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Giù la testa: C’era una volta Sergio Leone e la rivoluzione

Se non si tiene conto del suo esordio “Il colosso di Rodi”, Giù la testa è senza dubbio l’opera meno conosciuta e citata della filmografia del grande Sergio Leone, eppure è uno dei suoi film più interessanti ed impegnati.

L’era dello spaghetti Western era ormai alle spalle, chiusa da quell’immenso capolavoro che è “C’era una volta il West”. Con l’arrivo della locomotiva quel mondo di frontiera sta per essere ormai conquistato dall’industria e dal commercio e i pistoleri solitari stanno ormai lasciando il posto ai grandi imprenditori e, di contro, al crimine organizzato. Ma nel passaggio da un mondo ancora, in un certo senso, primitivo, della trilogia del dollaro all’epoca moderna di C’era una volta in America c’è ancora da esplorare una tappa fondamentale dell’evoluzione della società a cavallo tra ottocento e novecento. La rivoluzione! Perché dove la locomotiva mette radici non porta solo benessere e nuova ricchezza ma anche quella inevitabile disuguaglianza generata dal capitalismo, quella tensione sociale che aspetta solo di esplodere. Ed è in quel fondamentale momento di transizione che si inserisce quello che diventa a tutti gli effetti il raccordo tra i due “c’era una volta” della trilogia del tempo del regista romano, il perfetto secondo capitolo della saga. Ad un occhio distratto Giù la testa potrebbe sembrare l’ennesimo Western, ma del genere che ha fatto la fortuna di Leone, al di là dell’ambientazione, ha ben poco. Giù la testa è un film storico a tutti gli effetti, dalla forte connotazione politica come ci rende subito evidente la citazione di Mao Tse Tung che apre la pellicola.

“La rivoluzione non è un pranzo di gala, non è una festa letteraria, non è un disegno o un ricamo, non si può fare con tanta eleganza, con serenità e delicatezza, con tanta grazia e cortesia. La rivoluzione è un atto di violenza”

– Mao Tse Tung –

Sergio Leone mette in scena la sua sceneggiatura più impegnata e lo fa attraverso scelte visive non banali, quasi sperimentali. Ne è un esempio la scritta “banco nazionale di Mesa Verde” che compare a schermo in una celebre sequenza. Tutta la prima parte, in particolare, vive di un’ironia tragica e surreale, dissacrante e fortemente sopra le righe. Poi le cose si fanno serie, quella che doveva essere solo una storia di banditi vira verso altri lidi e come il nostro ingenuo protagonista ci ritroviamo anche noi aggrovigliati in qualcosa di molto più importante. La rivoluzione messicana di Pancho Villa e Zapata.

Parlare del livello tecnico della pellicola è quasi una banalità. Leone, come al solito, ci delizia con una regia perfetta e ancora oggi moderna sorretta dall’immancabile colonna sonora dell’amico Ennio Morricone che anche per Giù la testa compone una vera opera d’arte. Qualche pecca è forse da trovarsi solo nel montaggio, in un paio di momenti non troppo chiaro, probabilmente dovuto ai problemi Post-Produttivi che ha avuto il film. Il punto forte della pellicola sono però i due protagonisti. Il John Mallory di James Coburn, irlandese che della rivoluzione ha fatto prima uno scopo di vita e poi una professione a tutti gli effetti, fin troppo consapevole di come funziona il mondo e l’ingenuo e ignorante Juan Miranda, interpretato dal premio Oscar Rod Steiger (e da Oscar sarebbe stata anche questa prova), un poveraccio che del mondo conosce solo la propria famiglia ma che scoprirà, suo malgrado, che nel mondo moderno non si può più vivere fuori dalla collettività. I due si incontrano, si scontrano, si completano, si scoprono, crescono l’uno grazie all’altro e nel proseguire della storia sarà sempre più evidente che entrambi nascondo molto di più di ciò che la caratterizzazione iniziale lasci pensare. Degna di nota anche la presenza di Romolo Valli, grande interprete del nostro cinema.

“Rivoluzione? Rivoluzione? Per favore, non parlarmi tu di rivoluzione. Lo so benissimo cosa sono e come cominciano: c’è qualcuno che sa leggere i libri che va da quelli che non sanno leggere i libri, che poi sono i poveracci, e gli dice: “Oh, oh, è venuto il momento di cambiare tutto”… Lo so quello che dico, ci son cresciuto in mezzo, alle rivoluzioni. Quelli che leggono i libri vanno da quelli che non leggono i libri, i poveracci, e gli dicono: “Qui ci vuole un cambiamento!” e la povera gente fa il cambiamento. E poi i più furbi di quelli che leggono i libri si siedono intorno a un tavolo, e parlano, parlano, e mangiano. Parlano e mangiano! E intanto che fine ha fatto la povera gente? Tutti morti! Ecco la tua rivoluzione! Per favore, non parlarmi più di rivoluzione… E porca troia! Lo sai che succede dopo? Niente! Tutto torna come prima!”

– Juan Miranda (Rod Steiger) –

Giù la testa è senza dubbio l’opera più coraggiosa di Sergio Leone, quella più impegnata, ricca di tematiche, manifesto delle idee e del pensiero politico del regista romano. Un’opera che proprio per questo non ha goduto della fortuna delle precedenti, maltrattata e sottovalutata, osteggiata e ostacolata. Un’opera che invece segna la completa maturità di uno dei più grandi maestri della storia del cinema. Un’opera che non si fatica a definire un capolavoro.

Carlo Iarossi