Articolo pubblicato il 14 Maggio 2025 da Andrea Barone
La prima stagione di Andor è considerata da molti uno dei capitoli di Star Wars più belli mai fatti e c’è addirittura chi sostiene che sia la migliore serie mai realizzata sull’universo di George Lucas. Il progetto è stato inizialmente concepito come una serie divisa in cinque stagioni, ma a causa del basso numero di ascolti nonostante le lodi della critica, la seconda stagione è stata convertita in quella finale, tagliando quindi numerosi archi narrativi originariamente previsti. Ciò nonostante lo showrunner Tony Gillroy sarà riuscito a realizzare qualcosa che sia all’altezza delle precedenti puntate? A seguire la recensione completa della seconda stagione di Star Wars, con gli episodi attualmente disponibili sulla piattaforma streaming Disney Plus.
La trama della seconda stagione di Andor
Andor è una serie che fa parte dell’universo condiviso di Star Wars ed è ambientata dopo gli eventi di Star Wars – Episodio III: La Vendetta Dei Sith. L’opera infatti racconta com’è nata la ribellione che porterà alle vicende di Rogue One: A Star Wars Story, lungometraggio del quale la serie è uno spin-off, avendo come protagonista Cassian Andor prima del famigerato incontro con Jyn Erso (il personaggio che nel film di Gareth Edwards aiuterà a prendere le informazioni sulla Morte Nera che porteranno all’inizio di Star Wars – Episodio IV: Una Nuova Speranza). La seconda stagione di Andor è ambientata diverso tempo dopo che l’omonimo protagonista si è unito alla ribellione e presenta infatti la seguente trama:
Cassian Andor è in missione per recuperare dell’importante materiale che possa portare aiuto alla ribellione che è lentamente iniziata per poter rovesciare il governo del tiranno Palpatine, ma le cose si fanno più difficili del previsto quando il noto latitante entra in contatto con altri ribelli che sembrano molto meno amichevoli e molto più disperati. Nel frattempo Bix è su un pianeta chiamato Mina-Rau mentre attende il ritorno di Cassian, ma quest’ultimo dovrà sbrigarsi perché proprio su quel pianeta l’impero comincia il censimento, cosa che potrebbe portare a farla scoprire. Le cose però peggiorano, perché il governatore Krennic ha chiesto una riunione per decidere del destino di Ghorman, un pianeta entrato sotto l’occhio di Palpatine a causa delle sue risorse. Luthen Rael, l’uomo che ha iniziato la Ribellione, deve sbrigarsi a capire che cosa vuole l’impero per evitare una strage, avvisando Cassian e tutti gli altri alleati, tra cui la senatrice Mon Mothma.

La recensione della seconda stagione di Andor
La prima stagione di Andor ha colpito moltissimo la critica perché ha inserito l’universo di Star Wars in un contesto molto più cupo e realistico, cercando di trattare i personaggi protagonisti come delle persone che cercano di contrastare, dall’interno dei sistema, una dittatura che non lascia via di scampo a nessuno, richiamando gli avvenimenti più crudeli della storia dell’uomo. L’inizio del pilot della seconda stagione infatti sottolinea questo dalla prima azione in cui si vede il protagonista nel bel mezzo di un’azione spettacolare che però viene ostacolata dal fatto che lui stesso non è capace di pilotare un’astronave, poiché il modello del veicolo è avanzato rispetto ai comandi con i quali è abituato. Tuttavia, dopo un inizio spiazzante in senso buono, i problemi cominciano ad arrivare nel momento in cui Andor rimane bloccato da un misterioso gruppo di ribelli che litigano tra loro, con la cosa che viene dilungata per ben tre puntate. Uno degli intenti di Tony Gillroy è infatti quello di dimostrare che una ribellione, seppur mossa da buoni propositi, non è guidata da figure straordinarie, bensì da uomini fallibili ed anche insicuri. Per questo i ribelli di Star Wars, diversamente da come sono presentati al cinema, sono divisi in varie fazioni che operano secondo strategie e pensieri diversi. Il problema è che nessuna fazione al di fuori di quella che già si conosce è realmente approfondita, tra cui soprattutto quella capitanata da Saw Gerrera, il quale ha alcuni bei momenti che però rimangono fini a sé stessi perché non sembrano connettersi al resto delle vicende degli altri individui presenti nella storia. Purtroppo si nota che la serie sarebbe dovuta essere molto più lunga e ci sono delle trovate narrative che sono fortemente compresse per velocizzare la narrazione, come per esempio il rapporto tra Dedra e Syril: dopo un’eccellente tensione sessuale mostrata nella prima stagione, in questa seconda il loro distacco causato dall’ossessione per l’Impero viene presentato solo nelle prime puntate per poi essere sacrificato per colpa dei salti temporali. Anche la loro linea sottile tra umanità e ambizione viene quasi completamente cancellata e viene fuori solo nelle ultime scene a loro dedicate.
Inoltre il duo controverso non è l’unico elemento che viene spaventosamente depotenziato rispetto alle premesse iniziali: nella prima stagione il personaggio di Mon Mothma funzionava perché si vedeva una donna di potere mettere a repentaglio tutta la sua vita e c’era l’ansia che venisse scoperta mentre cercava disperatamente di non distruggere dei rapporti privati già compromessi. Il suo disinteressato marito e sua figlia, offerta in sposa ad una famiglia semplicemente per ottenere finanziamenti per la ribellione, vengono nuovamente presentati per mostrare il disagio di Mothma, ma nei successivi atti non si vedrà mai più la senatrice in loro compagnia, non si saprà quali conseguenze private abbia portato la sua decisione di essere una ribelle (non basta un’inquadratura nel finale per giustificare un’assenza di 9 episodi) e di quanto abbia inciso psicologicamente in lei, rendendo i rapporti mostrati nella prima stagione quasi completamente inutili. Il discorso in senato è probabilmente destinato ad essere ricordato come uno dei momenti più belli di tutta la saga di Star Wars ed effettivamente è d’impatto, ma non basta a risollevare un personaggio che viene spesso sacrificato a causa dell’assenza di un costrutto vero e proprio per quegli atti che vengono saltati. L’altra cosa inspiegabile è che, nonostante la serie vada di fretta per arrivare allo scoppio della ribellione, paradossalmente spesso perda tempo dilungandosi in parti profondamente annacquate: una su tutti il trauma di Bix Caleen nell’essere stata violentata, il quale viene risolto con un espediente talmente sbrigativo che fa credere allo spettatore che il personaggio abbia passato giorni a rimanere bloccato a causa di una cosa che poteva essere cancellata con una soluzione semplice (e dato il tema tanto delicato lo scivolone è anche grosso).

