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#41TFF Recensione – Dance First: la vita di Samuel Beckett

Il film di chiusura del festival di San Sebastian, presentato fuori concorso al 41° TFF, è un resoconto introspettivo della storia di Samuel Beckett.
Dance First di James Marsh

SCHEDA DEL FILM

Titolo del film: Dance First
Genere: Biografico, Drammatico 
Anno: 2023
Durata: 100′ 
Regia: James Marsh 
Sceneggiatura: Neil Forsyth 
Cast: Gabriel Byrne, Fionn O’Shea, Aidan Gillen, Sandrine Bonnaire, Léonie Lojkine e Maxine Peake 
Fotografia: Antonio Paladino 
Montaggio: David Charap
Colonna Sonora: Sarah Bridge 
Paese di produzione: Regno Unito, Belgio e Ungheria 

Al Torino Film Festival 2023 arriva, tra i titoli della sezione Fuori Concorso, il film che in precedenza, solo qualche mese fa, ha chiuso il 71° Festival di San Sebastian: “Dance First” un biopic scritto da Neil Forysth e diretto da James Marsh (“Man on Wire”, 2008, “Project Nim”, 2011 “La Teoria del Tutto”, 2014 e “King of Thieves”, 2018) con protagonista l’attore Gabriel Byrne nei panni del famoso drammaturgo irlandese Samuel Beckett. Di seguito la trama e la recensione del film presentato al 41° TFF. 

La trama di “Dance First” di James Marsh 

Un viaggio attraverso la mente ed i ricordi del genio letterario Samuel Beckett (Gabriel Byrne), noto drammaturgo irlandese nato a Dublino nel 1906, padre assieme ad Eugène Ionesco, Arthur Adamov e Harold Pinter del cosiddetto Teatro dell’Assurdo che, lungo la sua vita ha affrontato parecchie difficoltà fin dall’infanzia, crescendo ed ampliando il suo bagaglio culturale e lavorativo tanto da aggiudicarsi nel 1969 il Premio Nobel per la Letteratura. Il film comincia proprio da qui, il momento in cui viene insignito di questo importante riconoscimento, una vittoria che scatena in lui emozioni contrastanti che lo portano a doversi confrontare con sé stesso attraverso un excursus del suo passato ed i suoi ricordi dai più felici ai più drammatici. 

Dance First di James Marsh

La recensione del film Fuori Concorso al 41° TFF 

Tutto parte da una famosa citazione dello stesso protagonista, Samuel Beckett: “Dance first, think later.”, una delle frasi più celebri della sua opera teatrale “Aspettando Godot” (1953), parole che in parte danno il titolo alla pellicola e finiscono per influenzare la visione del regista James Marsh. Il film fin dall’inizio utilizza molto una componente onirica, un persistente confronto tra Beckett ed il suo subconscio: i due, interpretati dallo stesso Byrne, devono decidere a chi poter donare i soldi ricevuti con il Nobel, ma qual è la persona giusta? Le scelte possono essere molteplici, la prima ipotesi pare essere proprio sua madre May (Lisa Dwyer Hogg), una donna con cui, però, il piccolo Samuel ha avuto diversi diverbi e difficoltà. La seconda persona che potrebbe meritare questo compenso è Lucia (Gráinne Good), la figlia di James Joyce (Aidan Gillen), un altro importante e famoso drammaturgo, scrittore e poeta irlandese, ma la ragazza è oramai da anni rinchiusa in un manicomio. Il pensiero ricade anche sulla sua dolce metà Suzanne Dechevaux-Dumesnil (Sandrine Bonnaire nel presente, Léonie Lojkine nel passato), una serie di personaggi e considerazioni che permettono all’autore di scaglionare la narrazione in diversi capitoli, affrontando uno per uno ed ogni possibile scelta. Infatti, la particolarità di questo biopic sta proprio nel strumentalizzare questo profondo discorso interiore, enfatizzarlo e renderlo parte integrante del racconto, il vero motore della storia. Una trovata perfettamente in linea con l’obiettivo dell’autore, il cineasta inglese riesce ad approfondire abbastanza il vissuto del suo protagonista mediante differenti espedienti narrativi, dalla fanciullezza alla vecchiaia. Il noto drammaturgo ha affrontato un percorso ricco di vicissitudini, alcune più formative mentre altre meno, ha raggiunto la notorietà non solo come scrittore in generale, ma anche più precisamente come poeta, traduttore e sceneggiatore. Un artista geniale e significativo che ha cambiato il mondo della letteratura, portando innovazioni e nuovi schemi da seguire, senza dimenticarsi del suo passato, ricordi che mostrano lungo la narrazione tutte le sue debolezze e fragilità. Per riuscire a restituire una certa tipologia di credibilità al proprio pubblico James Marsh ha dovuto selezionare l’attore perfetto per interpretare il ruolo: la scelta è ricaduta sul sottovalutato Gabriel Byrne, il quale riveste i panni della versione più anziana, quella che vive nel presente del film, mentre le scene ambientate nel passato sono interpretate da un ottimo Fionn O’Shea. Il resto del cast del film è composto da Maxine Peake, Robert Aramayo, Bronagh Gallagher, Barry O’Connor, e Caroline Boulton. 

