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Recensione – Black Panther: La Grande Ambizione Politica Marvel

Black Panther recensione film con Chadwick Boseman, film Marvel su Disney+

In occasione dell’uscita del sequel “Black Panther: Wakanda Forever” di Ryan Coogler che uscirà domani, è opportuno dare uno sguardo al primo capitolo diretto dallo stesso regista. Al contrario dell’Italia dove il film divide fortemente gli appassionati, in patria l’opera è non solo la più acclamata dalla critica dell’intero Marvel Cinematic Universe, ma è anche diventato un importante fenomeno di costume, non solo perché è il primo blockbuster con un cast formato quasi interamente da gente di colore, ma perché ha avuto un impatto sociale potentissimo tanto che è ancora oggi l’unica opera della Marvel ad aver ottenuto la nomination all’oscar per il miglior film. Ma merita davvero tutte queste lodi o è meglio essere più tiepidi? Scopriamolo.

L’impianto visivo di Black Panther

Nel suo “Creed”, Ryan Coogler aveva dimostrato di essere molto abile nell’immersione dell’azione attraverso l’inseguimento della macchina da presa e qui dimostra elementi interessanti di questa abilità appena citata: da lodare sono per esempio i numerosi piani sequenza durante lo scontro nel casinò, nei quali riesce a non farci perdere di vista un solo personaggio nonostante la confusione e la distruzione delle scenografie, utilizzando pochissimi stacchi che trascinano lo spettatore da un colpo all’altro. Tuttavia, diversamente dal film sull’erede di Rocky, tali guizzi non sono molto presenti e per la maggior parte delle volte si opta per un’impostazione tipica degli standard Marvel, ma Coogler dimostra comunque di saper mantenere una messinscena quadrata seppur non elegante come cineasti del calibro di Raimi.

Molto bella la fotografia di Rachel Morrinson, la quale cattura soprattutto i raggi del sole dell’Africa i quali emanano un grande calore che sembra quasi baciare ogni elemento colorato del Wakanda che sembra fondersi con il continente pur distinguendosi con la tecnologia. La creatività delle scenografie (premiate con l’Oscar) non arriva però all’eccellenza dei costumi (anche essi premiati con gli oscar) che riescono ad essere visivamente attaccati alla tradizione mantenendo allo stesso tempo un’aria futuristica, ottenendo un delizioso effetto steampunk. Inspiegabili invece gli effetti visivi continuamente altalenanti tra l’ottimo (il braccio bionico di Klaue) e lo scadente (le macchine distrutte nell’inseguimento), anche se la messinscena di Coogler riesce a coprire fortunatamente le pecche citate.

La colonna sonora di Ludwig Gorasson è straordinariamente evocativa, in particolare l’ingresso del Wakanda che sembra emanare un paradiso terrestre ma che viene usato anche nelle parti più tragiche, come a sottolineare anche qui il dualismo del paese che a breve verrà analizzato. Molto apprezzabili le performance, soprattutto quelle del compianto Chadwick Boseman, il quale riesce a lavorare in sottrazione lasciandosi però andare nei momenti più drammatici senza mai rinunciare alla sua fierezza e regalità, e di Michael B. Jordan, il quale riesce a variare molteplici espressioni pur mantenendo sempre dei convincentissimi occhi carichi di risentimento. L’unico che sembra stonare, soprendentemente, è Andy Serkis, il quale si presenta un po’ troppo sopra le righe in varie scene.

Black Panther recensione

Black Panther e l’integrazione intelligente

Il Wakanda ci viene presentata come nazione che possiede il vibranio, il metallo più importante di tutto il pianeta, capace non solo di essere profondamente resistente, ma anche importante nelle risorse come la medicina e la tecnologia, molto più avanzata di qualunque popolo della Terra. Prima di concentrarci su questo punto molto delicato, è importante mostrare il totale trionfo del progresso che mostra una cultura straordinaria appartenenti ad origine africane. C’è un orgoglio nelle tradizioni estetiche che però non rinnega alla prosperità del futuro, così come non bisogna scandalizzarsi nei riti tribali che scelgono i futuri re o regine: è tradizione del cinema di fantascienza il fondere una realtà distopica con ciò che c’era nel passato, rimanendo in linea con altre opere come “Avatar” di Cameron e “Dune” di Villeneuve. Coogler ci dimostra come è possibile amalgamare tutto anche nella forma, tanto che ad un certo punto varia l’epicità passando dai generi dei film di guerra ai film di spionaggio (anche se quest’ultima parte narrativa rallenta il ritmo).

