In Final Destination Bloodlines emerge il peso dei traumi ereditati, e non solo con il sangue

Final Destination Bloodlines è il nuovo capitolo della saga horror cominciata nel 2000, ed è stato distribuito nei cinema in Italia a partire da giovedì 15 maggio 2025: il film diretto da Zack Lipovsky e Adam Stein è uno dei migliori della serie oppure no?
Recensione film Final Destination Bloodlines

Articolo pubblicato il 20 Maggio 2025 da Christian D’Avanzo

Final Destination è una delle saghe horror cult che si è contraddistinta nel corso degli anni grazie all’originalità del suo meccanismo, dove la Morte è la vera protagonista/antagonista con i suoi piani perversi. Cominciata nel 2000, con un incipit di assoluto livello che ha introdotto nelle menti degli spettatori e delle spettatrici, la serie di film in questione non ha sempre custodito la qualità del primo capitolo, anzi, ma è stata registrata comunque molta curiosità attorno al lungometraggio diretto da Zack Lipovsky e Adam Stein. Infatti, i vari capitoli si sono susseguiti con una cadenza precisa: ogni 3 anni è stato distribuito un seguito, quindi dal 2000 al 2012 ci sono stati ben 5 film per estendere la linea narrativa inaugurata con il primissimo film, ad oggi ritenuto un cult. Final Destination Bloodlines arriva invece dopo 13 anni dall’ultimo, omaggia Tony Todd, che è in qualche modo simbolo di questi film, e immette nella serie un paio di novità. Da giovedì 15 maggio 2025 è nei cinema italiani, e di seguito ne proponiamo la recensione.

Recensione film Final Destination Bloodlines
Immagine tratta da una scena del film Final Destination Bloodlines, al cinema dal 15 maggio 2025 (Warner Bros.)

La recensione di Final Destination Bloodlines: nel nuovo film della saga emerge il peso dei traumi ereditati, e non solo con il sangue

Sin dal prologo di Final Destination Bloodlines si evince il desiderio di introdurre qualche elemento nuovo all’interno della saga che, dopo 25 anni di longevità, poteva risultare, al contrario, stanca e ridondante. Non si parla, chiaramente, di stravolgimenti o particolari rivoluzioni nel meccanismo ormai storico che ha contraddistinto i capitoli della serie, eppure traspare tutto l’amore di chi ci ha lavorato, con un connubio estetico-narrativo più che discreto. Infatti, se The Final Destination (2009) e Final Destination 5 (2012) risultavano posticci e senza particolare enfasi nella messa in scena, ciò che elettrizza guardando Final Destination Bloodlines è l’elegante ritorno alle origini sia nell’incipit che nel successivo sviluppo. La premonizione propone un montaggio finalmente – di nuovo, dopo il primo e il terzo capitolo – interessante per come riesce a indurre tensione e uno stato di allerta nello spettatore e nella spettatrice alternando i segni della morte imminente, che è pronta a trasformare una potenziale esperienza memorabile in una tragedia senza pari, alla storia sentimentale della protagonista. La musica, i corpi, le sadiche battute (ironico che un bambino negli anni Cinquanta fosse così impertinente), la pulsione della miracolosa torre, sono tutte le componenti che rendono la sequenza iniziale contraddittoriamente affascinante. Contraddittorio sì, poiché appare strano attendere di osservare la “spettacolare” morte che tocca, questa volta, a centinaia di persone, ma, d’altronde, è questo ciò che ha conferito originalità ad una saga forse troppo sottovalutata nel campo dell’horror.

Per un ritorno alle origini con i fiocchi si sarebbero potuti ricreare dei titoli di testa di maggior impatto, come quelli del primo film del 2000 per intenderci, così da introdurre l’atmosfera mostrando oggetti spogliati dai loro significati abituali e pregni di connotazioni in un certo senso malvagie. Purtroppo (o per fortuna) questo è l’unico elemento assente in un Final Destination Bloodlines che al passato guarda con ammirazione e rispetto, ma che non manca di offrire spunti ancor più di stimolanti poiché legati alla nostra contemporaneità. Andando oltre, e quindi cominciando a descrivere le novità presenti nel film della coppia di registi formata da Zack Lipovsky e Adam Stein, c’è subito da sottolineare l’importanza dell’eredità dei traumi: il dolore, le sofferenze, anche le ansie e le paranoie, vengono qui trasmesse da una generazione all’altra. La donna della premonizione iniziale (nel passato) non coincide con chi sta effettivamente sognando (nel presente) perché si tratta della nipote, protagonista del film insieme alla sua famiglia. La premonizione anticipa un futuro certo, eppure in questo contesto serve a introdurre da subito – come da titolo – i legami di sangue, creando un’unica dimensione temporale dove il destino è uguale per tutti, e consiste nel morire.

