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One Piece, perchè il live action Netflix funziona?

Non è cosa da tutti i giorni che un adattamento di un anime (e di un manga) renda così bene sul piccolo schermo. Perchè questa volta è andata bene?
Perchè il live action di One Piece funziona

L’adattamento in live action di opere animate è sempre stato al centro di tantissime discussioni che, molto spesso, si traducono in una spaccatura netta tra pubblico e critica. L’esperimento, fatto per la prima volta dalla Disney e poi portato avanti da un numero sempre maggiore di case di produzione, ha visto migliaia di prodotti animati diventare “realtà” in pellicole e serie tv. A quasi un mese dall’uscita su Netflix della prima stagione di One Piece, sembra quasi scontata la necessità di parlare del motivo per cui la serie, nonostante le iniziali riserva da parte del pubblico prima dell’uscita degli episodi, sia stata capace di conquistare tutti in maniera indiscriminata, appassionati e non del mondo creato da Eiichirō Oda. One Piece è il manga giapponese che ha influenzato di più la cultura pop mondiale, tanto da essere innalzato a vero e proprio “classico” della serialità animata nel momento in cui è stato trasformato in un anime nel 1999. La vastità dell’opera sia su carta stampata (la prima uscita risale al 1997) che in animazione (il primo episodio pubblicato nel 1999) rende One Piece un prodotto complicatissimo da adattare e, soprattutto, di cui dettare i tempi e i ritmi.

One Piece perchè il live action funziona

One Piece, l’importanza di saper dettare i ritmi

 

Uno dei grandi difetti dell’anime è sempre stato il modo in cui tende a diluire eccessivamente la narrazione nel tentativo di raccontare per filo e per segno ciò che succede nel corso dei vari episodi. Nella serie tv, l’enorme materiale messo a disposizione ha spinto autori e showrunner a voler rendere la storia più adatta al medium utilizzato “sintetizzando” ciò che nell’anime viene raccontato in 45 episodi in 8 puntate da circa 45 minuti l’una. Il modo in cui si è deciso di adattare la storia (dalle origini fino alla caduta di Arlong Park) ha sicuramente giovato al ritmo generale del racconto che ne ha guadagnato di fascino e, soprattutto, di godibilità anche per i neofiti

 

Spesso, adattare un anime o un manga, è un lavoro molto più complesso anche rispetto ai videogiochi, definiti da molti la “bestia nera del cinema”. Uno degli elementi che mette maggiormente in difficoltà chi cerca di fare un’operazione di questa portata è l’essere costretto a dover adattare un tipo di scrittura prettamente occidentale (come quello della serialità mainstream) ad un modo di impostare storie e racconti tipicamente orientale molto più diluito e intrecciato. L’impostazione narrativa completamente diversa, rende la missione molto più complicata di quello che molti si possono aspettare. A differenza dei predecessori, One Piece è riuscito a centrare nel segno grazie alla volontà degli autori, non di replicarne la storia, ma di cercare di trasmetterne a pieno lo spirito.

Un live action che racconta l’anarchia dell’essere liberi

 

Fin dai primi secondi lo spettatore capisce quanto ciò che sta vedendo sia fedele nella poetica e nelle intenzioni presentando un mondo, come quello di One Piece, dove tutto può succedere e nulla è scontato. Non si cade mai nel tentativo di rendere iperrealistico un prodotto che ha come sua natura provenire della carta stampa ma, anzi, si tenta in tutti i modi di trasmettere la sensazione di surrealismo e finzione anche sul piccolo schermo. Lo si percepisce dai folli adattamenti di alcuni elementi caratteristici della narrazione (il lumacofono, ad esempio), dal modo in cui viene messo in scena il potere di Luffy o, semplicemente, per la costante aura di ottimismo e gioia che accompagna tutta la visione. A dare man forte c’è sicuramente un gruppo di attori protagonisti, tanto criticati all’annuncio dei casting, ma che sono totalmente immersi nei ruoli e riescono ad incarnare perfettamente il messaggio che ogni personaggio di One Piece cerca di trasmettere.

 
 
Perchè funziona il live action di One Piece

Senza alcun dubbio, ciò che fa funzionare la serie è anche la sua volontà di non volersi prendere sul serio. L’obiettivo è quello di raccontare la storia di un ragazzino, aspirante re dei pirati, che solo grazie alla sua forza di volontà e all’ottimismo che lo caratterizza, riesce a mettere insieme una ciurma non convenzionale e a perseguire il proprio sogno. One Piece rappresenta un modo di vedere la libertà totalmente anarchico, senza limiti, ma che ha come punto di riferimento l’importanza di avere una “famiglia” (di scelta, non biologica) su cui fare affidamento. La decisione di non riprodurre in larga scala tutte le follie che hanno sempre contraddistinto le ambientazioni di One Piece ha ripagato: ciò che ne viene fuori è un racconto originale e innovativo anche per gli appassionati che da decenni, ormai, seguono le avventure di Luffy e della sua ciurma. Insomma, nonostante quando si “traslochi” da un medium all’altro, molto spesso ci siano centinaia di scatoloni con su scritto “fragile”, a volte capita anche che qualcuno capisca il vero obiettivo di un adattamento.

One Piece, un adattamento che aggiunge nuove sfumature

 

All’uscita del primo trailer di One Piece era stato criticato il modo in cui molti elementi della messa in scena sembrassero “finti” in maniera quasi trash. In realtà, è nella finzione che la serie trova la propria forza di essere e di esistere. Molti personaggi del manga sono diventati iconici grazie alle loro stranezze e particolarità che sono state trasposte anche in live action. Ciò fa capire immediatamente allo spettatore di non trovarsi in un mondo reale ma in una storia e in un mondo che ha regole, peculiarità e modi di vivere totalmente diversi. One Piece ha saputo fare del surrealismo e dell’assurdità del suo materiale originale il suo punto di forza senza cadere nel rischio della replica statica e senza anima. Ciò non mette in secondo piano la capacità degli autori e del team di produzione (che ha avuto il lasciapassare di Oda per ogni cosa) di raccontare e, addirittura, migliorare delle leggerezze commesse all’interno dell’anime poiché destinato ad un pubblico molto più ristretto. L’inquietante presentazione di Bagy (interpretato da un bravissimo Jeff Ward) o il sacrificio di Zeff per salvare Sanji, sono solo alcune delle sfumature “oscure” inserite all’interno del live action e che, nell’anime, erano state totalmente scavalcate.

 

 

É da qui che si comprende come il live action, a differenza dell’opera animata, abbia come obiettivo principale un pubblico molto più vasto e che ha al suo interno spettatori appartenenti a fasce differenti di età. Il modo in cui è stata attenuata la natura quasi infantile di ogni personaggio, accentuando il peso delle loro responsabilità e traumi, conferma il reale lavoro di scrittura e di adattamento fatto intorno alla serie. Sembrava quasi impossibile che ad un’opera così ricca potesse essere aggiunto qualcosa. A ben 26 anni dall’uscita del primo numero del manga si può dire che One Piece, nonostante il tempo che passa, continua ad avere tanto da dire e il live action è solo l’ennesima conferma.