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Recensione – Alì, il Biopic di Michael Mann con Will Smith protagonista

Alì è uno dei film meno apprezzati di Michael Mann, ma è davvero un’opera minore?
Il film del 2001 di Michael Mann, Alì

SCHEDA DEL FILM

Titolo del film: Alì
Genere: Biografico, sportivo, drammatico
Anno: 2001
Durata: 159 min/165 min Director’s Cut
Regia: Micheal Mann
Sceneggiatura: Michael Mann, Stephen J. Rivele, Christopher Wilkinson, Eric Roth

Cast: Will Smith, Jamie Foxx, Jon Voight, Mario Van Peebles, Jeffrey Wright, Jada Pinkett Smith, Giancarlo Esposito
Fotografia: Emmanuel Lubezki
Montaggio: William Goldenberg, Lynzee Klingman, Stephen E. Rivkin, Stuart Waks
Colonna Sonora: Lisa Gerrard, Pieter Bourke
Paese di produzione: Stati Uniti d’America

La retrospettiva sul cinema di Michael Mann continua con la recensione di Alì, Biopic diretto dal regista di Chicago nel 2001 e che vede Will Smith nei panni di Muhammad Alì. Di seguito, ecco trama e recensione di Alì.

La trama di Alì, il settimo lungometraggio diretto da Michael Mann

Come da prassi, prima di addentrarci nell’analisi del film, è giusto spendere due parole sulla trama che, in questo caso, è Storia con la S maiuscola. Alì è infatti un Biopic – il primo nella carriera di Michael Mann, cui farà poi seguito Nemico Pubblico – incentrato sulla vita di Muhammad Alì, pugile e icona sportiva. Il film racconta la sua vita, sportiva e privata, a partire dal 1964 e dal match in cui l’allora Cassius Clay vinse il titolo mondiale contro Sonny Liston fino al 1974, quando riconquista la cintura come Muhammad Alì contro George Foreman nello storico incontro di Kinshasa.

Il film diretto nel 2001 da Michael Mann, Alì

La recensione di Alì: un Biopic avanguardistico

È il 2001. La ormai ventennale carriera di Michael Mann, iniziata con Strade Violente, lo ha portato a dirigere Manhunter, L’ultimo dei Mohicani, il film della consacrazione con Heat – La Sfida e poi, due anni prima, l’enorme Insider – Dietro la Verità. Ormai le aspettative sono alle stelle, Mann non si può considerare al 100% un regista Hollywoodiano ma si trova all’apice della sua carriera. E decide di dirigere Alì. Mettendo da parte per un attimo Blackhat – film del 2015 sottovalutato ma evidentemente un passo indietro rispetto al resto della sua filmografia – Alì è da tutti considerato come il passo falso della carriera di Mann. Un buon film, certo, ma non riuscito. Comprensibile, difficile però condividere. 

 

Sì perché Michael Mann ha sempre perseguito la sua idea di cinema e Alì non fa eccezione, nonostante abbia totalmente cambiato genere: d’altronde, due anni prima aveva girato un thriller d’inchiesta, prima ancora un poliziesco, un dramma storico, un thriller con tinte horror ed ora arriva un Biopic, per di più sportivo. Quella che dunque potrebbe superficialmente sembrare un’opera non nelle sue corde, si mostra invece come perfettamente in linea con il suo pensiero. Non è dunque la regia a dover essere oggetto di discussione – tolto Toro Scatenato, in quanti film il pugilato viene diretto con una mano così sapiente? – e neanche l’interpretazione di Will Smith, che fa il suo e che, se andiamo ad analizzare la sua carriera, grazie a Mann ha ottenuto il miglior ruolo della sua carriera. A far storcere il naso sembra dunque essere stata una combinazione tra tematica ed approccio alla storia.

 

Innanzitutto, il pugilato. Nonostante fosse certamente più in voga tra gli anni ’60 e ’70 rispetto ad oggi, non si può considerare di certo uno sport amato da tutti, soprattutto da un tipo di spettatore che in un Biopic cerca altro, come un racconto più intimo e scanzonato, per esempio. Ma poi, indubbiamente, il modo in cui Michael Mann decide di raccontare Muhammad Alì, ovvero in un modo mai davvero trattato fino a quel momento nel genere. Michael Mann è un regista umanista, che si innamora dei propri personaggi, delle loro storie, vite, dei loro successi, delle loro cadute e di come si sono rialzati, oppure caduti nel baratro. Muhammad Alì gli interessava più per l’icona che il pugile, ma si tratta anche di una figura talmente grande che è finita per mescolare le due cose. Mann non racconta passo per passo la sua vita, omette che il match del 1964 in cui Alì vinse il suo primo titolo fosse truccato e lo spettatore deve certamente prendere per buono il fatto che a farlo convertire all’Islam sia stato Malcolm X. Ciò che interessa al regista di Chicago è raccontare un mito, attraverso momenti della vita di Cassius Clay/Muhammad Alì che trascendono il concetto stesso di mito: dalla famosa frase, in piena guerra col Vietnam, che gli costò uno stop di 5 anni “non ho problemi con i Vietcong, nessun Vietcong mi ha mai chiamato ne**o” a “pungi come un’ape, vola come una farfalla” fino a “è difficile essere umili quando si è grandi come me”. Sapeva il fatto suo, Alì. Impossibile poi non pensare a quella che è, probabilmente, una delle foto più iconiche nella storia dello sport, quando mette K.O. Sonny Liston o il suo allenamento prima del match di Kinshasa.

 

Ecco, questo interessa a Michael Mann, che supera anche il concetto di coerenza narrativa per arrivare a toccare vette di epica che, nella storia del cinema, pochi sono riusciti a toccare come lui. Un regista che inoltre sfrutta gli avvenimenti che hanno avuto luogo nella Storia con la s maiuscola per raccontare la propria di storia, il suo punto di vista che è sempre presente fra le righe: sull’uomo, sul Vietnam, sugli Stati Uniti stessi. Tornando poi sulla questione di genere, ciò che sorprende è come Mann lo plasmi a suo piacimento intorno alla storia che desidera raccontare e non il contrario. Alì è un biopic avanguardistico proprio per questo, perché definirlo Biopic sportivo sarebbe limitante, perché qui dentro c’è il racconto storico come il drammatico. Si parla del più grande pugile della storia, ma il pugilato – nonostante sia ovviamente presente – diventa pretesto per parlare d’altro e finisce in secondo piano, a fare quasi solamente da sfondo ad un personaggio più grande di qualsiasi altra cosa. Questo Michael Mann lo sa perfettamente, persegue il suo pensiero e realizza un film eccezionale.

Voto:
4/5
Andrea Boggione
3.5/5
Christian D'Avanzo
4/5
Matteo Pelli
4/5
Vittorio Pigini
4/5
Giovanni Urgnani
3.5/5
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