Tuttavia, i legami dei personaggi che agiscono per sventare i piani della Morte non sono tutti uguali, anzi, poiché in ogni famiglia non possono non esserci problematiche di diversa entità. Ansie e paranoie, come anticipato, sono dovute ai traumi vissuti (ma prima sventati) dalla protagonista della premonizione, la quale ha poi trasmesso il suo dolore psicologico alla figlia, che a sua volta lo ha trasmesso alla sua di figlia generandone di nuovi. Infatti, l’allontanamento dalle persone a noi care, specialmente quando non voluto, è esso stesso un trauma con cui è difficile convivere, e nemmeno il tempo riesce a metterci una pezza da questo punto di vista. Le relazioni si sfaldano per azioni o non azioni che compiamo o non compiamo, a seconda dei casi, così come la vita stessa è perennemente appesa a un filo, sebbene evitiamo di pensarci per affrontare ogni giorno senza ulteriori preoccupazioni. Su questi due piani (in)visibilmente paralleli, il villain del film, che come in ogni capitolo è la Morte, muove i suoi fili con una cattiveria e una perversione maggiori in confronto agli altri lungometraggi della serie, e non a caso il complottismo è un fattore chiave nella prima parte. Le persone sopravvissute all’incidente della torre sono, come già detto, centinaia, ed i loro figli hanno avuto dei figli, quindi la Morte, pur prendendosi il suo di tempo, giocando d’attesa, entra in scena con un’ironica perfidia per ricomporre il suo disegno. Infatti, il primo lutto in famiglia è una dimostrazione (vedere per credere), ma il secondo è una vera e propria partita a scacchi, dove ogni “oggetto di scena” può risultare decisivo se messo in una specifica posizione. A riguardo, risulta notevole la sequenza in giardino, ed è resa tale dalla costruzione delle inquadrature e dal rapporto causa-effetto innescato dal montaggio.

Final Destination Bloodlines: quando l’autoreferenzialità è ben incorporata nella narrazione

In Final Destination Bloodlines le citazioni ci sono, ma non risultano non sono sovrabbondanti, anzi, sono ben incorporate nella narrazione. Il film in questione è allora un ottimo esempio di come l’autoreferenzialità possa anche raggiungere livelli discreti se inserita in maniera naturale, e quindi non forzata, nella storia raccontata. A differenza di altre saghe ancora più famose di questa, come Scream, Jurassic World e la stessa Marvel (in determinate occasioni), non sussiste alcuna artificiosità nel ponderare alcuni espedienti narrativi sulla base di ciò che è diventato di culto all’interno della serie (come i tronchi di legno); ad esempio, qui non vengono introdotti oggetti o citati personaggi a casaccio per ridurli a merce con tanto di colonna sonora elegiaca. Quest’ultima è presente soltanto quando entra in scena Tony Todd. In effetti l’aspetto emozionale assume, durante la scena che sa di ossequio, una connotazione fortemente metacinematografica, mai ricattatoria ma sentimentalmente in dialogo con quanto accaduto al di fuori del film.

Inoltre, Final Destination Bloodlines ha una comicità ancor più ironica e spinta, con una dose di sadismo maggiore rispetto ai capitoli precedenti, e ciò produce effetti di leggerezza paradossalmente inquietanti perché i cosiddetti complotti sono traducibili in segni premonitori in ogni dove, tant’è che la paranoia può giocare brutti scherzi e concretizzarsi in qualunque momento. Su questo scarto tra il tragicomico e il grottesco si sviluppano i percorsi relazionali dei personaggi, i cui legami di sangue sembrano essere simultaneamente una speranza e una condanna. L’eccessivo, il parodistico e il demenziale vengono accentuati, quando la Morte entra in scena, dalla scelta di azzeccatissimi brani musicali pop, come a voler sottolineare che al giorno d’oggi il mondo tende a voler spettacolarizzare e mercificare la qualunque (vedasi, ad esempio, il trend del Get ready with me su TikTok applicato ai funerali).

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Locandina e recensione del film Final Destination Bloodlines
Final Destination Bloodlines
Final Destination Bloodlines

In questo nuovo film della saga, inaugurata nel 2000, i legami di sangue rappresentano uno snodo cruciale all'interno della trama: l'eredità della premonizione iniziale metterà a rischio un'intera famiglia, che dovrà sfidare il piano della Morte per sopravvivere.

Voto del redattore:

7 / 10

Data di rilascio:

15/05/2025

Regia:

Zack Lipovsky, Adam Stein

Cast:

Tony Todd, Brec Bassinger, Richard Harmon, Rya Kihlstedt, Max Lloyd-Jones, April Telek, Anna Lore, Teo Briones, Alex Zahara, Matty Finochio, Mark Brandon, Gabrielle Rose, Kaitlyn Santa Juana

Genere:

Horror, commedia

PRO

La premonizione iniziale
Dalle relazioni familiari emerge il peso dell’eredità dei traumi
L’autoreferenzialità è inserita in modo naturale
Tutto è più eccessivo, ed è un tratto tipicamente contemporaneo nel cinema (con i vari requel, sequel, reboot, ecc.) come nella vita reale
I titoli di testa non servono a introdurre l’atmosfera come succede nel primo capitolo