Articolo pubblicato il 14 Gennaio 2024 da Bruno Santini
La recensione di Tatjana, film in bianco e nero diretto dal regista finlandese Aki Kaurismäki nel 1994. Di seguito, trama e recensione dell’opera.
La trama di Tatjana, diretto da Aki Kaurismäki
Difficile parlare di un film così breve e scarno di dialoghi e soluzioni registiche ma, in ogni caso, prima della recensione è bene parlare velocemente della trama di Tatjana. Il film del 1994 di Aki Kaurismäki – ma ambientato negli anni ’60 – segue le vicende di Valto e Reino, un sarto ed un meccanico che, dopo aver conosciuto l’estone Tatjana e la sua amica russa Klavdia, entrambe dirette a Helsinki. Decidono dunque di accompagnarle, dando vita ad un road movie che non spicca per colpi di scena ma che, grazie soprattutto ai soli 60 minuti di durata, riesce comunque a non annoiare lo spettatore.

La recensione di Tatjana: il passo falso di Aki Kaurismäki
Nel 1994, Aki Kaurismäki non aveva forse raggiunto la fama che in seguito lo porterà a trionfare anche al Festival di Cannes, ma era un regista con alle spalle ben 9 lungometraggi, alcuni dei quali fondamentali per comprendere appieno lo stile e la carriera di questo grande artista finlandese: dalla trilogia dei perdenti (Ombre nel Passato, Ariel e La Fiammiferaia) ai lavori con i Leningrad Cowboys (non solo lungometraggi dunque, ma anche cortometraggi), passando per Ho Affittato un Killer e Vita da Bohème, Kaurismäki ha sempre dato l’idea di avere bene a mente ciò che desiderava raccontare attraverso le proprie opere. Questo almeno, fino a Tatjana.
Nonostante la durata esigua – solamente 60 minuti – con Tatjana si ha l’impressione che, per una volta, Aki Kaurismäki abbia tentato di fare un passo avanti, di diventare in un certo senso anche citazionista, un passo però più lungo della gamba e che ha tarpato le ali alla sua fantasia. Sì perché gli stilemi del suo cinema ci sono tutti: opere sociali, in grado di scavare in profondità nell’animo di un paese ferito e nel cuore dei suoi protagonisti, persone umili che però, spesso e volentieri, erano anche portatori di tutti quei luoghi comuni che – secondo lo stesso Kaurismäki – ci sono nei confronti dei finlandesi, il più delle volte arrivando anche a confermarli. In Tatjana tutto questo è presente, ma quindi perché il film non funziona fino in fondo?
Tatjana è innanzitutto un chiaro tentativo di avvicinarsi al cinema di Ingmar Bergman – ecco perché il citazionismo – soprattutto per il modo in cui vengono utilizzati il silenzio ed il bianco e nero, come anche la costruzione delle immagini, alle volte solenni, che qui risultano più che altro pesanti se non – per fortuna non così spesso – noiose, perché il tutto non viene dosato alla perfezione e, non facendolo, lo spettatore rischia così di annoiarsi, non capendone il fine ultimo. Certo, lo stile resta comunque quello tipico di Kaurismäki, ci sono dei momenti degni del suo miglior cinema (momenti drammatici come comici, con tocchi punk ed anarchici) che riescono a compensare e rendere comunque piacevole il film, ma la sensazione è di un’opera riuscita a metà. Non si può però parlare di fallimento perché, considerandone anche la durata, è chiaro che sia stato quasi più un esperimento che altro e del cui risultato egli stesso si è reso conto, arrivando a non replicare più opere di questo tipo ed anzi, andando a centrare sempre più il proprio stile, divenendo il grande regista che tutti noi conosciamo. Tatjana è dunque un film da recuperare solamente se si ama Kaurismäki e si vuole avere una visione d’insieme su tutta la sua carriera.