La recensione della stagione finale di Andor
Se Andor è una serie corale, ci si aspetta comunque un maggior coinvolgimento da parte del protagonista che dà il nome all’opera. Il fascino del personaggio deriva dal fatto che si tratti di un uomo che è abituato a scappare per tutta la vita e che, con il passare dei giorni, entri nella consapevolezza che dovunque vada la dittatura dell’impero lo colpirà comunque, cosa che lo trasformerà in un uomo altruista che crede nella Ribellione. Nella seconda stagione questa figura non sembra avere più nulla da dire, anzi, i tormenti interiori della paura di agire appaiono particolarmente fastidiosi perché sembrano una regressione del suo stato d’animo rispetto a quello visto in precedenza. Con la mancanza di una scrittura sviluppata, Cassian Andor si trasforma semplicemente in un mezzo affinché gli eventi della Ribellione proseguano, senza che questi possano evolvere in qualcosa che abbia un reale impatto su di lui, salvo alcuni dialoghi interessanti. La parte più lodevole di tutta la serie è sicuramente la trattazione del pianeta Ghorman, uno dei pochissimi elementi narrativi che vengono sviluppati senza che si senta l’eccessiva velocità delle vicende, specialmente la puntata riguardante l’attuazione del piano dell’Impero, attraverso cui quest’ultimo mostra tutta la sua natura nazista, creando forse la più grande tragedia che si sia vista nell’universo di George Lucas dopo l’uccisione dei bambini in Episodio III. La strage programmata in modo freddo dai politici ricalca in maniera perfetta ciò che si legge nei libri di storia, mostrando quanto gli eventi di Star Wars, pur essendo ricche di avventura, siano delle vicende umane in un modo di fantasia.
Tuttavia, al di là del fatto che gli ottimi tocchi politici non coprano i vuoti lasciati dai personaggi poco caratterizzati, la grande ambizione della serie si trasforma in un’eccessiva pretesa di autorialità che viene causata dalla mancanza di figure che richiamino alla mitologia di Star Wars. Sicuramente non mancano alcuni personaggi che ritornano da Rogue One: A Star Wars Story e l’assenza di Darth Vader, per quanto strana, può ancora essere giustificata. Negli ultimi tempi è una tendenza cinefila pensare che il riutilizzo di personaggi iconici in una saga che va avanti da anni sia fanservice gratuito per graziare i fan, come nella criticabile scena in cui Qui-Gon appare nella serie di Obi-Wan Kenobi soltanto per pochi secondi. Tuttavia si sta creando un’insistente antipatia a prescindere per questo elemento, perché il ritorno di un personaggio “vecchia scuola” non è una cosa negativa se quest’ultima viene utilizzata per coerenza narrativa o semplicemente per arricchire l’approfondimento della storia e dei personaggi. Quindi la domanda che sorge spontanea è: per quale motivo manca l’Imperatore Palpatine in una serie che racconta la nascita della ribellione di Star Wars? E qui non si tratta dell’assenza di un’apparizione simile a quella Darth Vader nel finale di Rogue One: A Star Wars Story (che comunque è una delle scene più amate di tutto Star Wars, cosa che conferma l’affermazione di prima), bensì di una figura che dovrebbe muovere i fili di tutto ciò che accade negli eventi di Andor. Passi l’assenza nella prima stagione, ma quando la serie sta raggiungendo il climax finale, specialmente quando la sovversione arriva persino in senato, non ha alcun senso escluderlo se non nell’assoluta presunzione di voler fare apparire la serie “artisticamente superiore“, come se improvvisamente la responsabilità di voler dare vita ad un pezzo mai raccontato nel mondo di Star Wars fosse diventata leggera, cosa che già si avvertiva in scene anticlimatiche che tradiscono il ritmo ogni volta che l’azione comincia a farsi realmente presente.

Due episodi straordinari e alcuni ottimi momenti che ricordano la grande penna di Tony Gilroy non bastano a salvare la seconda stagione di Andor, la quale è estremamente inferiore alla precedente a causa di eventi raccontati con fretta eccessiva, di personaggi poco approfonditi a dispetto delle loro reali potenzialità e soprattutto del cortocircuito che si crea nel voler espandere la mitologia di Star Wars per poi volerla sacrificare allo stesso tempo in nome di un’autorialità che stavolta diviene stucchevole.