Articolo pubblicato il 24 Marzo 2023 da Gabriele Maccauro
Presentato in anteprima alla 73esima edizione del Festival Internazionale del cinema di Berlino ed attualmente nelle sale italiane, Disco Boy è l’opera prima di Giacomo Abbruzzese, regista pugliese che aveva sì diretto dei cortometraggi e due documentari, ma che si trova qui a dirigere il suo primo vero lungometraggio. Il film ha inoltre ottenuto L’Orso D’Argento per il Miglior Contributo Artistico per la fotografia di Hélène Louvart.
La Trama Di Disco Boy, L’Opera Prima Di Giacomo Abbruzzese
Disco Boy segue la storia di Aleksei (Franz Rogowski), un giovane bielorusso che scappa dal suo paese col sogno di raggiungere la Francia. Una volta giunto a Parigi, privo di documenti e voglioso di crearsi una nuova vita ed un futuro, decide di entrare a far parte della Legione Straniera Francese, attirato principalmente dal fatto che ciò può consentirgli di ottenere un visto ed un passaporto di cui lui è sprovvisto. Dopo un estenuante addestramento, Aleksei verrà selezionato e mandato immediatamente in Niger, dove il suo destino si incrocerà con quello di Jomo (Morr Ndiaye), giovane a capo di un gruppo armato sul Delta del Niger, che ha l’obiettivo di difendere e salvare il proprio villaggio dallo sfruttamento delle compagnie petrolifere. Jomo ha anche una sorella, Udoka (Laetitia Ky), che invece desidera solamente fuggire da quel paese. Il motivo per cui Aleksei viene mandato in Niger è molto semplice: Jomo ed il suo gruppo hanno rapito dei cittadini francesi ed Aleksei, insieme ai suoi compagni della Legione Straniera, ha il compito di salvarli.

La Recensione Di Disco Boy: Emulazione O Tributo?
Che Disco Boy sia un’opera derivativa, non è davvero in dubbio. Ma quando ciò diventa un difetto? Quando si supera il limite del citazionismo e l’opera diventa una mera emulazione di opere altrui? Si è detto molto di Disco Boy, sottolineando l’incredibile somiglianza che l’opera prima di Giacomo Abbruzzese ha rispetto al mondo onirico di Nicolas Winding Refn, eppure questa somiglianza non la si nota in maniera così netta se non nella seconda parte del film, dove però il citazionismo Refniano non si limita al solo The Neon Demon – richiamato dalla fotografia, dalle luci al neon, dalle scene in discoteca e, soprattutto, dalla colonna sonora di Vitalic che richiama quella capolavoro di Cliff Martinez – ma si allarga, richiamando anche le sue prime opere, dove quelle riprese camera a mano che seguono, quasi rincorrono Aleksei (Franz Rogowski), richiamano molto anche il Pusher di ormai quasi 30 anni fa che lanciò la carriera del regista danese.
C’è però un’intera ora dall’inizio del film in cui il vero punto di riferimento è certamente Apocalypse Now di Francis Ford Coppola e dove, volendo, nell’estenuante addestramento della Legione Straniera Francese, possiamo rivedere addirittura il Full Metal Jacket di Stanley Kubrick. Il citazionismo non si limita dunque a Refn ma anzi, va a toccare autori ancor più grandi, quasi inarrivabili, giganti della storia del cinema che, con queste opere, hanno contribuito attivamente a scrivere la storia della settima arte. Tutto questo potrà certamente far storcere il naso a molti ma Abbruzzese non vuole copiare, non tocca mostri sacri perchè incapace di dare una propria impronta al film. Al contrario, Abbruzzese riesce comunque a mantenere una propria identità, a rendere il film un’opera d’autore, riconoscibile. Certo, non sempre ci riesce, non si tratta assolutamente di un film perfetto ed è inevitabile il richiamo soprattutto a Refn nella seconda metà del film, ma è un film di Abbruzzese. Il film di un regista italiano che sa bene cosa gli piace e sfrutta il suo gusto per trasporre in pellicola la propria idea di film, che mette molta carne al fuoco e tocca tematiche importanti come il colonialismo, l’emigrazione, ma anche l’identità e la perdita della stessa, di come la guerra quasi rubi l’anima ad un uomo come Aleksei che, giungendo in Francia sperava di potersi creare un futuro migliore ma che, una volta tornato dalla sua spedizione in Niger, si sente vuoto, sperduto in un mondo che sperava fosse diverso.
Un po’ come il ruolo della musica in un film come Il Pianista di Roman Polanski, qui la danza ha un ruolo cruciale, ballare porta il nostro protagonista ad estraniarsi dalla realtà, fermando il tempo ed entrando in un mondo onirico dove sentirsi davvero, finalmente, libero e dove sembra quasi fondersi con la figura di Jomo (Morr Ndiaye), diventando un tutt’uno, come fosse anche un inno all’uguaglianza. Disco Boy è un film potente, straniante anche per alcune scelte stilistiche – basti pensare a quella lotta al centro del film, come ne fosse il cuore, dove le riprese sono fatte con visori termici – e certamente ambizioso. Inciampa, a tratti esagera, ma è vivo, è cinema. Tutto il resto conta, si può discutere ma non può essere fondamentale, non può essere così decisivo da portare ad una stroncatura, perchè l’esperienza della sala regala 90 minuti di vero cinema. L’occhio critico aiuta certamente a comprendere meglio il prodotto che si ha davanti ma, ogni tanto, sembra poter addirittura depotenziare la critica stessa dell’opera, facendo mettere da parte il trasporto che la visione in sala ci dà. Ciò non toglie che il film possa piacere o meno, non è perfetto e di questo si può discutere in eterno, ma si tratta anche dell’opera di un regista italiano, un regista ambizioso, che ha ben chiaro cosa vuole fare e come raccontarlo e che ora attendiamo al varco con il suo prossimo lavoro.
La Stella Di Franz Rogowski
Se esiste poi un aspetto di Disco Boy che sembra davvero indiscutibile, è l’interpretazione del suo protagonista, che merita certamente un paragrafo a parte. Franz Rogowski è un attore eccezionale, uno dei migliori della sua generazione e che, da ormai quasi 10 anni, dimostra il suo grande talento. Un talento emerso inizialmente col meraviglioso Victoria di Sebastian Schipper che lo portò, due anni dopo, a collaborare con un maestro come Michael Haneke per Happy End e, in seguito, con Christian Petzold in La Donna Dello Scrittore e Undine e soprattutto con Terrence Malick nel suo La Vita Nascosta. Si dimostra dunque un talento internazionale, che parla la lingua del cinema e non conosce confini territoriali, come spesso accade con gli attori ed a cui va aggiunta anche la collaborazione con Gabriele Mainetti nel suo Freaks Out.
Quella con Giacomo Abbruzzese è dunque la sua seconda collaborazione italiana perchè, nonostante Disco Boy sia una co-produzione tra Italia, Francia, Belgio e Polonia ed il suo regista viva proprio tra Italia e Francia, Giacomo Abbruzzese resta comunque un regista nostrano, che dobbiamo tenerci stretto. Con Disco Boy, Franz Rogowski ha dato l’ennesima dimostrazione di essere un grande attore, versatile, che sembra saper anche scegliere bene le opere a cui prendere parte e di cui attendiamo soltanto la definitiva consacrazione mondiale, che l’attore classe 1986 di Friburgo In Brisgovia si sta meritando a suon di grandi interpretazioni.