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Recensione – Il Figlio Di King Kong: il sequel di Ernest B. Schoedsack

Dopo la grande accoglienza del primo film, Ernest B. Schoedsack decide di realizzare il sequel con Kiko, il figlio di King Kong.
Il Figlio Di King Kong: la recensione del sequel

Nel 1933 l’originale King Kong divenne uno dei film con il maggior incasso della storia del cinema e di conseguenza la RKO, all’epoca la casa detenitrice dei diritti sul gorilla, voleva ancora battere il ferro finché era caldo. Per questo motivo ordinò la produzione di un sequel, il quale venne rilasciato nelle sale cinematografiche a soli 8 mesi dal suo predecessore. Stavolta l’operazione fu gestita soltanto dal regista Ernest B. Schoedsack, il quale realizzò così Il Figlio Di King Kong, il secondo film dedicato al personaggio.

La trama di Il Figlio Di King Kong

Il Figlio Di King Kong è l’unico lungometraggio che prende la mitologia dell’iconico gorilla senza che quest’ultimo appaia. Il lungometraggio presenta infatti la seguente trama:

“Dopo il disastro compiuto da King Kong nella città di New York che ha portato il gorilla alla sua morte, Carl Denham è pieno di debiti e tutti gli abitanti vogliono la sua testa. Quando le cose peggiorano, Carl decide di fuggire e di intraprendere una vita come comandante di navi da trasporto, aiutato dal fidato capitano Englehorn. Durante il suo nuovo lavoro, Carl incontra Nils Helstrom, l’uomo che gli ha venduto la mappa di Skull Island e che afferma che al suo interno ci sia un tesoro nascosto. Tentato, Carl decide di riscattarsi tornando nella famosa isola, non sapendo che nel suo habitat c’è Kiko, un cucciolo della stessa specie di King Kong. Inoltre Nils ha un passato oscuro e le sue intenzioni non sono molto pacifiche…”

Il Figlio Di King Kong: la recensione del film

La recensione di Il Figlio Di King Kong

In quel periodo, la RKO, ancora più ambiziosa pensando alle possibili affluenze di pubblico, chiede a Ernest B. Schoedsack di espandere le possibilità di ulteriori target con l’aggiunta di scene comiche, in modo da ottenere un film che sia più adatto alle famiglie. Il regista approfitta di questa richiesta per esplorare nuovi orizzonti con le infinite possibilità che il cinema ha lanciato grazie al suo film precedente. Prima di continuare, bisogna stabilire questa cosa importante: sul piano visivo, il sequel non ha nulla da invidiare al suo predecessore. I combattimenti tra Kiko e gli altri animali della giungla, meno estremi per adattarsi alle dimensioni del cucciolo (tipo un Grizzly preistorico al posto del colossale T-Rex), sono dello stesso impressionante realismo e, essendo stati presentati solo 8 mesi dopo il primo capitolo, sono ancora una fonte di novità e di stupore. Anche gli umani si adattano splendidamente alle creature del film, con un montaggio perfetto. Se si pensa che il lungometraggio è stato realizzato con molta fretta, la stop motion di Willis O’Brien è ancora più sorprendente per l’ingegno e l’efficacia che sono rimasti decisamente invariati.

Tuttavia, nonostante l’opera sia stata fatta per cavalcare il successo del primo capitolo, Schoedsack sfrutta la richiesta dei produttori per adattarla ad una sperimentazione cinematografica ed inserendola, inaspettatamente, nelle scene d’azione del film. Kiko, essendo un cucciolo, viene presentato come una creatura adorabile e premurosa, così, durante i combattimenti, vengono inserite delle sequenze slapstick. Mentre Kiko combatte il già citato Grizzly, cercando di resistere ai morsi fatti alle sue spalle ricordando la potenza di suo padre, nel tentativo di liberarsi il cucciolo sbatte la testa: dopo il colpo, un primo piano si concentra su di lui che cerca di riprendere i sensi, con gli occhi che roteano come se il cucciolo stesse vedendo gli uccellini attorno alla sua testa rifacendosi ai cortometraggi di Walt Disney. Questa sperimentazione vuole unire l’epicità delle sequenze, create attraverso effetti profondamente realistici dell’epoca, con il cinema comico che si ispira sia alle opere mute che ai cartoni animati. Grazie all’impegno di O’Brien, l’espressività di Kiko è ancora più marcata, dimostrando agli spettatori che un animale può avere le stesse facce di un Buster Keaton mentre sta affrontando le avversità più strane. Inoltre, togliendo i combattimenti, le scene in cui Kiko cerca di interagire con gli umani sembrano anticipare le alchimie presenti nei film per famiglie che esploderanno molti anni dopo grazie al successo di E.T: L’Extraterrestre di Steven Spielberg.

Recensione - Il Figlio Di King Kong: il sequel di Ernest B Schoedsack

Il riscatto del Figlio di King Kong

Nel film viene dato maggior spazio al personaggio di Carl Denham, il quale vuole fuggire dalla sua vita sempre più problematica per iniziare qualcosa di nuovo, con le ombre del suo passato che sono pieni di sensi di colpa: è interessante il fatto che, più di una volta, Carl affermi che King Kong sia una vittima innocente che è stata uccisa dal suo ego che lo ha tentato a portarlo in città. Le parole di Carl sono la conferma che, seppur in maniera sottintesa, Ernest B. Schoedsack fosse dalla parte del mostro nell’opera precedente. Inoltre le scene in cui Kiko aiuta gli umani senza chiedere nulla in cambio, con Carl che sente il ricordo di King Kong che lo fissa nell’animo come se l’uomo debba qualcosa alla scimmia che ha portato alla morte, sono atipiche in un’epoca in cui i mostri sono principalmente delle creature da abbattere e di cui aver paura. Ovviamente è tutto più facile quando il mostro più feroce è fuori scena (King Kong non può manifestarsi in quanto deceduto) e quando un’altra sua versione è in forma di cucciolo e quindi crea empatia in maniera automatica verso lo spettatore, ma ciò crea comunque una visione inaspettata rispetto a come era stato presentato il padre di Kiko fino a quel momento.

