Cerca
Close this search box.

Recensione – Yannick: Quentin Dupieux nel suo teatro dell’assurdo

Quentin Dupieux torna dopo Mandibles con Yannick, il suo nuovo film che riprende i temi del teatro dell’assurdo. Ma quale sarà stato il risultato?
Recensione - Yannick: Quentin Dupieux nel suo teatro dell'assurdo

A seguito della sua esperienza con Mandibules, presentato in anteprima al Festival del Cinema di Venezia, e di Daaaaaalì! – che ancora una volta nella realtà veneziana è giunto prima che in Francia -, Quentin Dupieux torna nelle sale cinematografiche del nostro paese con Yannick, sottotitolato La rivincita dello spettatore e nuovo film in 67 minuti dell’eclettico regista, direttore della fotografia, sceneggiatore, montatore e produttore musicale francese. Nel suo film, che riflette sul senso dello spettacolo, sulla catarsi che si ritrova tra produttore e fruitore dell’arte, sulla quarta parete e sul teatro dell’assurdo, Quentin Dupieux ritrova, ancora una volta, un gioiello.

La trama di Yannick, il nuovo film di Quentin Dupieux

Prima di proseguire con la recensione di Yannick, vale la pena indicare innanzitutto la trama del film attraverso la sua sinossi:

Durante una rappresentazione dello spettacolo “Le Cocu” (il cornuto), interpretato da Paul Rivière (Pio Marmaï), Sophie Denis (Blanche Gardin) e William Keller (Sébastien Chassagne), in un modesto teatrino di Parigi, Yannick si alza dalla poltrona e interrompe la pessima interpretazione degli attori. Protesta, secondo lui uno spettacolo deve tirare su il morale e non peggiorarlo come in questo caso. Non è più disposto a subire quella tortura e decide di prendere in mano la serata con un vero coup de théâtre. Estrae una pistola e minaccia i tre attori costringendoli a mettere in scena una pièce scritta da lui sul momento. Paul, Sophie e William accettano terrorizzati di interpretare la commedia ridicola di Yannick. Il pubblico non appare molto spaventato, anzi sembra quasi divertirsi molto più di prima. Yannick tiene in ostaggio tutto il teatro fino a quando la situazione si ribalta inaspettatamente.

La recensione di Yannick: il 99% dei film sono noiosi, questo no

“Il 99% dei film sono noiosi, questo no” affermava Quentin Dupieux nel momento in cui il film veniva presentato in anteprima, per la prima volta, al Festival di Locarno. Affidandosi ad uno degli elementi più saldi della sua carriera – la brevità – il regista restituisce allo spettatore un prodotto in 67 minuti che sa funzionare come ideale summa della carriera e del pensiero del regista francese. Il protagonista è Raphael Quenard, un attore francese che aveva già collaborato con Dupieux in Mandibules (pur se in un breve ruolo) ma che, in questa commedia, spicca in virtù di un’interpretazione sopraffina. Quelle di Yannick, a dire il vero, sono tutte interpretazioni di altissimo livello, a dimostrazione di una qualità nella direzione degli attori che rispecchia un altro caposaldo nella carriera di Dupieux: protrarre la ripresa di una scena oltre il sesto o settimo ciak è il modo migliore per fallire nella gestione degli attori.

Che si tratti di idee condivisibili o meno, quelle di Dupieux sono, per l’appunto, delle idee: il regista francese resta fermo sulle sue convinzioni ed elabora – a ben vedere – un percorso di cinematografia che gode di una costante evoluzione. Yannick ne rappresenta, per determinati aspetti, il fulcro: Mr. Oizo ha sempre riflettuto sull’inconsistenza dell’essere umano e qui si rivolge al mondo dell’arte e ai suoi riferimenti principali. Diceva Ionesco, che il regista francese cita espressamente all’interno del suo film, che “la ragione è la follia del più forte. La ragione del meno forte è follia.” Ad essere oggetto della rappresentazione di Yannick, allora, è lo spettatore pagante: un uomo che (non) ha tutto il diritto di esprimersi a proposito della qualità di un’opera e che decide di violare uno dei sacri vincoli dello spettacolo; la rottura della quarta parete, che avviene in un rapporto differente rispetto a quella a cui si è abituati, assume i connotati dell’assurdo, per mezzo di pistole, minacce, copioni riscritti e agenti anti-terrorismo che si riversano all’interno di un piccolo teatro parigino per fermare l’azione di Yannick. Il soggetto principale del film è però l’uomo: un uomo di per sé sconfitto, perché sottomesso all’indirizzo di una società che lo considera operaio del suo sistema.

