Il Colore Viola (2023) è uno dei film candidati alla 96esima edizione degli Oscar – migliore attrice non protagonista a Danielle Brooks -, remake dell’omonimo lungometraggio di Steven Spielberg, nonché trasposizione del musical di successo inscenato a Broadway. In ogni caso, qualunque rappresentazione si basa sul romanzo premio Pulitzer scritto da Alice Walker e pubblicato nel 1982. In Italia, Il Colore Viola (2023) è stato distribuito al cinema a partire dall’8 febbraio 2024: seguono la trama e la recensione del film.
La trama di Il Colore Viola (2023), remake musical con Fantasia Barrino e Danielle Brooks
Il Colore Viola (2023) ha una storia ormai conosciuta, tra il film di Steven Spielberg, la pièce musicale di Broadway e il romanzo premio Pulitzer. Tuttavia, è bene specificare nuovamente cosa racconta il remake in questione; di seguito viene indicata la trama ufficiale di Il Colore Viola (2023):
Ambientato nel Novecento nel sud degli Stati Uniti, in Il Colore Viola viene raccontata la storia di un gruppo di donne afroamericane, che nel corso della loro vita affrontano momenti davvero difficili e combattono diverse lotte. Prima tra tutte c’è Celie (Fantasia Barrino), che sin dalla giovanissima età ha subito soprusi, dapprima a causa del padre violento e incestuoso, e in seguito da un marito alcolizzato e facinoroso, Mister (Colman Domingo), che è stata costretta a sposare. Quando suo padre cerca di violentare sua sorella minore, Nettie (Halle Bailey), la donna le offre un riparo nella sua nuova casa. Purtroppo anche qui Nettie non è al sicuro, perché Mister prova a molestarla, ma non riuscendo nel rozzo atto la caccia di casa.
In seguito Celie avrà un figlio, Harpo (Corey Hawkins), che sposerà una giovane donna forte e indipendente, Sofia (Danielle Brooks). Peccato che anche quest’ultima subirà la violenza maschile da parte del marito, convinto a dimostrare il suo valore di uomo. È così che Sofia lascia Harpo, il quale inizierà a frequentare un’altra donna. L’arrivo della cantante jazz Shug Avery (Taraji P. Henson) nella casa di Mister, ex marito, sconvolgerà le carte in tavola, perché l’artista noterà come Celie sia totalmente sottomessa a Mister. L’uomo con Shug si comporta, invece, galantemente e sempre quasi domato dalla donna. Il ritorno di Sofia porterà attriti tra lei e la nuova compagna di Harpo, Squeak (H.E.R.), tanto che verrà cacciata dalla comunità. In seguito al suo allontanamento, Sofia verrà anche arrestata per aver disubbidito a un ordine di una donna bianca. Questo gruppo di donne, vessate e maltrattate, dovrà instaurare una forte sorellanza, trovare il coraggio di allontanare dalle loro vite uomini tossici e di vivere da sole in una società dove il colore della pelle ha un peso importante.
La recensione di Il Colore Viola (2023): un remake musicale non necessario, patinato e al contempo spento
In seguito all’annuncio di Il Colore Viola (2023), in tanto si sono interrogati circa l’utilità di produrre (100 milioni di dollari di budget, circa) un nuovo remake a distanza di circa 40 anni dal lungometraggio di Steven Spielberg. Tuttavia, la trasposizione dell’omonimo musical a Broadway, che dal 2005 riscontra ormai un perenne successo, ha fatto sì che la lampadina riguardo questo materiale tornasse ad accendersi. Al contrario di quanto pensato a primo impatto, Il Colore Viola (2023) poteva tranquillamente avere successo come film musicale, tra tinte blues e jazz, inserendosi nel mercato come prodotto di qualità. E non che faccia obbligatoriamente la differenza, ma è risultato piuttosto sospetto che un film del genere abbia fatto breccia nel cuore dell’Academy per gli Oscar 2024. Eppure, la risposta non si è fatta attendere, e dall’8 febbraio è stato possibile osservare il film direttamente nei cinema italiani.
