito tema della famiglia, del piacere edonistico e dell’amore per l’eccesso. È un film, si diceva, che non ha più senso di esistere in un momento storico che non presenta le condizioni sociali affinché un tale genere di pellicola abbia un reale valore; pensare che quella finale del film possa essere l’ultima inquadratura di sempre di un regista come Polanski è, del resto, la pietra tombale su un film che di diritto entra tra i peggiori del 2023.
5) The Flash (Andy Muschietti)
Il delirio DC prende forma in quello che non poteva non essere incluso tra i peggiori film del 2023: The Flash di Andy Muschietti, un film in cui si avverte tutto il peso di gestioni editoriali fallaci, dell’alternarsi tra i nuovi addetti ai lavori e – in ultima analisi – di shooting e re-shooting per riuscire a portare a casa il risultato. Prima ancora di vedere il film al cinema, e la strategia non è stata affatto casuale, The Flash aveva già esaurito tutte le sue cartucce in merito a presenze in cameo, personaggi che sarebbero stati osservati per pochi secondi (tra cui il Superman di Nicholas Cage e non solo) e tanto altro, per un film che abbonda di difetti su tutta la linea.
Sequenze come quella iniziale, un estenuante ralenti con Flash che tenta di salvare i bambini (neanche si prova a nascondere il loro essere bambolotti) in ospedale, o quella dei diversi mondi, che abbonda in maniera stupefacentemente brutta di CGI, sono la chiara esemplificazione di quanti e quali errori siano presenti in un film di questo genere. The Flash fonda parte del suo consenso sul recupero del Batman di Michael Keaton, se non altro per un’affezione da parte dei fan per il personaggio, che qui viene brutalizzato con espedienti retorici (il bicipite allo specchio o i capelli lunghi) che rasentano il banale. Il tutto, in una cornice che mostra tutti i segni del suo imminente crollo, che anticipa la fine del DCEU con gli stessi problemi con cui era iniziato.
4) Saltburn (Emerald Fennell)
Dopo il successo riscontrato con Una Donna Promettente, film che è valso l’Oscar alla Miglior Sceneggiatura Originale alla regista Emerald Fennell, l’autrice è tornata con il suo secondo lungometraggio: Saltburn. Purtroppo per lei, quanto di buono si era visto nell’esordio non si è ripetuto, anzi, i difetti mostrati in precedenza sono stati qui dilatati e rivolti verso un eccesso francamente incomprensibile. Saltburn vorrebbe denunciare le ipocrisie e le mancanze dell’alta borghesia, ma il suo protagonista ruba la scena e funge da costante provocatore, sfiorando il ridicolo nella maggior parte delle occasioni.
Non mancano le sequenze classificabili come “forti”, poiché l’obiettivo principale della giovane cineasta sembra essere quello di sorprendere lo spettatore e di infastidire chi osserva. Lo squilibrato finale non fa altro che confermare questa tendenza, la quale appesantisce il fin troppo lungo minutaggio e termina il suo percorso con un didascalico “spiegone” di cui non si sentiva il bisogno. L’ultima sequenza, per l’appunto, appare esclusivamente mirata a generare un senso di meraviglia nello spettatore, ma è talmente goffa e videoludica da ottenere l’effetto contrario. La Fennell sembra essersi concentrata più sulla forma che sul contenuto, e il suo Saltburn appare sfilacciato e senza una vera personalità.
3) Nuovo Olimpo (Ferzan Ozpetek)
La pretenziosità con cui si vogliono mostrare determinate situazioni, con un intento dichiaratamente pedagogico nei confronti dello spettatore, è l’aggravante per un film che – dopo essere stato presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma – ha esordito in streaming su Netflix, dov’è stato immediatamente investito dall’attenzione del pubblico. Nuovo Olimpo è il nuovo film di Ferzan Ozpetek che, con l’intento di raccontare elementi biografici, restituisce allo spettatore la solita narrazione stereotipata, che non riesce ad assumere la benché minima profondità in ambito tematico e che si accompagna a strafalcioni tecnici e ad un uso di un trucco ormai superato e vetusto per invecchiare i personaggi presenti all’interno della pellicola.
