Return of the King: la caduta e l’ascesa di Elvis Presley, un (inconsapevole) buon saggio sul fallimento

Su Netflix è giunto il nuovo documentario Return of the King: la caduta e l’ascesa di Elvis Presley, diretto da Jason Hehir e sulla figura di The Pelvis: ma con quale risultato?
Return of the King: la caduta e l'ascesa di Elvis Presley, un (inconsapevole) buon saggio sul fallimento

Articolo pubblicato il 20 Novembre 2024 da Bruno Santini

A partire dal 13 novembre 2024, in tutti i paesi in cui è attivo il servizio, è stato distribuito il documentario Return of the King: la caduta e l’ascesa di Elvis Presley, diretto da Jason Hehir e destinato ad approfondire uno dei momenti più difficili della carriera del Re del Rock ‘n’ Roll, che coincide – come la storia racconta – anche con quello in cui Elvis Presley ha accumulato maggiore profitto a seguito del suo grande successo in tutto il mondo. Nei suoi 91 minuti totali, il documentario accoglie le testimonianze, sicuramente molto gradite, di Baz Luhrmann e Bruce Springsteen: ma con quale risultato? Di seguito, si indica tutto sulla recensione di Return of the King: la caduta e l’ascesa di Elvis Presley.

La trama di Return of the King: la caduta e l’ascesa di Elvis Presley su Netflix

Nel delineare quale sia la recensione di Return of the King: la caduta e l’ascesa di Elvis Presley su Netflix, è importante sottolineare innanzitutto la trama di quest’ultimo, benché trattasi di un elemento storico e musicale sicuramente molto riconoscibile e noto per gli spettatori. Dopo aver brevemente tratteggiato l’inizio di carriera di Elvis Presley, con la relativa ascesa nel mondo del Rock ‘n’ Roll e con il servizio militare che l’ha allontanato dalle scene per due anni, il celebre cantante è stato oggetto dell’ossessiva gestione del Colonnello Parker, che l’ha portato a esordire nel contesto televisivo e cinematografico. Presto, però, questo meccanismo è diventato fin troppo morboso e ha allontanato il cantante dalla sua vocazione, oltre che progressivamente dal pubblico: nel documentario si racconta il modo in cui, attraverso il celebre Comeback del ’68, Elvis Presley tenta di ritornare a se stesso e alla sua ideale vocazione artistica.

La recensione di Return of the King: la caduta e l’ascesa di Elvis Presley, la chiusura del cerchio su The Pelvis?

Di prodotti su Elvis Presley, negli ultimi anni, ne abbiamo avuti fin troppi: a partire dalle inchieste secondo le quali il celebre cantante potrebbe essere ancora vivo, fino ai due film precedentemente distribuiti al cinema, Elvis di Baz Luhrmann e Priscilla di Sofia Coppola, che si occupano di delineare un tracciato notevolmente differente a proposito del Re del Rock ‘n’ Roll. A meno di sorprese, Return of the King: la caduta e l’ascesa di Elvis Presley potrebbe essere l’ideale chiusura del cerchio su The Pelvis, con un ennesimo prodotto che guardi dall’alto rispetto a quelle accezioni (il divo e l’antidivo di Austin Butler, contrapposto all’uomo schivo e violento di Jacob Elordi) che erano state precedentemente offerte, tentando anche di sintetizzare alcuni elementi della storia – molto complessa, va detto – del personaggio e astraendolo dal contesto generale dell’autorialità che inevitabilmente ha colorato gli Elvis portati sullo schermo. Partiamo con il dire, in sede di recensione di Return of the King: la caduta e l’ascesa di Elvis Presley, che il documentario è tutt’altro che super partes e apartitico rispetto alle sue finalità. Con un titolo di tolkeniana memoria e con i dieci anni (dal 1958 al 1968) analizzati, l’oggetto dell’attenzione di Jason Hehir è la ridicolizzazione imprenditoriale, umana e soprattutto sociale del Colonnello Parker, in un disperato tentativo di “salvate il soldato Elvis” dalle grinfie di un uomo che l’ha strumentalizzato per gran parte della sua carriera.

