Pedro Páramo e l’affascinante viaggio di Rodrigo Prieto tra le ombre

Su Netflix arriva l’esordio dietro la macchina da presa di Rodrigo Prieto, che adatta Pedro Parámo, celebre capolavoro di Juan Rulfo: ma si tratta di un adattamento consigliato?
Pedro Páramo e l'affascinante viaggio di Rodrigo Prieto tra le ombre

Articolo pubblicato il 10 Novembre 2024 da Bruno Santini

Netflix ha accolto il primo film dietro la macchina da presa di Rodrigo Prieto, celebre direttore della fotografia messicano che – tra gli ultimi suoi lavori – annovera quello in Killers of the Flower Moon di Martin Scorsese, essendo anche storico collaboratore di Alejandro González Iñárritu. La materia con cui si confronta è tutt’altro che semplice: Pedro Páramo, il celebre capolavoro di Juan Rulfo che, la storia letteraria lo testimonia, ha ispirato l’incipit di Cent’anni di solitudine di Gabriel Garcia Marquez. Ma qual è il risultato di questo esordio? Per comprenderlo, si considera di seguito la trama e la recensione di Pedro Páramo.

La trama di Pedro Páramo di Rodrigo Prieto: di che cosa parla il nuovo film su Netflix?

Prima di procedere con la recensione di Pedro Páramo, l’esordio dietro la macchina da presa di Rodrigo Prieto, è importante considerare innanzitutto la sua trama. Il film prende le mosse con il racconto di un uomo che va alla ricerca di suo padre, Pedro Páramo, a seguito della morte di sua madre: si ritrova in un mondo assolutamente inafferrabile, in cui il confine tra la vita e la morte è sempre più sbiadito, guidato da personaggi che non sa mai se sono vivi o se si tratta di spiriti incaricati di condurlo verso la verità. Tramite il movimento del protagonista, si conosce anche il passato di Pedro Páramo che, dopo aver perso suo padre, inizia ad acquisire sempre più potere, violando la legge e togliendo la vita a molti uomini, avendo così tanti figli da non ricordarsene e inseguendo un amore controverso per tutta la sua vita.

La recensione di Pedro Páramo: un esordio imperfetto ma particolarmente affascinante

Gabriel Garcia Marquez raccontava che “Álvaro Mutis salì a grandi falcate i sei scalini di casa mia con un pacchetto di libri in mano, separò dal mucchio il più piccolo e sbellicandosi dal ridere mi disse: – Leggi questo, cazzo, e impara! – Era Pedro Páramo. Quella notte non potei dormire prima di averlo letto una seconda volta. Mai, dalla notte tremenda in cui lessi La Metamorfosi, dieci anni prima, in una lurida pensione per studenti a Bogotà, avevo provato una commozione simile”. L’importanza di Pedro Páramo, nell’ambito della letteratura sudamericana, è insindacabile: in grado di ispirare non soltanto l’incipit e la realizzazione di Cent’anni di solitudine, ma anche le opere di autori come Jorge Luis Borges, Gabriel García Márquez, Julio Cortázar, Carlos Fuentes, Álvaro Mutis e Susan Sontag, il romanzo in questione rappresenta un saggio perfetto di tutte le potenzialità della parola, pur nella costruzione di un immaginario visivo che riesce ad essere sapientemente evocato da parte di Juan Rulfo.

