SCHEDA DEL FILM
Titolo del film: 1997: Fuga da New York
Genere: Azione, Thriller, Fantascienza
Anno: 1981
Durata: 99′
Regia: John Carpenter
Sceneggiatura: John Carpenter, Nick Castle
Cast: Kurt Russell, Lee Van Cleef, Isaac Hayes, Donald Pleasence, Ernest Borgnine, Adrienne Barbeau, Harry Dean Stanton
Fotografia: Dean Cundey
Montaggio: Todd Ramsay
Colonna Sonora: John Carpenter
Paese di produzione: Stati Uniti d’America
Arrivato al suo quinto lavoro, John Carpenter scrive e dirige un film cupo e distruttivo ma al tempo stesso dinamico e divertente. Ecco la recensione di 1997: Fuga da New York diretto da John Carpenter nel 1981.
La trama di 1997: Fuga da New York, diretto da John Carpenter
Di seguito la trama di 1997: Fuga da New York, l’esordio cinematografico del personaggio di Jena Plissken:Â
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Nel 1988, dopo che il crimine è aumentato del 400%, il governo degli Stati Uniti ha trasformato l’intera Manhattan in un carcere di massima sicurezza, in cui i reclusi, tutti condannati all’ergastolo, sono lasciati alla mercé di loro stessi. Nove anni dopo l’aereo presidenziale, diretto a un vertice di massima sicurezza e strategia militare mondiale, viene dirottato da una missione suicida dei terroristi del Fronte Americano di Liberazione Nazionale. Il presidente (Donald Pleasence) riesce a salvarsi eiettandosi con una capsula di salvataggio prima dell’impatto su Manhattan, ma viene immediatamente rapito. L’Alto commissario di polizia Hauk (Lee Van Cleef) decide allora di inviare Jena Plissken (Kurt Russell), ex eroe di guerra pluridecorato datosi al crimine, garantendogli la fedina penale pulita se riuscirà in 24 ore a riportare in salvo il Presidente con i suoi documenti segreti, fra cui un’audiocassetta su cui è registrato il suo discorso. Se però non ritornerà nel tempo stabilito morirà per l’esplosione di due microbombe iniettategli nel collo.
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La recensione di 1997: Fuga da New York, la nascita di un antieroe americano
Un futuro distopico dove la società moderna è letteralmente devastata dal crimine, una classe politica inadeguata che pensa solo al mero guadagno e un protagonista che viene tirato in ballo suo malgrado: 1997: Fuga da New York allarga il concetto già espresso da John Carpenter in Distretto 13 – Le brigate della morte, alzando al contempo la posta in gioco in un setting molto più ampio. Grazie al clamoroso successo di pubblico e critica di Halloween, l’autore americano poté finalmente girare il suo prototipo di blockbuster portando in scena un’idea che covava già da metà anni ’70; scritto in collaborazione col fido Nick Castle, che aveva già collaborato col regista nell’esordio cinematografico del truce Michael Myers, Carpenter mette in atto un film che alza l’asticella verso l’avventura e l’azione, con il classico messaggio politico di fondo che da sempre contraddistingue il pensiero del cineasta statunitense.
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Fuga da New York è un film anarchico tanto nelle idee quanto nella messa in scena, in un mix di fanta-thriller in salsa action (con una spruzzata di horror che non guasta mai), Carpenter costruisce l’archetipo perfetto del film d’azione muscolare anni ’80 senza scadere negli stereotipi del genere, proponendo al contempo qualcosa di nuovo pur estendendo le nozioni alla base di Distretto 13. In tal senso è emblematica la figura di Snake Plissken, da noi tradotto con un bieco Jena a causa della scarsa anglofonia del popolo italiano dell’epoca: il personaggio portato in scena da uno strepitoso Kurt Russell è l’ovvio sviluppo dell’antieroe già proposto da Carpenter in Distretto 13, quel Napoleone Wilson che, grazie al suo carisma e al suo naturale menefreghismo, rubava la scena a tutti. Plissken viene catapultato in una situazione più grande di lui e, suo malgrado, dovrà fare di necessità virtù; con poche linee di dialogo ma con una presenza scenica che parla per lui, l’iconico protagonista proposto da Carpenter e Castle è l’uomo giusto nel posto sbagliato, l’autentico modello dell’eroe d’azione che verrà più o meno estremizzato negli anni a venire da svariati attori come Sylvester Stallone, Arnold Schwarzenegger o lo stesso Bruce Willis nella saga di Die Hard. Generando inoltre cloni cinematografici nostrani (diretti da Sergio Martino e Enzo G. Castellari) a basso budget, che nonostante la buona volontà non raggiungono la stessa potenza filmica che Carpenter è riuscito a donare ad un’opera così monolitica.