Se l’arrivo di Kiko sembra essere la redenzione dello stesso Kong agli occhi del pubblico, è interessante notare che tutti i personaggi sono dei falliti in cerca di riscatto: Carl vuole rifarsi una vita dopo il disastro come regista di Hollywood, il capitano Englehorn vuole riprendersi dai guai causati dalla spedizione a Skull Island, mentre la new entry Hilda (interpretata da una bravissima Helen Mack) è in cerca di un nuovo viaggio dopo che ha perso tutto come artista di strada. Anche Nils Helstrom è un uomo che ha perso ogni cosa dopo le sue cattive azioni, ma diversamente dagli altri personaggi non impara mai dai propri errori e cerca sempre di ottenere tutto con l’inganno e con la forza. Anche qui è interessante notare che l’antagonista di un film di mostri è mostrato attraverso i mostri stessi, ma attraverso un personaggio umano con le stesse tentazioni del protagonista. Ernest B. Schoedsack da spazio ai falliti che però vivono di emozioni e di speranze. Una delle scene più belle è Carl che viene attratto dagli spettacoli di strada (momento in cui conosce Hilda) nonostante la visibile povertà di mezzi di questi ultimi, mostrando, tramite gli occhi di un artista (Carl) con cui Schoedsack condivide sempre momenti autobiografici, che tutti hanno qualcosa da esprimere anche se appaiono piccoli e con zero possibilità di successo. Determinati momenti sarebbero dovuti essere gestiti meglio a causa del ritmo un po’ sconclusionato, con le parti dell’isola che durano meno di scene nella civiltà, le quali a volte appaiono annacquate, ma il fascino che l’autore nutre per i personaggi viene compreso. Peccato inoltre per l’assenza degli indigeni, i quali appaiono in un’unica scena sbrigativa e la cui sorte non viene mostrata.

Il Figlio Di King Kong: la recensione del seguito

La sorpresa del Figlio Di King Kong

Attenzione: il resto della recensione contiene spoiler.

Tra tutti gli elementi che il lungometraggio contiene, è impossibile non menzionare il finale che si dimostra essere una grande sorpresa. Quando i protagonisti finalmente trovano il tesoro, Skull Island diviene vittima di un terremoto. Il disastro è talmente grave che l’intera isola affonda nel mare e Carl tenta di salvarsi arrampicandosi sulla cima della montagna insieme a Kiko. Il piccolo gorilla rimane incastrato in una buca ma, pur di salvare Carl, preferisce annegare sollevando quest’ultimo con la zampa più in alto che può. Stavolta la reincarnazione di King Kong non si arrampica per affermare la sua potenza, bensì per sfuggire alla morte e tenere fede all’amicizia con Carl. Eppure, nonostante la redenzione totale di un gorilla preistorico agli occhi del pubblico, Schoedsack distrugge i toni più leggeri mostrati fino a quel momento, sottolineando la tragedia dell’animale e facendolo morire, con tanto di Carl che non riesce a smettere di pensarci nell’ultima scena, nonostante il tesoro recuperato e l’inizio del riscatto da lui tanto ricercato. Un finale del genere è atipico non soltanto all’epoca, ma è una scelta che oggi Hollywood boccerebbe nella sceneggiatura dei blockbuster senza pensarci due volte, perché significherebbe chiedere troppo al grande pubblico, ma Schoedsack decide comunque di spiazzare tutti, perché sa nuovamente che non c’è posto per Kiko nella società moderna… esattamente come non c’era per il padre nel capitolo precedente, seppur suo figlio muoia attraverso un atto eroico.

Il Figlio Di King Kong è il risultato di una produzione realizzata in fretta e furia e non raggiunge i livelli del leggendario capostipite, ma si tratta comunque di un’opera piena di scene spettacolari, presentando sperimentazioni che anticiperanno decenni di cinema, nonché un finale coraggioso che risulta molto originale anche per il cinema americano contemporaneo. Tutti questi elementi rendono l’opera di Ernest B. Schoedsack un sequel estremamente sottovalutato che andrebbe riscoperto.

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Il Figlio Di King Kong: la recensione del film
Il Figlio Di King Kong
Il Figlio Di King Kong

Il Figlio Di King Kong è il sequel dell'originale King Kong ed il secondo film dedicato alla mitologia del personaggio.

Voto del redattore:

8 / 10

Data di rilascio:

22/12/1933

Regia:

Ernest B. Schoedsack

Cast:

Robert Armstrong, Helen Mack, John Marston, Frank Reicher, Victor Wong

Genere:

Monster movie, avventura, fantasy

PRO

Gli straordinari effetti speciali in stop motion
La caratterizzazione di Kiko
L’impostazioni innovative delle gag
Il finale inaspettato
La gestione del ritmo
Il mancato coinvolgimento degli indigeni a Skull Island