In questo senso, non aiuta l’impostazione troppo classica e schematica del documentario, che si accontenta di numeroso materiale di repertorio e di interviste semplici nella struttura e nel costrutto, di fatto costruendo quello che è il limite principale di un prodotto che avrebbe potuto – e dovuto – dare decisamente molto di più ai suoi spettatori, accanto ad una buonissima idea. Se non altro, e qui il potere contrattuale di Netflix appare anche visivamente fortissimo, è molto positivo osservare un prodotto che venga commentato da figure di grandissimo rilievo – umano, sociale e artistico – nella vita di Elvis Presley, come sua moglie Priscilla, il regista Baz Luhrmann o gli artisti Jerry Schilling e Bruce Springsteen, che permettono di conferire grande autorità al racconto. L’elemento più importante di Return of the King: la caduta e l’ascesa di Elvis Presley, però, è probabilmente la traccia del fallimento che viene delineata all’interno del documentario; non siamo sicuri del fatto che rappresentare – in modo così tanto netto – questo tema fosse l’oggetto dell’attenzione del documentario nella sua durata di 92 minuti, dal momento che la struttura lascia tanto pensare ad un declino che si trasforma in apogeo, ma ciò che si osserva sul piccolo schermo è visivamente e narrativamente tanto interessante.

Di quale fallimento si parla, allora, se la storia di Elvis Presley è tendenzialmente ricca di successo? Nel puntare costantemente il dito contro il Colonnello Parker, gli intervistati sottolineano un qualcosa di incontrovertibile: che piacesse o meno, quello che il manager di Elvis ricercava era il profitto a tutti i costi, che si trattasse di spille con su scritto “odio Elvis” con cui capitalizzare o di un numero esageratamente alto di film in cui il cantante e attore ha recitato, svilendo sempre più il suo lascito artistico. Il momento sicuramente più infimo della carriera di The Pelvis è quello in cui il cantante si riduce a cantare La vecchia fattoria in uno dei tanti prodotti dalla trama trita e ritrita, dunque si ripropone lo stesso interrogativo: quale fallimento? Innanzitutto, il fallimento di un potenziale, di un cantante che poteva essere e che non è mai stato, di un animo artistico che non ha mai avuto la possibilità di esistere al di là di incredibili e indimenticabili acuti; un fallimento culturale, con il mondo che ha accettato le declinazioni successive di Elvis Presley (Rolling Stone, Beatles, lo stesso Bruce Springsteen) senza avere mai effettivamente idea di chi The Pelvis fosse al di là dei soliti, triti e ritriti, successi; ma anche il fallimento del Colonnello Parker (siamo così sicuri che il successo sia soltanto un suo merito?), di un vecchio modo di fare imprenditoria, di una debolezza del cantante nell’accettare di svendersi pur di fare denaro, poiché apparentemente mai obbligato a scegliere tutto ciò che ha messo in successione nella sua vita. Il fallimento, però, è anche quello dello spettatore, che tenta sempre di stare da una parte o dall’altra, di ritenere Elvis Presley un buon uomo timido – se si sottolinea la sua fragilità – o un cattivo marito violento – se la scelta è invece quello di rappresentarlo tra le mura domestiche -, di fatto accontentandosi della narrativa del prodotto del momento. Un fallimento di tutti, questi è chiaro, che non toglie ad Elvis Presley lo scettro di Re del Rock ‘n’ Roll: e chissà se anche questo, a dirla tutta, non sia un fallimento rispetto a ciò che la storia avrebbe potuto raccontare.

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Return of the King: la caduta e l'ascesa di Elvis Presley
Return of the King: la caduta e l’ascesa di Elvis Presley

Rilasciato direttamente in streaming su Netflix, il documentario Return of the King: la caduta e l'ascesa di Elvis Presley approfondisce uno dei momenti più difficili della sua vita.

Voto del redattore:

7 / 10

Data di rilascio:

13/11/2024

Regia:

Jason Hehir

Cast:

Jerry Schilling, Bruce Springsteen, Baz Luhrmann, Priscilla Presley, Billy Corgan, Conan O'Brien, Dariene Love

Genere:

Documentario

PRO

La presenza degli interventi di Jerry Schilling, Baz Luhrmann e Bruce Springsteen
Un buon approfondimento sul tema del fallimento di Elvis Presley
La struttura fin troppo didascalica del documentario