Recensione – Cattivo Sangue: L’Indipendenza Che Sorprende Netflix

recensione cattivo sangue

Articolo pubblicato il 9 Dicembre 2022 da Bruno Santini

Con “Cattivo Sangue” si apre una svolta storica: per la prima volta Netflix investe per la distribuzione di un film indipendente italiano avente un budget risicatissimo, cosa che fino ad ora era una caratteristica appartenente solamente a Prime Video tra le grandi piattaforme. Ma tale investimento avrà portato a qualcosa? Scopriamolo nella recensione del film esordio di Simone Hebara.

Cattivo Sangue: la sinossi del film su Netflix

Al fine di offrire la recensione di Cattivo Sangue, il film noir indipendente su Netflix, si indica dapprima la sinossi del prodotto in questione:
 
Sergio, ex sicario romano, vive da alcuni anni a Malta, dove gestisce un ristorante. La sua routine viene spezzata dalla visita di Francesco, suo vecchio amico, ora divenuto poliziotto, che, insieme alla sua decisa sorella Roberta, vuole assoldare Sergio per un ultimo incarico. Questo incarico tuttavia riguarda una vendetta ai danni dei fratelli Ventura, pericolosissimi boss mafiosi che non saranno affatto facili da eliminare.

Cattivo Sangue: la recensione di un noir distruttivo

Dal punto di vista registico, Hebara si rivela essere un volto promettente per il panorama cinematografico italiano: la sua geometria da al film non solo un interessante senso di claustrofobia, ma soprattutto una sensazione di vuoto che riprende l’eterna solitudine del protagonista, ritratto per esempio in un bellissimo campo lungo che lo vede insieme ad una Roma tanto vasta quanto assente dal suo coinvolgimento e dal suo animo. Se dalle produzioni indipendenti, a causa del budget, ci si aspetta degli errori tecnici diffusi ogni tanto nell’opera…. non è sicuramente questo il caso.

Oltre alla geometria, sono molto precisi e quadrati i movimenti di macchina da presa, i quali seguono con grande fluidità i personaggi nell’azione, specialmente nello splendido inizio girato in prima persona che, anche grazie ad un ottimo comparto sonoro, riesce a generare un potente cardiopalma che immerge straordinariamente nel momento e che genera uno degli inizi più coinvolgenti che si siano visti nel panorama nostrano. La grigia fotografia di Giuseppe Chessa è molto efficace nella rappresentazione di questa cupezza urbana, così come le suggestive musiche di Boris Riccardo D’Agostino.

Claudio Camilli, nel ruolo del protagonista, ha una recitazione ben contenuta che permette di avvertire la freddezza del protagonista senza però apparire monotono, facendo ben percepire i momenti in cui appare decisamente più provato nonostante i sentimenti che sembrano ormai morti. Se anche Francesco Braschi e Giulia Paoletti forniscono una più che convincente interpretazione nella loro disperazione repressa, a rubare la scena è il magnifico Matteo Quinzi nel ruolo di Edgardo Ventura, il quale, attraverso un perfetto equilibrio tra quotidianità urbana apparente e follia nascosta, riesce ad essere straordinariamente inquietante.

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Il male che consuma il bene e persino il male stesso

Se si potesse riassumere il film in una sola parola, quella parola sarebbe “trappola“: fin da subito il personaggio di Sergio ci viene presentato come un uomo perennemente infelice a causa della vita che ha scelto. Pur essendo un killer assunto per uccidere altra gente probabilmente peggiore di lui, il suo continuo contatto con la morte gli ha ormai impedito qualsiasi rapporto con le persone del mondo reale, tanto che quel senso di incontentezza eterna lo pervade per tutto il film… e l’unica volta in cui vuole agire con spirito lo fa per aiutare un amico d’infanzia, forse unico punto di contatto rimasto con l’umanità che aveva ancora.

Dall’altra parte, il senso di insoddisfazione eterna pervade anche il villain Edgardo Ventura, il quale gode nel fare del male alle altre persone ed odia estremamente la sua condizione di boss mafioso, dovendo continuamente nascondersi da tutti e non potendo nemmeno manifestare al mondo tutti i soldi che ha e che, per questo, gli appaiono inutili, diversamente dal fratello suo pari che sembra essere molto più lucido. Questa repressione, unita alla normalità del male che è considerato un semplice divertimento da Ventura, rende il personaggio ancora più inquietante ed una versione estrema della vita malavitosa distruttiva.

Ma questo abisso che ci rende sempre meno umani consuma anche le vittime Francesco e Roberta: il primo è ormai sempre più distrutto dai continui contatti malavitosi avuti, mentre l’altra è sempre più accecata da un fortissimo desiderio di vendetta che non le permette di ragionare lucidamente, complicando la propria vita e quella degli altri. Se poi si aggiungono le spie, i complici e le vittime dei fratelli Ventura, non c’è un solo essere umano in tutta questa distruzione che possa definirsi soddisfatto o che non abbia un briciolo di paura.

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La trappola del Cattivo Sangue

Da qui si capisce che il cattivo sangue non è solo quello dei fratelli Ventura, ma anche quello dell’oscurità delle due vittime, ormai già inquadrati dal disilluso Sergio. L’intero film, nella sua profonda intimità che si prende i giusti tempi senza smettere di inquietare mai, è una lenta discesa negli abissi che ritrae realisticamente quello che succede quando, anche solo per poco, qualcuno entra a contatto con la vita malavitosa, ritraendola come una lenta malattia che si diffonde per tutto il corpo e da cui sembra impossibile lavare le macchie persino quando si è innocenti.

“Cattivo Sangue” è l’ennesima dimostrazione che il cinema indipendente nostrano offre tantissime potenzialità da sfruttare e di cui questa prima prova di Simone Hebara può essere inserita tra gli esempi migliori di questo filone, attraverso un noir che lascia il segno grazie ad una regia estremamente efficace che rappresenta una continua soppressione del male. Speriamo che questa non sia un’eccezione nel catalogo di Netflix e che i prossimi film indipendenti adocchiati siano pubblicizzati ancora di più, specialmente se meritano come questo.

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