Il Colore Viola (2023) appare come un film sconclusionato non tanto nell’identità finctional quanto nella sua struttura. L’idea è che si potesse optare più per una distribuzione in streaming sotto forma di miniserie televisiva che per un lungometraggio di circa 140 minuti, e l’estetica realizzata dal regista Blitz Bazawule (Black is King) con la collaborazione degli altri addetti ai lavori è – per l’appunto – eccessivamente televisiva. Con quest’ultima affermazione si intende mettere in evidenza i connotati negativi che ci possono essere dietro, poiché un potenziale così inespresso e mal assortito non lo si vedeva da un po’, specie con un soggetto di base che è praticamente una certezza. Va bene che il musical nel senso stretto del termine presuppone alcuni elementi classici come una maggiore sospensione dell’incredulità, dei colori solitamente più accessi, un onirismo quasi onnipresente, sguardi in camera e didascalismi vari, ma in Il Colore Viola (2023) la combinazione di tali fattori genera spaesamento.
Non si sa bene cosa guardare, perché la color correction disturba l’occhio (blu e giallo fin troppo vividi) e la fotografia non riesce talvolta nemmeno a scontornare la scenografia dalla silhouette degli attori in scena, mescolando luci artificiali che si rivelano tremendamente posticce. In aggiunta, la regia schizofrenica attua delle scelte abbastanza discutibili, tra cui una quantità troppo abbondante di inquadrature dal basso. Il perché della scelta non è esplicito, e il più delle volte c’è un brusco contrasto tra la felicità del testo di alcune canzoni e delle angolazioni che – teoricamente – dovrebbero spingere alla tensione, all’angoscia. A tal proposito, doveroso specificare che le canzoni stesse sono puerili nella melodia e nei testi, ricordando lontanamente un qualunque prodotto targato Disney Channel. Come se non bastasse, le coreografie risultano spente esattamente come la scenografia, e se alcune intuizioni riescono un minimo a brillare (sequenza con ballo di gruppo a ritmo jazz per accogliere Shug Avery), altre invece arrivano persino ad annoiare.
Il Colore Viola (2023) è derivativo e senza enfasi
La confusione non termina purtroppo con i già tanti difetti citati poc’anzi. Infatti, Il Colore Viola (2023) – senza fare paragoni con il film di Spielberg – ha il problema di cercare di adottare il linguaggio tipico del musical classico, anche teatrale per certi versi, ma sacrificando totalmente l’enfasi delle sequenze clou. Il risultato è un prodotto la cui durata percepita supera quella effettiva, poiché non si riesce a comprendere in maniera più profonda il vero dramma vissuto dalle protagoniste. Si passa da una situazione all’altra con un meccanismo fin troppo elementare, ovvero è successa una vicenda x, quindi il personaggio dice parola o svolge azione y in poco tempo. La tragedia viene coperta dall’allegro cantare e non si ha la facoltà di metabolizzare praticamente nulla, mentre quei pochi testi e quelle sonorità blues e jazz che ci sono non riescono ad emergere per cause estetiche, nonché per l’assenza di enfasi. Il ritmo iper-rapido accorpa superficialmente la psicologia dei personaggi, i cambiamenti radicali, il passare degli anni e così via: ad esempio, si passa dalla costruzione della casa alla nascita di un figlio, poi dal matrimonio fino alla crisi di coppia, il tutto in soli 10 minuti. Passano circa 15 anni in 43 minuti, e non si familiarizza nemmeno con ciò che si osserva.
La protagonista si proietta nei film al cinema, nelle foto, nella sua stessa mente tramite l’immaginazione, ma Il Colore Viola (2023) è persino un musical derivativo. L’idea dell’immersione in un film del passato in bianco e nero è interessante, con tanto di danza sentimentale tra le due protagoniste, ma non è ripresa da La forma dell’acqua? Carina invece la sequenza del grammofono, la canzone che c’è è piatta, così come gli elementi visivi circostanti perdono il loro smalto in poco. Altra sequenza clou è quella del salone, ma l’impressione è che si è scopiazzato qua e là da Chicago e West Side Story. Purtroppo, se il casting è azzeccato e mostra del potenziale, quest’ultimo resta abbastanza inespresso siccome gli attori si limitano a calcare parecchio dal punto di vista espressivo. Ciò è però figlio di una scrittura dei personaggi troppo approssimativa, con “cattivoni” che sono macchiette e vittime dal forte spirito, ma a mancare è il giusto equilibrio. Il Colore Viola (2023) così facendo non lascia nulla agli spettatori, e allora sì che diventa un remake non necessario, confuso e assolutamente non in grado di veicolare messaggi così nobili.