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Recensione – Drive, il film di Nicolas Winding Refn premiato a Cannes64

“Drive”, il film che ha vinto a Cannes64 e consacrato Nicolas Winding Refn come uno dei migliori registi contemporanei.
Ryan Gosling in una scena di Drive, di Nicolas Winding Refn

SCHEDA DEL FILM

Titolo del film: Drive
Genere: Thriller, Drammatico, Azione, Noir
Anno: 2011
Durata: 100′
Regia: Nicolas Winding Refn
Sceneggiatura: Hossein Amini
Cast: Ryan Gosling, Carey Mulligan, Bryan Cranston, Albert Brooks, Oscar Isaac, Christina Hendricks, Ron Perlman
Fotografia: Newton Thomas Sigel
Montaggio: Matthew Newman
Colonna Sonora: Cliff Martinez
Paese di produzione: Stati Uniti d’America

Nuovo appuntamento con la retrospettiva su Nicolas Winding Refn. Dopo aver discusso e chiuso la prima fase della sua carriera – trattando Pusher, Bleeder, Fear X, Pusher II: Sangue sulle mie Mani e Pusher 3: L’angelo della Morte – ed aver trattato il dittico formato da Bronson e Valhalla Rising, è arrivato il momento di parlare del film che ha trionfato al 64esimo Festival di Cannes e che ha lanciato Refn ad Hollywood ed in tutto il mondo. Di seguito, ecco dunque trama e recensione di Drive.

La trama di Drive, diretto da Nicolas Winding Refn

Come sempre, prima di passare all’analisi e recensione del film, è bene dare contesto e parlare brevemente della sua trama. Basato sull’omonimo romanzo di James Sallis, Drive segue la storia di un pilota (Ryan Gosling) che fa il meccanico e lo stuntman ma che, per arrotondare, lavora come autista per i criminali che mettono in atto le rapine organizzate da Shannon (Bryan Cranston).  Tutto cambia il giorno in cui egli conosce la sua vicina di casa Irene (Carey Mulligan) e suo figlio Benicio, il cui padre – Standard Gabriel, interpretato da Oscar Isaac – uscirà di prigione di lì a poco e finirà per proiettare il protagonista all’interno di una spirale da cui, forse, non esiste un ritorno. 

Ryan Gosling in una scena di Drive, film di Nicolas Winding Refn

La recensione di Drive: il successo, lo stile, l’autorialità

Un uomo taciturno e senza nome impartisce pochi e semplici ordini a due persone. C’è una rapina da portare a termine e tutto deve andare liscio. Loro portano a termine la missione, lui guida. Questa sera i Los Angeles Clippers giocano contro i Boston Celtics e la città ribolle. Le sue luci vanno a contrapporsi all’oscurità in cui il nostro uomo si avvolge per sfuggire alla polizia, che sta cercando una macchina sospetta. Il silenzio dell’auto viene interrotto dal rombo dei motori, dalla voce delle forze dell’ordine che egli sta intercettando per conoscere ogni loro movimento. Riesce a seminarli, trova un diversivo e scompare nel buio della notte. Parte il brano Nightcall di Kavinsky e dei titoli di testa rosa fluo in pieno stile vaporwave. 

 

Questa è, in breve, la scena d’apertura di Drive, l’ottavo lungometraggio diretto da Nicolas Winding Refn. È il film della consacrazione: Drive vince il premio per la miglior regia al 64esimo Festival di Cannes – quello che vide Robert De Niro presidente di giuria e The Tree of Life di Terrence Malick vincitore della Palma D’oro – ed il nome del regista danese finisce sulla bocca di tutti. Ma a cosa è dovuto questo successo, perché Drive è entrato immediatamente nell’immaginario collettivo affermandosi come uno dei migliori film degli anni 2000? Se infatti da un lato c’è un cast di altissimo livello e tutti i presupposti per ottenere un ottimo action americano, dall’altro c’è invece un regista con un’identità ben precisa, forse non totalmente espressa nei suoi film precedenti ma dal potenziale enorme e che ambiva a qualcosa di ben più grande del solo dirigere un ottimo action americano: la più assoluta libertà creativa. Ecco dunque come passare dall’ordinario allo straordinario, come trasformare un film normale in un cult.

 

Drive è però molto più di un semplice cult, ma la summa della poetica Refniana, l’apice – fino a quel momento – di una carriera che trova finalmente una quadra, dove tutti gli stilemi tipici del cinema di Nicolas Winding Refn trovano sfogo, dosati a meraviglia da uno dei cineasti visivamente ed artisticamente parlando più incredibili degli ultimi decenni. Un autore dunque, che non ha più intenzione di scendere a patti con nessuno e che si avvale di collaboratori preziosissimi che comprendono non solo il Refn regista ma anche e soprattutto il Refn uomo. È il caso di Matthew Newman, montatore che lo segue dai tempi di Bronson, che non lo ha più abbandonato e che qui ci regala un montaggio eccezionale e dosatissimo soprattutto nelle scene in macchina. C’è però, più di chiunque altro, Cliff Martinez: quella tra lui e Refn è una vera e propria simbiosi, umana ed artistica e che, soprattutto con i film successivi, troverà un senso – se possibile – ancor più grande ed impattante. 

 

Con Drive, Nicolas Winding Refn dirige una fiaba. Atipica, certamente, ma una fiaba che la stessa colonna sonora – per restare in tema – non manca di sottolinearci. Se Nightcall di Kavinsky è infatti perfetta dal punto di vista visivo, A Real Hero dei College ci parla invece dei personaggi e, in particolar modo, del pilota senza nome – riferimento più che evidente a Driver L’imprendibile di Walter Hill – che fondamentalmente si sacrifica per sconfiggere il cattivo di turno e difendere l’amata. Un riassunto forse fin troppo semplice ma che rende l’idea. Una fiaba che Refn riempie poi di riferimenti al cinema che ama: oltre al già citato Walter Hill, Strade Violente di Michael Mann ma, soprattutto, Scorpio Rising di Kenneth Anger per la giacca indossata da Ryan Gosling, che è poi un po’ il simbolo di tutto il film e del suo obiettivo: dare un senso estetico ad un qualcosa che, normalmente, non lo avrebbe mai (quella giacca) o non dovrebbe mai avere (la violenza). Drive è dunque un film imperdibile, che regala a Nicolas Winding Refn notorietà e carta bianca per un nuovo progetto che si rivelerà essere molto più complicato del previsto perché, come egli stesso affermerà, tutto il mondo si aspettava che egli dirigesse una sorta di Drive 2. Due anni dopo arriverà invece Solo Dio Perdona, ma questa è un’altra storia.

Voto:
5/5
Andrea Barone
4.5/5
Andrea Boggione
4.5/5
Arianna Casaburi
0/5
Christian D'Avanzo
4/5
Emanuela Di Pinto
5/5
Matteo Farina
4/5
Alessio Minorenti
4/5
Matteo Pelli
5/5
Vittorio Pigini
4/5
Bruno Santini
4/5
Giovanni Urgnani
0/5
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Cast:
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