Il primo lavoro dietro la macchina da presa per Rodrigo Prieto rappresentava una sfida non da poco: riuscire a riportare sullo schermo un qualcosa che è sempre stato in grado di vivere nell’immaginario del suo lettore, di fatto andando incontro al primo grande problema del tradimento tipico della letteratura che diventa cinema; in un’opera assolutamente completa e figlia del postmoderno, Pedro Páramo coniuga esperienze sensoriali, visive e rappresentative (complice anche una buonissima colonna sonora del già noto Gustavo Santaolalla) che uniscono più generi – dal fantastico al western, passando per il drammatico e il sentimentale – in un racconto particolarmente stratificato e ricco di sensazionalismi nella sua messa in scena. Che il comparto tecnico del prodotto fosse ben curato, non c’erano troppi dubbi: Rodrigo Prieto, che esordisce dietro la macchina da presa con questo film, è innanzitutto un eccellente direttore della fotografia e, a osservare le ambientazioni, la caratterizzazione dei granelli di sabbia e il movimento del vuoto, sembra di ritrovarsi di fronte ad un film di Iñárritu, non a caso un regista con cui ha avuto modo di collaborare per gran parte della sua carriera. Nella resa sicuramente molto interessante del prodotto, la messa in scena talvolta svela elementi di impurità e di sovrabbondanza, specie nella rappresentazione – non necessariamente dovuta – di elementi metaforici che appaiono ridondanti (come il fango o la danza delle anime nella piazza spoglia) e che non lasciano, con coraggio, allo spettatore la facoltà di figurarseli.

Del resto, lo scarto più importante tra opera letteraria e film è proprio questo: tutto ciò che costituisce il motivo del grandissimo successo di Pedro Páramo romanzo risiede nella capacità di stimolare l’attenzione del lettore, che si disperde in una narrazione fatta di vivi e morte, in un vorticoso mondo di ombre che diventa sempre più caotico e per il quale si fa fatica a ritrovare le giuste coordinate. Questo effetto, per quanto sia comunque ben reso nel film di Rodrigo Prieto, tende ad essere maggiormente appiattito in alcuni punti, anche a causa di una componente visiva che talvolta tenta di avvicinare lo spettatore alla verità (specie nei momenti di complessità); eppure, Pedro Páramo è un’opera particolarmente affascinante e non solo nella sua messa in scena: riflettere a proposito dei temi relativi alla conquista è la sfida di Rodrigo Prieto, che in effetti propone un interessantissimo parallelo tra la controversa questione sentimentale del protagonista e il modo in cui quest’ultimo esprime il suo dominio, violento, nei confronti del mondo circostante, piegando per suo cruccio interi destini umani e lasciando che ricchezza o povertà siano soltanto il risultato di un moto di umore.

E non è finita qui, dal momento che quella scia di morti che Pedro Páramo lascia dietro di sé si manifesta, con un atteggiamento anche grottesco, ricostruendo un intero teatro di vita e morte che appartengono allo stesso, vorticoso, circolo di esistenza. Nel ritrovarsi di fronte ad un senso dell’epica simile, sembra quasi di ritrovare quelle medesime caratterizzazioni che animavano anche Sir Gawain e il Cavaliere Verde di David Lowery, in cui la narrazione leggendaria si univa ad elementi di cruda realtà, come lo sperma del protagonista che ne diminuiva la dimensione leggendaria; anche Pedro Páramo, che comunque non mortifica mai i suoi personaggi allo stesso modo, si avvale delle medesime logiche, orientandosi sapientemente tra due rette parallele, composte non solo dalla dicotomia vivo-morto, ma anche dal confronto tra sensazionalistico e reale. Un mondo di ombre, dunque, è quello che viene ottenuto, in cui gli stessi protagonisti (come lo spettatore) faticano ad orientarsi e a riconoscere verità e menzogna, salvo poi abbandonarsi ad esse.

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Pedro Páramo
Pedro Páramo

Adattando l'omonimo capolavoro di Juan Rulfo, Rodrigo Prieto esordisce dietro la macchina da presa con Pedro Páramo, film particolarmente affascinante distribuito su Netflix.

Voto del redattore:

7 / 10

Data di rilascio:

06/11/2024

Regia:

Rodrigo Prieto

Cast:

Manuel-Garcia Rulfo, Tenoch Huerta Mejía, Dolores Heredia, Ilse Salas, Hector Kostifakis, Mayra Batalla, Roberto Sosa

Genere:

Drammatico, sentimentale, fantastico, western

PRO

La circolarità del racconto
La capacità di spaziare tra un genere all’altro
La colonna sonora di Gustavo Santaolalla
La messa in scena del film…
… che però talvolta cede ad elementi troppo ridondanti
La semplificazione di alcuni dettagli da lasciare all’immaginazione dello spettatore