Il film non parla mai di razzismo in senso stretto, ma riesce ad andarci contro in modo molto intelligente: vediamo infatti uomini neri riflessivi e valorosi (T’Challa), così come vediamo come antagonisti degli estremisti neri guerrafondai (Killmonger). Stessa cosa dall’altra parte: da un lato l’americano bianco vende armi e gode nell’uccidere (Klaue), mentre dall’altro lato c’è un uomo bianco che mette a rischio la propria vita pur di aiutare il Wakanda, ovvero un paese che non è il suo ma di cui causa abbraccia tutti (l’agente Everett Ross). Le donne sono guerriere ed hanno lo stesso valore degli uomini, ma non per questo non possono commettere errori dettati dallo schema sociale (Okoye). L’unica tribù scontrosa del Wakanda sembra richiamare ai musulmani, visti apparentemente come tipi dalla mentalità primitiva ed impulsiva ma che in realtà si dimostrano ragionevoli, ingannando ogni apparenza. In altre parole, con la semplice simbologia non didascalica dettata solo dalle azioni, il film dimostra che non c’è alcuna differenza tra le etnie ed ogni essere umano ha le sue sfumature positive e negative, dovendo alla fine scegliere da che parte stare. Niente è dettato dalla nascita, ma solo dalla scelta.

Black Panther Wakanda Forever recensione

Il nemico è generato da noi

Killmonger è stato menzionato: non si tratta di un cattivo che vuole conquistare il mondo, ma è un uomo che da bambino è stato abbandonato, lasciato nella sua condizione di povertà venendo respinto dopo l’assassinio di suo padre. C’erano possibilità di riportarlo nel Wakanda, ma non si è voluto farlo e perché? Per paura di avere uno scandalo, di affrontare il confronto sul problema dell’abbandono. Il Wakanda infatti è presentata come una nazione ricca, ma che proibisce di condividere le proprie risorse con il mondo esterno. Non importa quanti altri paesi stanno soffrendo: non è un problema loro e, come dice uno degli estremisti W’Kabi: “Se porti i profughi qui, portano anche i loro problemi.” Questa cosa viene giustificata con la paura degli altri paesi, con il continuo dire che condividere le risorse porta alla creazione di armi da parte di persone cattive, ma la cosa è inutile perché le persone cattive non esistono in un unico luogo.

Killmonger è il frutto dell’indifferenza dell’uomo, perché non solo non è stato aiutato, ma ha visto la morte dei suoi confratelli. L’indifferenza genera dolore, il dolore genera rabbia, la rabbia genera odio e l’odio genera morte. Tale antagonista è diventato un uomo carico di odio che pensa che l’unica soluzione per aiutare le persone sia donare loro le armi per aumentare la lotta, basando il tutto sulla supremazia e non sull’unione. Killmonger, ragazzo wakandiano, ha imparato il concetto estremista americano: non condividere, ma uccidi e depreda colui che uccide e depreda te. Questa rabbia pronta a scatenarsi non sarebbe mai stata sguinzagliata se invece fosse stato aiutato. Questa rappresentazione simbolica nel cinema di genere dei popoli africani o poveri abbandonati, i quali torneranno ribellandosi con la violenza se continuiamo ad ignorarli, anticipa il discorso affrontato da Jordan Peele nell’horror “Noi“, seppur in modo diverso.  Killmonger, oltre ad essere uno dei cattivi più straordinari e realistici di tutto il Marvel Cinematic Universe, è il frutto del dolore generato dalla società moderna che guarda e non agisce.

Il film decide quindi di onorare le tradizioni, ma è pronto allo stesso tempo a rinunciare ad esse se queste ultime appartengono ad una mentalità degradante. La scelta di usare il governo del Wakanda come rappresentante del marciume americano, che verrà finalmente sciolto da T-Challa, è un’intelligente modo per accusare senza puntare il dito contro un popolo in particolare, perché Coogler sta esattamente dicendo che noi potremmo essere i primi a compiere queste pessime decisioni egoistiche senza nemmeno accorgercene. E quando il film si conclude con la decisione, da parte di T-Challa, di andare ad aiutare tutti i paesi del terzo mondo, le parole sono “In tempo di crisi, i saggi fanno ponti e gli stupidi innalzano barriere“, attaccando senza alcuna esitazione tutti gli esponenti del governo di Trump. In “Black Panther” c’è tanta azione e tanta adrenalina, ma ci sono anche moltissime sfumature sulla società odierna che dovrebbero essere rivalutate anche in l’Italia (soprattutto perché ci tocca molto da vicino) e se alcuni difetti della narrazione ed una forma che non osa troppo possono non far definire l’opera un capolavoro, indubbiamente si tratta di uno dei cinecomic più importanti di sempre, nonché uno dei blockbuster fondamentali del 21° secolo.

Voto:
4/5
Andrea Boggione
3/5
Christian D'Avanzo
2.5/5
Alessandro Di Lonardo
2.5/5
Paolo Innocenti
4/5
Carmine Marzano
1.5/5
Alessio Minorenti
2/5
Bruno Santini
2/5
Paola Perri
4/5
Vittorio Pigini
2/5
Giovanni Urgnani
3.5/5