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Tuttavia sarebbe ingiusto attribuire i meriti di Fuga da New York solamente al personaggio di Jena Plissken. Nonostante il granitico protagonista faccia la maggior parte del lavoro, è la messa in scena di un John Carpenter in forma smagliante a farla da padrona: girato quasi completamente in notturna nei resti di una St.Louis distrutta da un grave incendio, Carpenter dipinge un ritratto cupo e nichilistico di una Manhattan completamente ricostruita ad opera d’arte (con l’aiuto di un giovane effettista che risponde al nome di James Cameron), trasformando il simbolo del denaro e del potere americano per eccellenza in una discarica a cielo aperto, dove le bande dei freaks capitanati dal pugno di ferro del Duca (Isaac Hayes) scorrazzano indisturbate senza legge e senza ordine. Un ambiente ostile e senza regole dove il regista si diverte a citare l’amico George Romero (come nella sequenza della tavola calda) più e più volte, girando al contempo la sua idea di cinema; un mondo dove lo squallore e la lotta per la sopravvivenza sono il pane quotidiano di una società deflagrata dal motto “cane mangia cane” e dove persino le istituzioni sono descritte come assolutamente inadeguate e totalmente strafottenti. Il personaggio del commissario Hauk, in tal senso, è l’autentico simbolo di questo degrado sociopolitico, l’ottima performance del veterano Lee Van Cleef aiuta lo spettatore a far capire le intenzioni del bieco comandante di polizia, a cui non importa un fico secco se Plissken viva o muoia, l’importante è avere indietro il presidente a qualsiasi costo. Un punto di vista che Carpenter enfatizza più volte con scambi di battute velenose e repentine tra i due protagonisti, eppure al netto di questo contrasto Hauk e Plissken sono le due facce della stessa medaglia: entrambi hanno una visione distorta della realtà nella quale il fine giustifica sempre i mezzi, John Carpenter li mette quasi sullo stesso livello dei criminali di Manhattan e, soprattutto, nello stesso calderone del crudele Duca. Bisogna portare a casa il risultato in qualsiasi modo: che sia per avere l’amnistia oppure per un’audiocassetta che cambierà il destino del mondo o ancora per pura malvagità , Carpenter disegna un triangolo dove i buoni e i cattivi sono messi sullo stesso piano in un ritratto autodistruttivo di un mondo allo sbando e che rispecchia, con quarantadue anni d’anticipo, l’epoca odierna in maniera cinica e tremendamente realistica.
1997: Fuga da New York, l’eredità di Jena Plissken
1997: Fuga da New York è l’ennesimo capolavoro di un regista che non sbaglia un colpo. Il quinto film scritto e diretto da John Carpenter è un perfetto fanta-action thriller in salsa politica che diverte ed intrattiene grazie al ritmo forsennato di una narrazione splendidamente trasposta da un team creativo in ottima forma. Un’opera innovativa che farà da apripista non solo ad un genere che sarà tanto in voga negli anni ’80, ma anche e soprattutto alla figura dell’antieroe per eccellenza, tutt’oggi parecchio sfruttata. La crudezza con la quale Plissken viene sbattuto in mezzo alla mischia, è la stessa con cui lo spettatore assiste ad uno spettacolo senza esclusione di colpi lungo quasi cento minuti: con rimandi al cinema horror di Romero, Carpenter dipinge il ritratto di un’America devastata da una classe politica inetta che governa blandamente un paese alla deriva, sullo sfondo di una prigione a cielo aperto immensa e piena zeppa di pericoli. Dove un (anti)eroe solitario dovrà fare la differenza non per patriottismo ma per puro istinto di sopravvivenza e, soprattutto, per convenienza personale. Fuga da New York regge il peso degli anni ed è ancora adesso uno dei film d’azione più importanti del secolo scorso, un’autentica opera d’arte che nella sua magnificenza ha ispirato vari autori a seguirne le orme, tra cui il giapponese Hideo Kojima che, grazie alla figura di Plissken, ha plasmato il suo Solid Snake nella leggendaria serie videoludica Metal Gear.