The Other Side: un horror trito e ritrito

Articolo pubblicato il 7 Luglio 2022 da Paolo Innocenti

“The Other Side”, film d’esordio dei registi Tord Danielsson e Oskar Mellander, è stato campione d’incassi in Svezia, per poi arrivare nelle sale italiane sommessamente, nel Giugno del 2022.

La trama risulta fra le più viste di sempre: una famiglia, composta da padre con nuova compagna e un figlio avuto dalla precedente relazione, si trasferisce in una casa tranquilla e nella vegetazione, per poi rendersi conto che la notte si manifestino degli spiriti sovrannaturali, pronti a scagliarsi contro il piccolo Lucas. Va da sé che il padre, sempre fuori per lavoro, non ci creda, dando ogni colpa alla propria fidanzata. Partiamo dal presupposto che a me non interessa quante volte venga raccontata una storia, ma come la si racconti. Seppur si possano apprezzare le intenzioni dei registi, si noti che l’ambientazione risulti affascinante e inquietante, tutto ciò non basta per rendere il film riuscito, o per meglio dire spaventoso.

Tralasciamo il fatto che anche questa dovrebbe essere una storia vera, soffermandoci sul film. L’idea che lo spettatore può farsi, lampante e chiara, è che i registi non sappiano dove andare a parare. Se i primi due atti giocano con la solita sequela di jumpscares inutili, ridondanti, effimeri e spesso accompagnati da una cgi discutibile, il terzo atto tenta di osare soffermandosi sull’horror autoriale alla “Babadook”, copiandone intere sequenze e spunti, ma senza avere la forza e la carica per potergli anche lontanamente assomigliargli. Il brusco e repentino cambio di rotta, da un registro più commerciale che guardasse alla saga di “The Conjuring”, o a “Nightmare Nuovo Incubo”, al netto taglio d’autore che si rifaccia ad una storia dove l’horror sia metafora per esprimere uno stato di malessere o di mancanza di autostima, risulta fra le cose più raffazzonate che si potessero trovare.

 

Certo, non è un film orribile come siamo stati abituati a vedere negli ultimi anni, però si immerge nella propria mediocrità sin da subito, nonostante si noti il desiderio di voler osare, senza riuscirci. Le derive cinematografiche prendono il sopravvento senza però che il film in sé abbia una propria identità precisa. Il terzo atto, quasi ridicolo nel suo tentar di imitare altro cinema, si distrugge totalmente con una sequenza conclusiva talmente raffazzonata e sbrigativa che si fa fatica a comprendere. 

Non sto qua a dire quanto ancora oggi in questi horror si abusi di alcuni cliché del tutto evitabili. Prossimo scopo degli sceneggiatori? Insegnare ai personaggi ad accendere le luci.

P.S. Ridatemi James Wan.

 

 

 

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