SCHEDA DEL FILM
Titolo del film: L’odore della notte
Genere: Noir, drammatico
Anno: 1998
Durata: 100 minuti
Regia: Claudio Caligari
Sceneggiatura: Claudio Caligari
Cast: Valerio Mastandrea, Marco Giallini, Giorgio Tirabassi, Alessia Fugardi, Little Tony
Fotografia: Maurizio Calvesi
Montaggio: Mauro Bonanni
Colonna Sonora: Pivio e Aldo De Scalzi
Paese di produzione: Italia
L’odore della notte è il secondo film di Claudio Caligari che, a 15 anni di distanza da Amore Tossico, torna dietro la macchina da presa per il lungometraggio che vede Valerio Mastandrea nei panni del protagonista, in un cast che comprende anche le presenze di Marco Giallini e Giorgio Tirabassi. A distanza di 25 anni dalla sua uscita, il film è tornato in sala in occasione di novembre 2023. Di seguito, la trama e la recensione di L’odore della notte di Claudio Caligari.Â
La trama di L’odore della notte di Claudio Caligari
Prima di considerare la recensione di L’odore della notte di Claudio Caligari, viene indicata innanzitutto la sua trama. Di seguito, la sinossi del film con Valerio Mastandrea:
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Remo Guerra, un giovane ancora in forza alla polizia, è il capo di un gruppo di rapinatori dell’estrema periferia romana specializzati nell’assalto ai quartieri alti. Ormai totalmente preso dalla sua dimensione illegale, Remo riesce a sviluppare una efficacissima tecnica criminale. La banda aggancia le vittime per strada, le segue in macchina ed entra in casa in un crescendo di modi sempre più duri e violenti. Così va avanti per tantissime rapine. E così la situazione prosegue, anche quando Remo lascia la polizia, che adesso lo può affrontare da nemico. Remo viene anche arrestato, ma una volta uscito riprende la vita di prima come se niente fosse successo. In realtà , a poco a poco, la ripetizione di quei gesti comincia a mostrare segni di stanchezza. In una rapina in un appartamento di alto livello, Remo si trova di fronte i rappresentanti di quei ‘poteri’ che formano il blocco della società e ne difendono l’esistenza. Remo sembra confusamente diventare consapevole dell’impossibilità di continuare.
La recensione di L’odore della notte: il “Taxi Driver italiano” di Claudio Caligari
Nonostante tre soli film diretti in carriera, che possono essere idealmente legati in un rapporto di trilogia, Claudio Caligari ha sempre reso netta la sua ideologia, più che la sua idea di cinema, basandosi su prodotti che – a suo dire – gli hanno salvato la vita e gli hanno permesso di non prendere quelle scelte che l’avrebbero portato a entrare nelle Brigate Rosse. L’odore della notte è un film che giunge in Italia in un periodo storico sicuramente molto delicato, in cui il nostro paese, orfano di quel blocco politico e ideologico che aveva accompagnato la storia italiana a partire dal secondo dopoguerra, si ritrova in un atteggiamento politico certamente confusionario, su cui si spianerà la strada al berlusconismo, un fenomeno sociale e culturale che, così come la Democrazia Cristiana che resta sullo sfondo durante tutto il film, definisce gran parte della storia della repubblica.Â
La Roma raccontata da Claudio Caligari è quella della borgata, in perenne caratterizzazione notturna, nell’atto del vagabondare di un protagonista: il senso della nouvelle vague, di cui il regista è rimasto affascinato fin da giovane, definisce l’azione di un allucinato Valerio Mastandrea, che sembra vestire i panni di un Travis Bickle che si confronta non con la metropoli decadente di matrice scorsesiana, quanto più con una città che non ha nulla da offrire, se non rapine e criminalità , al suo protagonista. Taxi Driver, che viene citato apertamente in due scene (quella dello specchio e quella del televisore che viene spinto volontariamente dal protagonista del film) è una base solida che si staglia sullo sfondo del lungometraggio, attraverso l’insonnia del protagonista e quella costante frenesia che alimenta la sua vita, a metà tra il desiderio carnale di criminalità e la voglia razionale di andare oltre quest’ultima. Eppure, accanto a queste derivazioni, si individua un atteggiamento rivoluzionario, quasi ribelle, da parte del regista che – così come i personaggi del suo film – si dimostra nient’altro che un anarchico rispetto alla classe dominante, la Democrazia Cristiana che viene spazzata via da un calcio, le immagini di Andreotti che vengono calpestate e il mondo dei ricchi che viene messo a soqquadro, affinché possa smuoversi finalmente dalla sua condizione di agiatezza.Â
Così, il film diventa, per certi versi, un anti-noir, rinunciando alla classica figura della donna e lasciando a Giorgio Tirabassi il ruolo dell’amico che tenta di portare Remo lontano da quella criminalità che avvolge e definisce la sua esistenza. Effettuando un’intelligentissima commistione tra il violento e il grottesco, Claudio Caligari attinge dall’immenso repertorio di genere poliziesco, citando addirittura The Great Train Robbery, ma non solo: il regista marca i pugni e i calci attraverso un sonoro volutamente esagerato nella sua forma, lasciando a Valerio Mastandrea un voice over paradossale, con una cadenza romana e quasi biascicante che tenta di definire, con termini talvolta forbiti, l’azione passo dopo passo. E ancora la scena che vede Valerio Giallini e Little Tony, in un cameo sicuramente memorabile, pone un punto di cesura all’interno della pellicola, che si affida spesso a un repertorio di musica popolare (Aida, Il cielo è sempre più blu, Shake Your Booty) nell’intento di rappresentare quel volgo da cui deriva l’ìdea di cinema di Claudio Caligari. Il film si conclude con i due colpi di pistola che il protagonista rivolge al pubblico: un intento sì dissacrante e ribelle, ma pienamente centrato rispetto all’idea di un autore fin troppo sottovalutato.Â