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Recensione – Ho affittato un killer: il film di Aki Kaurismaki nella Londra di Margaret Thatcher

Uno dei film più celebri della filmografia di Aki Kaurismaki, Ho affittato un killer è uno sguardo sulla Londra Thatcheriana nel simil-noir del regista finlandese.
Recensione - Ho affittato un killer: il film di Aki Kaurismaki nella Londra di Margaret Thatcher

Ho affitato un killer (I Hired a Contract Killer) è un film di Aki Kaurismaki datato 1990, in cui il regista finlandese si confronta per la prima volta con un atteggiamento che fuoriesce dal contesto finlandese e che si affaccia al mondo Occidentale, in particolar modo quello della Londra di Margaret Thatcher e di un Regno Unito che subisce gli effetti della politica della Iron Lady. Il tutto, naturalmente, con alcuni tratti distintivi tipici della carriera del regista finlandese, che qui tornano al meglio: di seguito, la trama e la recensione di Ho affittato un killer di Aki Kaurismaki.

La trama di Ho affittato un killer, il film di Aki Kaurismaki

Prima di considerare la recensione di Ho affittato un killer, si indica – come di consueto – innanzitutto la trama del film in questione; si tratta della seguente: “Un disoccupato incapace di suicidarsi decide di assoldare un assassino perché faccia il lavoro, ma quando si pente non riesce a trovare più l’uomo.”

La recensione di Ho affittato un killler: un simil-noir che mostra gli effetti della politica Thatcheriana

Sono 79 i minuti che accompagnano lo spettatore nella visione complessiva di Ho affittato un killer, uno dei film più celebri della filmografia di Aki Kaurismaki; non si può che partire dalla valutazione di questo elemento per offrire la recensione del film in questione, parte di un processo strutturale che – da sempre – il regista finlandese compie con le sue opere: veri e propri gioielli di breve durata, in cui l’impegno del regista si osserva anche in sede di sceneggiatura e di montaggio, che si configurano in forma di idillio e che lasciano allo spettatore la facoltà di ricostruire quei processi ideologici di cui l’autore di sente estraneo. In un’intervista, Kaurismaki sosteneva che “Ogni volta che faccio un film, lo faccio perché mi piace raccontare storie, non perché mi piace trasmettere messaggi. Ogni spettatore è libero di interpretare un film attraverso la propria sensibilità e ognuno ci vede sempre qualcosa di diverso. Penso che nel momento in cui non avremo più speranze, non avremo neanche più motivo di essere pessimisti, perché il peggio sarà già arrivato”.

Ho affittato un killer è, evidentemente, un film che lambisce il genere del noir, pur non con una definizione totale: descrive la situazione di estraniazione del protagonista, colto non tanto in una turba morale o sociale, quanto più dall’abbandono di ogni riferimento che la società che dovrebbe rappresentarlo manca di offrirli. È anche un film, però, che descrive la situazione cupa della metropoli: cupo è un termine che non indica soltanto la condizione economica e sociale di un Regno Unito colpito dalla dura politica thatcheriana, di cui si osservano gli effetti all’interno della pellicola, ma anche il risultato estetico di un film che si arricchisce della lisergica fotografia di Timo Salminen, sempre attenta nel donare un flebile colore agli interni ma impegnata nel restituire, allo spettatore, la freddezza di una realtà che abbandona il suo cittadino. Aki Kaurismaki sceglie i primi piani per enfatizzare alcuni dei momenti della pellicola: è una scelta reiterata che porta scene “spoglie” di altro elemento tecnico (la colonna sonora è per larghi tratti assente, ad esempio) ad essere maggiormente evocative, specie nei momenti più intensi del film stesso.

La Londra rappresentata è quella lontana dai centri abitati, che diventa preda dell’azione di serial killer ai quali il protagonista si affida per togliersi la vita: un gesto che non riesce a compiere per sua stessa mano, in scene che vengono realizzate con una grande gestione dell’ironia da parte del regista; allo stesso tempo, però, quella Londra è anche il paese in cui lo straniero non è più ben voluto e in cui l’illusione del possesso (un orologio d’oro offerto come ricompensa per 15 anni di lavoro) si accompagna alla crudeltà di una realtà disfunzionale. Al suo primo film con cui si affaccia definitivamente all’Occidente, Kaurismaki regala una grande prova di sé e delle sue enormi conoscenze, pur con qualche dilatazione di troppo nella seconda parte del film che rende, complessivamente, il lungometraggio meno compatto di quanto ci si possa aspettare. Il risultato, tuttavia, non può che dirsi più che ottimo.

Aki Kaurismaki dalla parte degli ultimi

“The working class has no fatherland”, è la citazione che resta maggiormente impressa a margine della visione di un’opera che permette di proseguire, idealmente, con quel filo conduttore che lega le opere nell’ambito della carriera di Aki Kaurismaki. Il regista finlandese aveva già dimostrato di poter parlare degli ultimi con la sua trilogia del proletariato, ma anche al di fuori dei confini nazionali l’interesse resta il medesimo: l’atteggiamento del regista è umoristico, quasi sarcastico: nella velata finzione proposta, l’oggetto di interesse di Ho affittato un killer si sposta costantemente dal personaggio di Henry Boulanger a quello di Margaret (nomen omen), che diventa sempre più centrale all’interno della pellicola.

Il senso della scelta di Aki Kaurismaki è lontano dall’essere giustificatorio o speranzoso: il regista è particolarmente conscio del destino a cui sono sottoposti i suoi personaggi, ma affida alla crudele ironia dell’esistenza il motore comune dell’azione dell’individuo, per cui non è prevista una salvezza, se non attraverso i meccanismi della sterile sopravvivenza. Nonostante questo, la lotta continua ad essere condotta da parte di personaggi che non si ribellano alla classe dominante, ma che anzi la subiscono passivamente: è solo una delle numerose dinamiche di conflitto sociale di foucoltiana memoria, che non avvengono attraverso slogan e ritorsioni pubbliche, bensì per mezzo del ripiegamento sul sociale e sull’intimo, l’unica dimensione che il potere non potrà mai conquistare.

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I Hired a Contract Killer
I Hired a Contract Killer

Ho affittato un killer è uno dei film più celebri di Aki Kaurismaki, in cui il regista finlandese si affaccia per la prima volta alla cultura Occidentale con un lungometraggio che riflette sulla Londra di Margaret Thatcher.

Voto del redattore:

8 / 10

Data di rilascio:

11/10/1990

Regia:

Aki Kaurismaki

Cast:

Jean-Pierre Léaud, Margi Clarke, Kenneth Colley, Trevor Bowen, Angela Walsh, Cyril Epstein

Genere:

Commedia, drammatico

PRO

Trattazione del tema degli ultimi tanto caro al regista
Fotografia impeccabile e rispetto dei silenzi
Ironia tagliente nel descrivere la condizione dei soggetti rappresentati
In alcuni punti il film appare un po’ dispersivo e caotico