Dopo la vittoria dell’Oscar per il documentario “Man on Wire” (2008), sulla storia di Philippe Petit, e le 5 candidature al medesimo premio del biopic “La Teoria del Tutto” (2014), lanciando la carriera di Eddie Redmayne vincitore dell’Academy Awards per la sua interpretazione del celebre scienziato Stephen Hawking (film presentato all’epoca proprio al Torino Film Festival), James Marsh torna a far parlare di sé con un altro film biografico ripercorrendo la vita di un altro illustre e particolarmente famoso uomo dalla molteplici sfaccettature, Beckett, lungo il suo percorso, ha affrontato diverse situazioni o momenti storici non indifferenti, come ad esempio la guerra e quando prese parte alla Resistenza durante il secondo conflitto mondiale. Inoltre, nonostante radici irlandesi, ha poi vissuto gran parte della sua vita a Parigi, in Francia, svolgendo molteplici lavori e spesso traducendo le sue stesse opere. Importante è il suo mentore James Joyce, fondamentale per la sua crescita professionale, ma anche le sue amicizie ed i primi amori, una serie di strade intraprese che hanno permesso lo sviluppo di un autore completo e rivoluzionario. Partendo da un resoconto piuttosto serio di stampo drammatico, Marsh, grazie all’ottimo lavoro di sceneggiatura di Neil Forysth, riesce ad inserire momenti più divertenti che umanizzano la figura di Beckett. Un aspetto che in parte risulta un pregio per il tipo di approfondimento, ma che a volte è quell’elemento che porta lo spettatore fuori dalla mera documentazione storica della vita dello scrittore irlandese. Una sorta di arma a doppio taglio che, probabilmente, non permette al film di ingranare e riuscire al meglio nella sua interezza, regalando, però, al pubblico una visione inedita che gioca con la sospensione dell’incredulità che risulta quantomeno originale. 

Dance First di James Marsh

La vita di Samuel Beckett 

Dance First” è un viaggio profondo tra le tappe ed i momenti più significativi e fondamentali della vita e della storia del famoso scrittore irlandese. Il racconto di un uomo semplice che ha dato vita ad opere e testi straordinari, completamente conscio di ogni suo fallimento che per via del suo carattere, figlio di un certo tipo di educazione, è molto introverso, inizialmente restio alle relazioni d’amore, che ha saputo crescere al fianco di una donna dal carattere forte, amandola e convivendo assieme a lei per molto tempo, ma senza rispettarla del tutto e fino in fondo. Samuel Beckett è stato e resta uno dei più grandi drammaturghi della storia, una personalità non così semplice da trasporre sul grande schermo, ma il regista riesce nell’intento di rendere il suo film accattivante, convincente ed allo stesso tempo capace di catturare lo sguardo dello spettatore attraverso una messa in scena perfettamente fruibile nonostante qualche difetto e differenti piani di lettura dell’opera. “Dance First” non sarà un capolavoro, ma senz’altro un film biografico che tenta e riesce a restituire al pubblico un prodotto audiovisivo diverso in un panorama cinematografico composto spesso, sfortunatamente, da innumerevoli copia e incolla. Insomma, la personale visione di uno degli scrittori più influenti ed importanti della storia da parte di un cineasta che, nonostante una carriera di alti e bassi, ha saputo portare sul grande schermo un racconto lineare e ben strutturato sfruttando e giocando con lo stato d’animo del protagonista, un genio consapevole di avere dei limiti che ha vissuto nel rimorso e nella speranza che l’aquilone, con cui giocava da piccolo con suo padre, potesse volare e restare in aria per sempre. 

Voto:
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