Nuovo Olimpo è un film che non può che meritare una posizione tra i peggiori del 2023: è davvero estenuante osservare, al termine dell’anno, un prodotto che si proponga di parlare di omosessualità in questo modo, affidandosi a quei soliti stilemi che appartengono ad un’Italia retrograda e omofoba, totalmente incapace di accettare la sua storia. Un film, se vogliamo, anche inutilmente retorico, che si rifugia dietro nudi assolutamente gratuiti, frasette e citazioni da condividere per tentare di ricostruire – con una finta magia – una realtà concreta che ancora si tenta di divinizzare alla maniera di un qualsiasi Bacio Perugina. Ecco che, allora, se nella flop dei film del 2023 sono presenti numerosi film per orrori tecnici o per ego smisurato, Nuovo Olimpo rappresenta lo sguardo alternativo di tale lista: un film totalmente sbagliato, offensivo e fuori dal tempo, che la nostra storia non può più permettersi.
2) Ant-Man and the Wasp: Quantumania (Payton Reed)
Il primo film della Fase Cinque del Marvel Cinematic Universe mette subito in chiaro la natura sciatta di un genere che affronta i suoi problemi strutturali e relativi ai guadagni al botteghino, attraverso un intriso di errori che abbondano all’interno della pellicola. Ant-Man and the Wasp: Quantumania è un film profondamente sbagliato sotto tutti i punti di vista, che compie degli orrori dal punto di vista tecnico, narrativo ed estetico, per mezzo di una concezione del lungometraggio che sembra essere totalmente smarrita. Una totale assenza della profondità di campo si accompagna a scenografie che non riescono mai ad allontanarsi dall’idea di cartonati che si stagliano – in green screen – sullo sfondo, restituendo l’idea di un prodotto posticcio nel quale la fotografia orripilante compie addirittura l’errore di aumentare fin troppo i toni scuri.
Narrativamente parlando c’è da stendere un velo pietoso per un film che si affida ad una caratterizzazione macchiettistica del personaggio di Kang, complice anche un Jonathan Majors di cui si colgono tutte le incapacità in termini di recitazione; tutti i personaggi secondari, interpretati – tra gli altri – da Michael Douglas e Bill Murray, si prestano ad uno spettacolo indecoroso, intriso di riferimenti e doppi sensi sessuali per un’ironia assolutamente sbagliata. Un fallimento su tutta la linea, che fallisce anche nei giochi di forza tra i personaggi e che non offre assolutamente l’idea di quel villain tanto temibile che sarà presentato in casa Marvel.
1) Rebel Moon – Parte 1: Figlia del fuoco (Zack Snyder)
Zack Snyder realizza il suo film più personale, avendo dalla sua anche una totale libertà creativa. La mossa dei produttori Netflix si dimostra subito azzardata, e probabilmente il comune riscontro negativo si manifesterà con i dati sulle visioni della Parte 2 in drastico calo. Infatti, Rebel Moon – Parte 1: Figlia del fuoco è una specie di Frankenstein moderno, un film in cui sono stati ibridati elementi provenienti da saghe famose come Star Wars, Harry Potter e Il Signore degli Anelli. Tuttavia, nessuna è una vera e propria citazione, e il lungometraggio risulta una messa in sequenza di archetipi narrativi e di scopiazzature – anche piuttosto goffe – estetiche e di trama.
Come se non bastasse, la scrittura dei personaggi è bidimensionale, i ralenti abbondano come mai prima d’ora, c’è uno strano effetto blur di cui si fa fatica a comprendere il senso, e infine la patina digitale della fotografia rende complessa la visione delle immagini. Ebbene sì, Snyder qui ha anche svolto un (pessimo) lavoro di direttore della fotografia, mescolando colori scuri con un effetto seppia a dir poco ridicolo. Insomma, in Rebel Moon – Parte 1: figlia del fuoco non c’è alcun segno di creatività, la regia del noto cineasta evidenzia il suo ego ormai fuori controllo – sempre alla ricerca di perfetti sfondi per il computer – e le scene d’azioni sono un vero pugno nell’occhio. Come è solito fare Snyder, spettacolarizza inutilmente la violenza, e per di più i personaggi sono mossi da ragioni futili come la vendetta e la voglia di uccidere. Si tratta di un pastrocchio di idee e di stili che diventa estenuante con il passare dei minuti.