Il protagonista di Yannick reagisce alla penuria dello spettacolo per lo stesso motivo per cui l’operaio medio italiano vive il tifo calcistico con acritico senso di fede: il mondo in cui si vive controlla così tanto massivamente la vita degli uomini da stabilire pochi momenti di pausa, che si spera di vivere con estrema soddisfazione. Il guardiano che vede le sue ferie rovinate a causa di uno spettacolo mal riuscito diventa, allora, un semplice operaio tradito del suo tempo libero: in quanto pagante, e dunque indirizzato ad una certa condotta comportamentale, Yannick non potrebbe far altro che partecipare al meccanismo dell’applauso, ma decide di ribellarsi. È a questo punto che si apre una nuova, decisiva, fase nella carriera di Quentin Dupieux, il regista che ha parlato così tanto di morte da scegliere deliberatamente di smettere per giungere a qualcosa di nuovo; è un film estremamente umoristico, poiché l’umorismo – ancora Ionesco – è l’unico fattore di libertà, e senza umorismo la vita è un campo di concentramento. Conoscendo così tanto la tradizione artistica francese, il regista non manca di omaggiare alcuni riferimenti vivi nel mondo del teatro, tra cui Molière, il cui sottofondo si individua nell’interazione tra i personaggi e in quella riscrittura – sembra quasi di vivere un rovesciamento dei Sei personaggi in cerca di autore – del copione che acquisisce i connotati dell’assurdo. L’ironia di Quentin Dupieux è però quella pirandelliana: tra controsensi e ossimori, nel senso più puro di sarcasmo, c’è la possibilità di stimolare la riflessione, rendendo la risata funzionale a qualcosa di altro: negli ultimi attimi del film si cede ad una parentesi incredibilmente drammatica, che si intravvede in quel falso meccanismo della catarsi dell’applauso, con lo sguardo perso di Raphael Quenard che, da solo, vale l’intero film.

Quentin Dupieux e il senso dell’assurdo

Prima di cimentarsi con il cinema che, a suo dire, è una macchina strutturale così tanto complessa da poter essere frammentata tra addetti ai lavori differenti, Quentin Dupieux era conosciuto in tutto il mondo per il suo essere Mr. Oizo. Un produttore musicale come tanti altri ma che, per certi versi, si era servito della fiorente tradizione dell’elettronica francese (che ritrova nei Daft Punk i suoi riferimenti principali) per inaugurare uno stile tanto pungente quanto eclettico che, nei fatti, sarà poi oggetto anche del suo leitmotiv cinematografico. Dal celebre pupazzo giallo di Flat Beat, che conquistò l’industria discografica d’Oltralpe, fino agli intermezzi satirici di Positif, passando per il ritmo cadenzato di Ratata: considerando anche solo i brani più celebri della discografia di Quentin Dupieux, si coglie una volontà di dissacrare che è comune a tutta la sua carriera.

Il Mr. Oizo dietro la macchina da presa, si diceva, ha una convinzione molto forte: la sua idea di controllo del montaggio, della fotografia e del soggetto (fino a qualche anno fa anche della colonna sonora) dei suoi film è la pretesa di concepire un prodotto che appartenga realmente al suo creatore, che segua il suo flusso di coscienza. Dupieux è un regista che ha sperimentato le forme dell’assurdo e del dissacrante attraverso tantissimi stilemi: non soltanto un cinema di pura provocazione – quale potrebbe essere l’idea di una ruota che uccide delle persone o di un film come Fumare provoca la tosse, che parodizza il mondo dei cinecomic -, ma anche un ideale artistico che dimostri tutta l’enorme preparazione culturale del regista. L’estremizzazione, allora, non è mai soltanto un fatto formale: è il risultato della comprensione dei fenomeni, della conoscenza degli stilemi artistici del nostro tempo. Per offrire un parallelo con la storia dell’arte, Quentin Dupieux dà al cinema ciò che correnti come il dadaismo hanno offerto alla nostra storia: rimodulazione delle forme, riclassificazione degli indirizzi, estremizzazione dei concetti estetici. Il tutto, in una volontà di maturazione costante che con Yannick raggiunge uno dei suoi apici: non è mai soltanto ironia dissacrante, almeno non più, in un film che sa cedere al drammatico e mostrare l’altra faccia del mondo dello spettacolo. Un mondo fatto di perdenti, cioè di spettatori paganti che sono schiavi della verticalità della rappresentazione, a cui è destinata l’unica libertà di cedere alla sospensione dell’incredulità.

4,0
Rated 4,0 out of 5
4,0 su 5 stelle (basato su 1 recensione)
Yannick
Yannick

Yannick è il nuovo film di Quentin Dupieux che torna al cinema dopo la sua recente volontà di raccontare il cinema della vita; lo fa con un prodotto che omaggia il teatro dell'assurdo e la tradizione pirandelliana.

Voto del redattore:

9 / 10

Data di rilascio:

18/01/2024

Regia:

Quentin Dupieux

Cast:

Raphael Quenard, Pio Marmai, Blanche Gardin, Sebastien Chassagne

Genere:

Commedia, drammatico

PRO

I riferimenti al teatro dell’assurdo e alla tradizione pirandelliana
Le interpretazioni
Il registro del film che sa diventare anche drammatico
La comicità fuori dagli schemi di Quentin Dupieux
Nessuno