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Recensione – Blackhat, il film di Michael Mann con Chris Hemsworth protagonista

Blackhat è forse il film meno apprezzato e citato di Michael Mann, ma è davvero così terribile?
Il film del 2015 di Michael Mann, Blackhat

Continua la retrospettiva sul cinema di Michael Mann con Blackhat, film diretto nel 2015 con protagonisti Chris Hemsworth e Tang Wei. In attesa di Ferrari – che sarà presentato in anteprima all’80esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia – è anche l’ultimo film diretto dal regista di Chicago. Di seguito, ecco trama e recensione di Blackhat.

La trama di Blackhat, il film di Michael Mann con Chris Hemsworth protagonista

Come sempre, prima di passare all’analisi del film, vanno spese due parole sulla trama, in questo caso più semplice che mai: Dopo che un attacco informatico ha messo fuori uso le pompe di raffreddamento della centrale nucleare di Chai Wan – a cui però non fa seguito nessuna rivendicazione politica – il Capitano Chen Dawai (Leehom Wang) viene incaricato di far luce sull’accaduto. Egli si avvale dell’aiuto della sorella Lien (Tang Wei) e si reca a Los Angeles, dove rivela all’agente speciale dell’FBI Carol Barrett (Viola Davis) che il codice RAT – Remote Access Tool – è stato scritto da lui e Nicholas Hathaway (Chris Hemsworth), che si trova in prigione ma che risulta fondamentale per risalire alla verità. Hathaway viene dunque scarcerato con l’accordo che, nel caso di successo della missione, la sua pena verrà condonata; viceversa, in caso di fallimento, tornerà a scontare la sua pena. 

 

La trama di Blackhat è tutta qui, con il gruppo capitanato da Chris Hemsworth che deve scoprire la verità sull’attacco alla centrale nucleare di Chai Wan e rivelare l’identità del criminale informatico che, nel frattempo, sta anche attaccando il mercato azionario.

Il film del 2015 di Michael Mann, Blackhat

La recensione di Blackhat: giù le mani da Michael Mann

A distanza di 6 anni dal precedente Nemico Pubblico, Michael Mann torna dietro la macchina da presa nel 2015 con Blackhat, che dal precedente lavoro su John Dillinger eredita il digitale, che qui esplode e la fa da padrone all’interno del film. Quando uscì, in pochi rimasero soddisfatti della visione e, a fronte di un budget da 70 milioni di dollari, Blackhat incassò solamente 19,4 milioni in tutto il mondo, attestandosi dunque come uno dei peggiori flop dell’anno e dell’intera carriera del regista di Chicago. Certo, se andassimo a paragonarlo con opere come Strade Violente, Insider – Dietro la Verità o Heat – La Sfida, è evidente come ne esca con le ossa rotte, ma quando si parla di registi come Michael Mann, mettersi a fare questo tipo di paragoni appare piuttosto sterile.

 

Nonostante possano esserci difetti tecnici infatti, concentrarsi su questo per l’analisi di un film ha sì senso, ma sembra portare anche ad un lavoro quasi matematico, privo d’anima, un’anima che invece è presente in ogni pellicola di Michael Mann. Sì perché chi conosce la sua ormai decennale filmografia – 10 film tra il 1983 e il 2015 – non potrà non rendersi conto di come Blackhat sia perfettamente in linea con lo stile e l’idea di cinema che Mann ha sempre avuto e che qui, con un uso massiccio del digitale, continua a portare avanti, prendendo sempre la strada più tortuosa e mai quella più semplice, del compitino, per poter innovare e mettersi in gioco sempre, anche a 72 anni – l’età che aveva quando ha diretto il film. 

 

Michael Mann è sempre stato un regista umanista, che si è sempre concentrato sull’anima dei propri personaggi al di là che essi fossero buoni o cattivi, eroi o villains, per poter scavare in profondità ed analizzare la natura umana. Blackhat non fa eccezione: il Nicholas Hathaway interpretato da Chris Hemsworth è già di per sé un protagonista ambiguo, un buono per necessità, che viene scarcerato per aiutare a combattere un cattivo con cui ha dei punti in comune. D’altronde, Sadak è un cattivo che, prima di essere mostrato in carne ed ossa, è nascosto, invisibile come un fantasma. Hathaway, che ha come nickname proprio Ghostface, ci viene invece mostrato immediatamente, ma finisce per diventare – o tentare di diventare – anch’esso un fantasma, in primis in quanto ricercato, ma poi proprio per riuscire a catturare lo stesso Sadak. 

 

Ciò che però lascia sempre senza fiato è il modo in cui Michael Mann gestisce gli ambienti. la cornice costruita intorno ai suoi personaggi è infatti sempre studiata alla perfezione, ma è quando scende in strada che Mann dà il meglio di sé ed in Blackhat la sensazione è che l’Asia sia fatta su misura per il suo cinema: lo sono probabilmente filosofia e cultura del posto, dove si tende sempre ad evitare di vedere le cose come bianche o nere, ma a concentrarsi sulle sfaccettature, che è esattamente quello che fa nel suo cinema. L’Asia viene dipinta come poche volte è stato fatto nel cinema occidentale – nonostante non sia neanche il punto centrale della pellicola – e non è un caso che nel 2022 Michael Mann abbia prodotto la serie tv Tokyo Vice, oltre ad averne diretto l’episodio pilota. Niente viene fatto per caso nel cinema di quello che resta uno dei più grandi registi di sempre e che finalmente, nel 2023, torna al cinema con Ferrari.

Voto:
3.5/5
Andrea Barone
3.5/5
Andrea Boggione
3.5/5
Christian D'Avanzo
3.5/5
Matteo Pelli
4/5
Giovanni Urgnani
4/5
0,0
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Voto del redattore:
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Genere:

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